Fra Tommaso da Olera

Wikimedia - Ago76

Tommaso da Olera: un “vero pazzo d’amore”

L’umile cappuccino bergamasco, che si autodefiniva “vile, semplice, ignorante e gran peccatore”, è diventato un modello per vivere in letizia il Giubileo della Misericordia

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Chi era Tommaso da Olera (1563-1631), beatificato a Bergamo alta, nell’affollata cattedrale dedicata a sant’Alessandro, il 21 settembre 2013, in un pomeriggio di sole e di vento?
Leggendo alcune delle sue numerose autodefinizioni, si viene a sapere che fra Tommaso pensava di essere, in un crescendo negativo, un «povero religioso», un uomo «vile, semplice, ignorante e gran peccatore», «il più vile uomo del mondo» e perfino «feccia e sterco di peccatori»; ma anche – in un crescendo positivo – un «cappuccino bergamasco», un «povero e mendico servo di Gesù Cristo», un «fratello in Cristo affezionatissimo» e «un vero pazzo d’amore».
Chi era fra Tommaso, meglio noto come Tommaso da Bergamo, secondo chi l’aveva conosciuto intus et in cute, dentro e fuori, per averlo frequentato nella quotidianità? Sto parlando di Ippolito Guarinoni, medico dell’arciduca Leopoldo V a Innsbruck e delle arciduchesse ad Hall, come pure degli operai delle miniere di Taufers e dell’umile gente che popolava la sterminata valle dell’Inn.
Per i suoi grandi meriti in campo scientifico e religioso, nel 1637 l’imperatore Ferdinando II lo nominò conte palatino e gli accordò grandi onorificenze e diritti, mentre papa Innocenzo X gli conferì il titolo di “cavaliere dello Sperone d’oro”.
Per fra Tommaso il Guarinoni nutriva «una profondissima venerazione […] e fu suo servo e a lui legato da profonda familiarità». Per lui scrisse una biografia, in cui lo definisce «un pio e ardente amante di Dio» e compendiò l’intera sua vita in un epitaffio: «L’altro Tommaso non avrebbe mai creduto se prima non avesse visto il Signore, / tu invece, senza volerlo vedere, spesso lo vedi. / E lui, l’apostolo diletto, arse solo dopo averlo visto, / al contrario il tuo amore per lui era senza limiti di tempo. / Quanto più ardevi, più l’ardore insaziabile / s’impossessava della tua mente, del tuo cuore, della tua lingua, di tutte le tue fibre. / E poi, perché meravigliarsi se, salendo la fiamma dal basso verso l’alto, / anche tu vieni rapito là dove la fiamma sale? / Nemmeno ciò è sufficiente per te, Fratello pio, / perché tu trascini anche coloro che tu amavi, accesi di pari amore».
Preghiera di Tommaso
Come pregava fra Tommaso? È ancora il Guarinoni, nato a Trento nel 1571 e laureatosi in medicina a Padova (1597), a farci conoscere il suo modo di pregare: «Vidi per la prima volta il cappuccino Tommaso da Bergamo, reverendo di grande devozione, insigne per pietà e di esimia memoria, intorno al 1617, quando giunse a casa mia, dove poi pernottò […]. Di Tommaso, che non avevo mai visto prima di allora e che ancora non conoscevo, ammirai il silenzio durante la cena e il modo in cui si assentò con la mente dalla mensa. Il giorno dopo […] mi misi ad osservare fra Tommaso mentre padre Thaler celebrava la messa.
[…] Stava in ginocchio accanto all’altare laterale di santa Maddalena, chino a terra, e io lo osservavo mentre, con lo sguardo al cielo, le dita delle mani ben congiunte e con grande partecipazione, pregava non tanto con la bocca – infatti non muoveva le labbra – quanto con la mente, traendo dei sospiri e versando qualche lacrima. Questo era il suo modo abituale di pregare. […] Nei suoi discorsi fra Tommaso non era mai dimentico dell’amore divino, il suo preferito e unico argomento, per cui desiderava che tutti ardessero e si trasformassero in faville celesti, come apparirà evidente in seguito dalla descrizione dei suoi comportamenti».
Un tipico esempio del modo di pregare di Tommaso lo scopriamo nella Supplica a Gesù Crocefisso (cfr. Tommaso da Olera, Selva di contemplazione, a cura di Alberto Sana, Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 284-285 e 434). In tale “supplica”, breve ma intensa, affettiva secondo lo stile della spiritualità francescano-cappuccina ma profonda, precisa e (perché no?) innovativa nei suoi contenuti teologici, scopriamo i temi della sua singolare mistica. La trascrivo in lingua corrente e ne scoprirò poi i tesori nascosti attraverso un tentativo ermeneutico, atto ad evidenziare “il non detto”.
Supplica al Crocifisso
Io poverino, prostrato ai tuoi piedi e indegno di levare gli occhi al cielo, ti prego, per la tua morte crudele, di guardarmi con occhi di misericordia. Prima di guardare i miei peccati, guarda le tue mani. Guardami attraverso i fori delle tue piaghe. Passino i tuoi occhi per quei fori e non sia la tua giustizia a cadere su di me, poiché quelle ferite furono fatte dalla tua misericordia. Donami un cuore nuovo affinché, nascosto nella ferita del tuo fianco squarciato, io possa d’ora in poi amarti con amore puro, disinteressato. Concedimi un raggio di Spirito Santo, affinché la sua luce rischiari la mia cecità e le tenebre non mi impediscano di vedere te, dolce riposo dell’anima mia.
Ed ecco la struttura teologica della “supplica”. A una prima lettura, appare evidente come fra Tommaso, prostrato davanti al Crocifisso, metta in campo l’intera famiglia divina, cioè le tre Persone della Santissima Trinità: Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo. Compaiono pure le operazioni di ciascuna di esse: Dio è giustizia, Dio è misericordia, Dio è luce. Non è, invece, evidente il passaggio, “in dissolvenza”, dall’una all’altra. Lo si comprende solo dopo aver analizzato attentamente tre momenti. Il primo: Dio, Padre giusto, vede fra Tommaso, «gran peccatore», prostrato ai suoi piedi. Il secondo: Dio Padre guarda «il poverino» non direttamente, ma attraverso «le sante ferite che [il Figlio] ha nelle mani, nei piedi e nel costato […] per gloria di suoi cari amici». Terzo momento: Dio Giustizia vede fra Tommaso attraverso quelle ferite, diventate feritoie (in esse non scorreva più il sangue e «ognuna di quelle ferite risplendeva come tanti soli»), e si trasforma in Dio Misericordia. Non solo: la giustizia divina, passando attraverso la carne crocifissa del Figlio, capro espiatorio «per noi e per tutti», dopo essere diventata misericordia, si placa in un ulteriore passaggio e si materializza in Luce di Spirito Santo.
I suoi più grandi affetti
Dopo avere sperimentato la giustizia, trasformata in misericordia e in luce di Spirito Santo, come desiderava vivere il «pio e ardente amante di Dio»? Lui, che si sentiva indegno di alzare gli occhi al cielo; che voleva essere guardato «con occhi di misericordia»; che desiderava nascondersi nella ferita del suo «fianco squarciato»; che si proponeva di ricambiare il suo amore puro con un amore disinteressato; che «nel secolo professava d’esser un contadino, e un pastore delle pecore» e che in convento «lavava le scutelle, faceva la cerca, tagliava legni, zappava l’horto»? Il pio e ardente amante di Dio, fra Tommaso, bramava solo diventare «un vero pazzo d’amore».
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Per info: www.fratommaso.eu
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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ZENIT Staff

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