Lo stupore. Ancora una volta papa Francesco ha colpito nel segno, toccando una corda emotiva che vibra forte nel cuore dell’uomo: “non dimenticatevi questa parola: stupore”, ha detto il Santo Padre durante l’Angelus di domenica 20 dicembre.
Lo stupore è una sensazione intensa di meraviglia che toglie quasi la capacità d’agire: “Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi”, scriveva Dante Alighieri, nel XXII canto del Paradiso. Quello del poeta è lo stupore di un bambino pieno di fiducioso abbandono: “come parvol che ricorre sempre colà dove più si confida”.
Lo stupore di cui parla papa Francesco riconduce anch’esso ad emozioni dell’infanzia scolpite nella nostra memoria. “Per celebrare in modo proficuo il Natale, siamo chiamati a soffermarci sui ‘luoghi’ dello stupore”, ha detto infatti il Santo Padre. E quale esperienza, più del Natale, s’identifica con il nostro essere stati bambini?
Lo stupore – insieme alla gioia, alla timidezza, alla speranza ed altri analoghi sentimenti – riconduce a quel nucleo profondo di umanità che è in noi e che dobbiamo difendere dalle minacce del pensiero materialista. Quel nucleo di umanità che racchiude infiniti orizzonti di senso e che rende la vita degna d’essere vissuta.
Ma quali sono questi “luoghi” dello stupore nella vita quotidiana? Papa Francesco lo spiega con il suo mirabile potere di sintesi: l’altro, “nel quale riconoscere un fratello perché porta impresse le sembianze del Figlio di Dio”; la storia, “che scombina le carte: rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote”; la chiesa, “che esce dalle proprie porte per cercare con sorriso di madre tutti i lontani e portarli alla misericordia di Dio”.
Tre “luoghi” simbolici, emotivi e concreti che possono aiutarci a “celebrare in modo proficuo il Natale”. Per restare in tema di poesia – e per celebrare il Natale con la poesia – abbiamo scelto tre componimenti che, attraverso il fitto reticolo di analogie che fanno parte del sentire poetico, riconducono alle parole del Santo Padre. Tre poesie che “sentono” nel Natale il momento perfetto nel quale dare corpo a quei valori intuitivi che accedono al cuore dell’esistenza.
La dimensione dell’altro ci sembra possa ritrovarsi, con un afflato di umana empatia, in una bella poesia di Roberto Allegri, La scia del Natale, dove il senso della famiglia come nucleo di identità e di valori – “La voce d’una mamma, / la mano di un fratello / e il sorriso di un nonno” – riafferma l’esigenza imprescindibile di un “luogo” formativo dell’esperienza.
Il divenire della storia trova invece una sua poetica rappresentazione in un intenso componimento di Maurizio Soldini, intitolato Il tempo migliore, dove la drammatica esperienza di questo inizio millennio – “Desolate le muraglie del cuore / a piatire passaggi di frontiera” – trova un suo escatologico compimento in una dimensione altra: un “luogo dello stupore” dove salirà nel cielo “la gratitudine per il tempo migliore”.
E accanto ai validissimi contemporanei, vogliamo citare una figura emblematica della letteratura di fine ‘800: Giovanni Pascoli. Con una poesia che appartiene ai “classici” del Natale: Le ciaramelle. Una poesia dove il “luogo dello stupore” della chiesa, di cui parla Papa Francesco, trova la sua più bella e compiuta rappresentazione: “Nel cielo azzurro tutte le stelle / paion restare come in attesa; / ed ecco alzare le ciaramelle / il loro dolce suono di chiesa; / suono di chiesa, suono di chiostro, / suono di casa, suono di culla, / suono di mamma, suono del nostro / dolce e passato pianger di nulla”.
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LA SCIA DEL NATALE
di Roberto Allegri
I miei bambini dormono.
I loro sogni si addensano
come polvere di luce.
E diventano la scia
per seguire il Natale.
Il Natale di quando
anch’io avevo
gli anni sottili
e mi aggrappavo al sonno
tremando di eccitazione
nella notte più santa.
Ti aspetto ancora,
Natale.
Sto qui seduto
in compagnia del respiro
dei bimbi.
Al buio.
E ti sento entrare
adagio,
un passo di lancetta
alla volta.
Un chiarore
che non offende.
Un dolce sonaglio
che non spaventa.
Un fruscio di muschio,
un sentore di freddo
asciutto.
La voce d’una mamma,
la mano di un fratello
e il sorriso di un nonno.
Ricordi del futuro
e speranze del passato.
Arriva
che la notte è a metà.
Mi trova a sussurrare
ninne nanne.
Allora, cullo
anche il Natale
ora nato.
Senza desiderare nulla,
solo accettando.
A tutti gli uomini
di buona volontà,
cantavano gli angeli.
A tutti.
Senza divisioni
di credo o divisa,
di pelle o parlata.
Perché siamo tutti
sulla scia d’un respiro,
sul pensiero d’un sogno.
Polvere dorata
nella clessidra più grande.
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Il TEMPO MIGLIORE
di Maurizio Soldini
I lacci del freddo in angoli bui
fanno tremare gli zigomi e il vento
sferza da lontano un canto nel mento.
S’accende quel lume che spinge
il desiderio a dormire su lastre
di ghiaccio finché non assola.
Desolate le muraglie del cuore
a piatire passaggi di frontiera
senza diffondersi in sfumate chiuse.
Finirà l’inverno e fiorirà la rosa
e salirà nel cielo un inno d’amore
la gratitudine per il tempo migliore.
***
LE CIARAMELLE
di Giovanni Pascoli
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
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La poesia e i “luoghi dello stupore”
Tre componimenti poetici che riconducono al concetto pronunciato dal Santo Padre durante l’Angelus