Amare fino alla fine

Al capezzale del bambino morente

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La piccola Annie, col suo bel sorriso, saluta in un video: «Fai ciao!» le dice la mamma adottiva al fianco. Sorride Annie, pare serena, anche se è collegata ad un dispositivo medico chiamato “Cuore di Berlino”, un cuore artificiale, in attesa di un trapianto. Ma un giorno, proprio quando il trapianto sembra imminente, la situazione precipita, Annie va in coma, è terminale. Cosa fare? Si deve rinunciare al trapianto? Si può, o addirittura si deve “spegnere” il cuore artificiale?
Il nome della piccola è di fantasia, ma la storia no. Chi la racconta, il medico che ha seguito il caso, lo fa interrompendo spesso il discorso, per asciugarsi le lacrime. Dal punto di vista medico non era un caso semplice, ma per lui non era neanche un “semplice caso”: Annie era sua figlia, l’aveva adottata.
La storia è stata raccontata al convegno «Prendersi cura della fine della vita: l’operatore sanitario al capezzale del bambino morente» svoltosi il 25 maggio, all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e dedicato proprio ai dilemmi etici in fase terminale di pazienti pediatrici.
Responsabile scientifico dell’evento è stato il cappellano della struttura, don Luigi Zucaro, esperto di bioetica. Il programma molto ben strutturato, la qualità dei relatori e l’importanza del tema hanno fatto sì che il pubblico gremisse l’aula e partecipasse in modo attivo alla discussione dei casi presentati.
I saluti iniziali sono stai affidati al presidente dell’OPBG, dott.ssa Mariella Enoc, che ha richiamato i presenti, soprattutto medici, infermieri e specializzandi della struttura, alla responsabilità di essere non solo un ospedale pediatrico, punto di riferimento per tutta l’Italia, ma anche “l’ospedale del Papa”. Da ciò deriva il non dover essere una semplice azienda ben organizzata ma una vera comunità di persone alla ricerca del bene dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.
Apre gli interventi il Cardinal Elio Sgreccia, salutato da don Luigi come il pilastro della storia della bioetica, che ha richiamato il suo celebre metodo triangolare di analisi delle questioni bioetiche, declinandolo in tre sguardi; sono i tre sguardi che deve avere ogni operatore sanitario: lo sguardo scientifico (quali sono i dati oggettivi, le possibili terapie), lo sguardo ontologico (chi è l’uomo, anzi il piccolo che ho davanti), lo sguardo deontologico (cosa devo fare, qui e ora). L’armonizzazione di queste vedute consente di passare dal seguire automaticamente un protocollo alla scelta di una terapia, lecita, doverosa e umanizzante.
La prima parte del convegno, moderata dalla prof.ssa Laura Palazzani (LUMSA e Comitato Nazionale di Bioetica), si è incentrata, come lei stessa ha sottolineato, nel riflettere insieme su come passare dal to cure, curare, al to care, prendersi cura del bambino morente, nel modo migliore possibile.
Per fare questo è stata necessaria una riflessione sul senso eterno (e sul modo moderno) del morire, del prof. Andrea Di Maio (Pontificia Università Gregoriana, Roma). L’uomo, ha sottolineato il professore, non vuole “vivere ancora un po’”, vorrebbe vivere per sempre. Per questo la morte è un paradosso, è una naturalità innaturale: se io muoio, come può qualcun altro continuare a vivere? Se io muoio, con la mia morte sento che arriva anche la fine del mondo. Perché la morte è sempre personale. Il medico può però essere questo “ministro della natura” e aiutare il morente nella sua ricerca di senso.
Certo, ha affermato, il prof. Alfredo Anzani (Presidente del Comitato Etico Ospedale S. Raffaele, Milano), la morte rimane oggi l’ultimo tabù e accanto al morente spesso si attua un’imbarazzante difesa, basata sull’abbandono e sulla menzogna. Ma questa è la “morte del morire”, del suo significato ed è un tentativo di fuga che priva l’essere umano del confronto con questa certezza (scomoda ma umanizzante) della sua vita.
È proprio in questa negazione che si fanno avanti diverse tentazioni: l’ostinazione terapeutica, l’abbandono terapeutico, l’eutanasia. Ma non sempre il possibile tecnico coincide col “doveroso” morale: si rischia di fare troppo, troppo poco, troppo male.
Se, dunque, la fuga e la negazione della morte sono un vagare lontano dalla verità dell’uomo, un errare, un errore e, talvolta, un orrore, come rispondere in modo umano a questo mistero che è la sofferenza, specialmente quella dei bambini? Il prof. Anzani cita papa Francesco e Giovanni Paolo II: la risposta è nell’affidamento e nell’accompagnamento amoroso. Questa è la bussola che permette di avere discernimento anche nelle varie situazioni pratiche e nei dilemmi medici ed etici ben descritte dal docente nella sua relazione.
Quando poi, per trovare un aiuto nella risoluzione di tali casi, ci si avvale dell’ausilio di un comitato etico, questo – ha ricordato la prof.ssa Maria Luisa Di Pietro, docente di bioetica e membro del Comitato Etico dell’OPBG, Roma – deve essere il luogo del confronto, luogo delle decisioni da prendere con l’ausilio delle professionalità diverse, di linguaggi diversi.
Proprio per questo, poiché si parlano linguaggi solo apparentemente uguali (ma differenti per competenze, per convinzioni) la bioeticista ha ricordato la necessità di dare il corretto significato ai termini che affollano i dibattiti bioetici: etica, persona, libertà, responsabilità, compassione … Solo così il processo decisionale del comitato etico diventa quell’ “essere capaci di viaggiare insieme”, che trova la meta condivisa non solo nel “Migliore Interesse del Bambino” (di difficile  definizione), ma nella cura dei suoi diritti (cui corrispondono i doveri verso di lui).
La seconda parte della mattina ha visto l’analisi e il confronto su due casi pratici, inerenti i cosiddetti “Prolonging-Life Treatments” e la sedazione e l’analgesia nel paziente
terminale pediatrico,  spiegati in tutti i loro aspetti dai medici e infermieri della struttura, coinvolti realmente nelle situazioni descritte: il dott. Sergio Filippelli – la cui esperienza abbiamo raccontato all’inizio -,  la dott.ssa Francesca Stoppa e l’infermiera Federica Cancani.
L’analisi etica si è avvalsa dell’esperienza del prof. Padre Maurizio Faggioni (Accademia Alfonsiana, Roma) e della dott.ssa Caterina Offidani (medico legale e membro del comitato etico dell’OPBG). Ne è emersa la necessità di una formazione etica oltre che medica per gli operatori sanitari, come pure una formazione nell’ambito della comunicazione.
Tale formazione, ha sottolineato nelle conclusioni  mons. Sgreccia, rafforzerà quel lavoro interiore che deve accompagnare la relazione medico-paziente, dove la cura del morente non sarà più solo questione di dosaggio di farmaci e dispositivi medici, ma sarà un processo di mutuo arricchimento e santificazione. Grandi uomini, per piccoli malati. Come Annie e i suoi medici, quei medici speciali che hanno voluto adottarla ed essere la sua mamma e il suo papà.
 
 
 
 

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Massimo Losito

Massimo Losito è docente presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum" di Roma e consigliere del Direttivo de La Quercia Millenaria Associazione Onlus."

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