Quando Papa Francesco parla di “periferie esistenziali” si riferisce ai luoghi aridi d’amore umano, al quale il denaro non può mai sopperire. Sono, questi, i luoghi che andava ad abitare con la sua misericordia Madre Teresa di Calcutta, che sarà presto canonizzata.
Sari bianco bordato di tre strisce azzurre, crocetta sulla spalla sinistra, golfino scuro posato sulle spalle, rosario stretto tra le dita. L’immaginario collettivo colloca la missionaria albanese – sempre identica nelle numerose foto che la ritraggono – piegata sui poveri del Terzo Mondo: abbracciata a un bimbo deperito o intenta a sfamare un affamato.
Tuttavia la sua misericordia – in quanto evangelica, integrale e non ideologica – cinse ogni tipo di miseria umana, quella materiale quanto quella spirituale. Quest’ultima, anzi, era considerata da Madre Teresa la più perniciosa. Non ebbe mai alcuna reticenza nell’affermare che è molto più difficile arrestare la povertà dei Paesi occidentali che non quella del Sud del mondo.
Nel libro La mia vita (ed. Bompiani, a cura di J.L. Gonzalez-Balardo e J.N. Playfoot), confida che per soddisfare un indigente abbandonato sul ciglio di una strada di Calcutta, non bisogna far altro che offrirgli del cibo. Non basta tutto l’oro del mondo, invece, per rimediare alla mancanza che risuona tra le pareti di un cuore afflitto.
La missionaria, in una sua riflessione, analizza un mito tipico dell’uomo moderno: sentirsi in grado di poter fare tutto senza bisogno di Dio. “In realtà, cercando di far prescindere dalla propria vita Dio” – sottolinea Madre Teresa – si “produce sempre maggior miseria e tristezza”. Lo testimoniano gli effetti deleteri, spesso tragici, della superbia umana. Violenza, malattia e morte sono sovente le conseguenze di atti che l’uomo compie con la convinzione di raggiungere così la propria felicità. O meglio, il proprio appagamento.
Di quanta e quale sofferenza è stata foriera, ad esempio, l’esperienza della rivoluzione sessuale. Presentata dai suoi fautori come un moto di liberazione dalle catene morali che opprimevano il piacere fisico, si è rivelata tuttavia la porta d’accesso verso il baratro. Dietro le immagini conturbanti e le bandiere arcobaleno, si celava in realtà il grigio scenario di una moltitudine di volti consunti e dagli occhi spenti. Molte di quelle stesse bocche che nel ’68 intonavano il motto “free love”, si ritrovarono presto costrette soltanto ad emettere sofferenti colpi di tosse.
Fu all’inizio degli anni ’80 che gli scienziati, studiando l’insorgere di una nuova, letale malattia in alcuni pazienti degli Stati Uniti, scoprirono l’Aids. Rivelatasi presto un’epidemia con un indice di mortalità che nei primi tempi fu vicino al 100%, fu uno dei peggiori flagelli che abbiamo colpito l’umanità. Tra i grattacieli di New York, considerata una delle capitali della rivoluzione sessuale, l’Aids negli anni ’80 fece incetta di contagi e di vittime, specie tra giovani illusi dalle promesse dei piaceri effimeri. Considerati dei moderni lebbrosi, quanti erano affetti da questa malattia venivano talvolta persino rifiutati dagli ospedali.
È in questo clima di rigetto e di paura nei confronti dei malati di Aids, che Madre Teresa decise di intervenire. E lo fece con lo stesso spirito con cui, anni prima, raccolse un moribondo su un marciapiede di Calcutta, infrangendo il millenario tabù degli intoccabili, in India, e dando inizio alla sua missione. Si rivolse quindi al card. Terence Cooke, l’allora arcivescovo di New York che – a detta della stessa religiosa – amava molto le Missionarie della Carità, la congregazione di suore da lei fondata. E in breve tempo, grazie alla sua eroica forza di volontà e al contributo fattivo della Chiesa, la vincitrice del Premio Nobel per la Pace fondò la Gift of Love (Dono d’Amore), una casa adibita all’accoglienza e alla cura di malati di Aids.
Il luogo in cui la struttura venne aperta assume un enorme valore simbolico. È a Greenwich Village, il quartiere newyorkese in cui è nato e si è sviluppato il movimento omosessuale. È tra queste vie che aveva preso forma mistificatoria la chimera della gaiezza, travolta poi dalla tragedia di questo sinistro male. E fu altrettanto simbolica la data in cui la Gift of Love venne inaugurata. Era il 25 dicembre 1985, il giorno di Natale di trent’anni fa. Fu un dono per questi “poveri tra i poveri” prodotti dall’edonistica società occidentale.
Un dono d’accoglienza, cura, soprattutto di amore di Gesù nei loro confronti. Nel libro in questione, Madre Teresa racconta a proposito della Gift of Love: “Iniziammo con quindici letti per altrettanti ammalati, e i primi internati furono quattro giovani che riuscii a trarre fuori dal carcere perché non volevano morire lì. Avevo preparato per loro una piccola cappella, di modo che quei giovani, che forse non erano mai stati vicini a Gesù o forse se n’erano allontanati, potessero, se volevano, riaccostarsi nuovamente a Lui”.
Ebbene, la stessa missionaria albanese spiega che “a poco a poco, grazie a Dio, i loro cuori si raddolcirono”. In particolare racconta di un incontro con uno di quei giovani che, dato il livello ormai acuto della malattia, doveva essere trasferito in ospedale. Questo ragazzo si confidò con lei, dicendole: “Madre Teresa, quando il mal di testa è più forte (è uno dei sintomi dell’Aids) penso a Gesù coronato di spine. Quando il dolore è nella schiena, penso alla flagellazione di Gesù. Se mi dolgono le mani o i piedi, penso ai chiodi della crocifissione. Mi porti alla casa. Voglio morire vicino a lei”.
Madre Teresa riferisce allora che, ricevuta l’autorizzazione del medico, accompagnò il giovane fino alla cappella. “Lo vidi pregare Gesù – afferma -. Lo fece con una devozione che mi lasciò oltremodo sorpresa. Morì tre giorni dopo”. La missionaria riflette: “In lui si era prodotta una trasformazione molto profonda”.
E molto profonda è la traccia che ha lasciato nella storia Madre Teresa: “una piccola matita nelle mani di Dio”, come lei stessa amava definirsi. Piccola ma in grado di compiere gesti grandiosi, controcorrente. Gesti che illuminano la notte oscura di un’umanità superba. Un po’ come il Bambino che dalla grotta di Betlemme irradia di luce nuova un mondo corrotto. E che noi ci apprestiamo a celebrare il prossimo 25 dicembre. Che è anche il 30esimo anniversario della Gift of Love di New York.