“L’incontro è il messaggio”. Una frase sintetica, quella pronunciata oggi dal Papa al grand imam di al-Azhar Ahmad Muhammad el-Tayyb, ricevuto alle 12 in Vaticano, che racchiude tuttavia molteplici, fondamentali, connotazioni.
È di fatto un messaggio, questo incontro, in un momento storico come quello attuale in cui la religione islamica è divenuta, secondo l’opinione pubblica, sinonimo di violenza e terrorismo a causa delle brutalità commesse dai jihadisti dello Stato Islamico. Violenze che pongono davanti al serio rischio di un deterioramento dei rapporti interreligiosi. È un messaggio perché l’appuntamento di oggi avviene dopo oltre cinque anni dalla rottura delle relazioni tra la Santa Sede e la prestigiosa istituzione del Cairo, faro del sunnismo mondiale tanto da essere definita, genericamente, in Occidente come il “Vaticano” dell’Islam.
Come sottolinea, infatti, la nota della Sala Stampa vaticana diffusa in mattinata, durante il faccia a faccia “molto cordiale” durato circa 30 minuti, “i due autorevoli interlocutori hanno rilevato il grande significato di questo nuovo incontro nel quadro del dialogo fra la Chiesa cattolica e l’Islam”. Buona parte del colloquio – avvenuto alla presenza di un interprete dall’arabo, il segretario copto egiziano del Papa Yoannis Lahzi Gaid – si è quindi incentrato “principalmente sul tema del comune impegno delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo, il rifiuto della violenza e del terrorismo, la situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel Medio Oriente e la loro protezione”.
Un incontro, dunque, poco diplomatico ma di alta pregnanza spirituale e religiosa. Non c’erano infatti il picchetto della Guardia Svizzera, e il Papa non ha ricevuto l’imam nella Sala del Tronetto, come avviene con i capi di Stato, ma lo attendeva direttamente nella Biblioteca. Al termine dell’incontro, poi, dopo aver salutato l’autorevole delegazione che accompagnava il gran shaykh, ha voluto congedare el-Tayyb con un caloroso abbraccio.
Un altro dono del Pontefice, questo, oltre alla Lettera Enciclica Laudato Si’ consegnata a fine udienza insieme al Medaglione della pace, quello che rappresenta una roccia spaccata in due parti tenute insieme da un ulivo. Il Papa l’ha consegnato mimando il gesto dei due blocchi che si ricongiungono definitivamente. Anche questo un messaggio chiaro. Nessun regalo, invece, da parte dell’imam che risultava essere più serio e composto rispetto al Santo Padre gioviale e sorridente.
All’udienza di oggi erano presenti anche il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il card. Jean-Louis Tauran, e il segretario dello stesso dicastero, mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot. Proprio quest’ultimo, lo scorso 17 febbraio, aveva ricucito definitivamente i reciproci rapporti, dopo una lenta ripresa degli ultimi anni, visitando con una delegazione del Pontificio Consiglio l’università sunnita.
In quell’occasione, Ayuso aveva consegnato una lettera, in cui il cardinale presidente esprimeva “la sua disponibilità a ricevere il Gran Imam e accompagnarlo ufficialmente in udienza dal Santo Padre”. Lo stesso Tauran, dopo l’incontro con il Papa, ha incontrato brevemente a porte chiuse il Grande Imam e la delegazione nella sala dell’Appartamento delle Udienze prima che lasciassero il Palazzo Apostolico, intorno alle 13.
Quello di oggi è stato dunque un ponte, di quelli che Francesco indica come necessari nel tempo odierno, gettato dopo tanti anni di silenzio. L’interruzione del dialogo era stata unilateralmente decisa da al-Azhar dopo un intervento di Benedetto XVI, nel gennaio 2011, che aveva interpretato come ‘indebita interferenza occidentale’ le dichiarazioni del Papa sulla necessità di proteggere i cristiani in Egitto e in Medio Oriente. Parole che l’allora Pontefice aveva pronunciato dopo l’attentato alla cattedrale copta di Alessandria del Capodanno 2011, e che indispettirono il Governo egiziano che richiamò il proprio ambasciatore presso la Santa Sede. Poi l’università sunnita, evocando anche il fatidico discorso di Ratzinger a Ratisbona, decise di sospendere ogni tipo di collaborazione con la Santa Sede.
Una brusca frenata, un gesto estremo, che nella stessa istituzione egiziana non fu percepito da tutti come la soluzione migliore. Il presidente del Comitato per il dialogo interreligioso di Al-Azhar Ali Al-Samman, in una intervista a ZENIT del 2011 aveva dichiarato fermamente: “Non avrei bloccato il dialogo in questo modo. Forse avrei preferito un periodo di passaggio, durante il quale tenere riunioni per arrivare ad una soluzione soddisfacente per ambedue le parti, senza dover congelare il dialogo”. Senza alcun dubbio sarebbe stata preferibile una reazione più prudente, aggiungeva Al-Samman, “specialmente per il fatto che all’interno del Vaticano vi è un grande numero di persone in grado di fare da intermediari per risolvere le crisi con meno danni possibili. Rimangono importanti in questa faccenda i cristiani del Medio Oriente, i loro interessi, e la loro presenza, e ciò che noi possiamo fare per loro”.
Su questa scia, Papa Francesco aveva poi voluto tendere per primo la mano, inviando pochi mesi dopo la sua elezione esattamente il 17 settembre 2013, una lettera alla prestigiosa Università sunnita in cui esprimeva stima e rispetto “per l’islam e i musulmani” insieme all’auspicio di un reciproco impegno nella “comprensione tra cristiani e musulmani nel mondo, per costruire la pace e la giustizia”.
In quell’occasione, il segretario del Patriarcato di Alessandria dei copti cattolici, padre Hani Bakhoum, aveva dichiarato all’agenzia Fides: “Sicuramente questa lettera aiuterà col tempo a mettere da parte ogni incomprensione a anche a riprendere il dialogo bilaterale con la Santa Sede”. Parole che, a distanza di tre anni, si sono rivelate profetiche.