Prima il bronzo delle Basiliche di San Pietro e San Giovanni in Laterano, ora due semplici ante di vetro che si aprono con uno scatto. È una porta ancora più umile di quella in legno e mattoni della cattedrale di Bangui, la ‘Porta Santa della Carità’ spalancata oggi pomeriggio da Bergoglio nell’Ostello ‘Don Luigi di Liegro’ della Caritas diocesana.
La struttura, insieme alla Mensa ‘San Giovanni Paolo II’, – entrambe inaugurate il 10 dicembre scorso dopo un’imponente opera di riqualificazione e ampliamento – sorgono a due passi dalla Stazione Termini e offrono ogni notte accoglienza a circa 195 senzatetto e un pasto caldo ad almeno 500/ 600 persone ogni giorno.
Tra queste, circa 200 sono state scelte per accompagnare il Santo Padre in questa speciale funzione, in rappresentanza degli ospiti di tutti centri accoglienza della Caritas di Roma. Ovvero tutti gli “scartati” di cui Francesco si è voluto circondare per celebrare il Giubileo della Misericordia, perché in loro si riflette l’immagine di Dio. E “sarebbe bello – ha affermato il Pontefice nella sua breve omelia, tutta a braccio – che ognuno di noi, ognuno dei romani”, si sentisse come loro, “scartato”, in modo da sentire “il bisogno dell’aiuto di Dio”.
Fondamentalmente è questo il messaggio che il Pontefice ha voluto trasmettere alla Capitale e al mondo varcando questa comunissima Porta, sormontata dal mosaico del gesuita Marko Ivan Rupnik raffigurante l’icona del Giubileo. Il messaggio che Dio bisogna cercarlo “nell’umiltà”, “nella povertà”, “nei bisognosi, nei malati, negli affamati, nei carcerati”. E che “la strada delle ricchezze, della vanità e dell’orgoglio non sono strade di salvezza”, ha affermato il Santo Padre.
Tantomeno Cristo nel suo ultimo Giudizio dirà: “Tu vieni con me perché avete fatto tante belle offerte nella chiesa”. “No!”, ha detto Bergoglio, “l’entrata al Cielo non si paga con i soldi”. E Gesù non dirà neppure “tu sei molto importante, tu hai studiato tanto e hai avuto tante onorificenze. Le onorificenze non aprono le porte del Cielo”. Cristo semmai dirà: “Ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero ammalato, ero in carcere e mi siete venuti a trovare…”.
Perché “Gesù è nell’umiltà”. Lui – ha spiegato il Pontefice – “viene a salvarci” e “non trova miglior maniera per farlo che camminando con noi, fare la vita nostra. E nel momento di scegliere il modo come fare la vita, non sceglie una grande città di un grande impero, non sceglie una principessa, una contessa per madre, una persona importante, non sceglie un palazzo di lusso”, ma anzi sceglie “una ragazzina di 16-17 anni, non più, in un villaggio perduto nelle periferie dell’impero romano che nessuno conosceva”. E sceglie Giuseppe “un ragazzo che l’amava, che voleva sposarla, un falegname che guadagnava il pane”.
“Sembra che tutto sia stato fatto intenzionalmente quasi di nascosto”, ha osservato il Pontefice. E tutto avviene così: nella “semplicità” e nel “nascondimento”. Tutto nell’umiltà, senza che “le grandi città del mondo” sapessero nulla della nascita del Figlio di Dio. “Per questo oggi – ha detto il Papa – ad aprire questa Porta Santa io vorrei che lo Spirito Santo aprisse il cuore di tutti i romani, gli facesse vedere qual è la strada della salvezza. Non c’è lusso, non c’è la strada delle grandi ricchezze, non c’è la strada del potere, c’è la strada dell’umiltà. I più poveri, gli ammalati, i carcerati…”. E Gesù dice di più: “I peccatori, se si pentono, ci precederanno nel Cielo. Loro hanno la chiave. Quello che fa la carità è quello che si lascia abbracciare dalla misericordia del Signore”.
Quindi – ha rimarcato Francesco – aprendo questa Porta Santa, chiediamo due cose: “Primo che il Signore ci apra la porta del nostro cuore. A tutti, perché tutti ne abbiamo bisogno, tutti siamo peccatori, tutti abbiamo bisogno di sentire la parola del Signore. Secondo, che il Signore faccia capire che la strada delle ricchezze, della vanità e dell’orgoglio non sono strade di salvezza. Il Signore ci faccia capire che la sua carezza di Padre, la sua misericordia, il suo perdono è quando noi ci avviciniamo a quelli che soffrono, quelli scartati dalla società. Lì è Gesù. Questa Porta è la Porta della carità, la Porta dove sono assistiti tanti tanti scartati”.
“Oggi noi preghiamo per Roma, per tutti gli abitanti di Roma”, ha concluso Francesco, “per tutti. Incominciando da me. Perché il Signore ci dia la grazia di sentirci scartati perché non abbiamo alcun merito. Soltanto Lui ci dà la grazia. E per avere questa grazia dobbiamo avvicinarci ai poveri. Su questo avvicinamento noi saremo giudicati”. “Che il Signore oggi – è l’auspicio finale del Pontefice – aprendo questa porta, dia questa grazia a tutta Roma, a ogni abitante di Roma per poter andare avanti in quell’abbraccio della misericordia dove il Padre prende il Figlio ferito ma il ferito è il Padre: Dio è ferito d’amore e per questo è capace di salvarci tutti”.
Gli stessi ‘poveri’ hanno curato l’animazione della Messa: i canti, le letture e le preghiere dei fedeli. Dal quarantenne Angelo Zurolo, residente nell’Ostello e redattore del giornale Gocce di Marsala realizzato dagli ospiti della struttura che ha letto la prima lettura, a Rita Quaranta. residente nella “Cittadella della Carità” di Ponte Casilino, che ha letto il Salmo, o alla giovane mamma del centro di accoglienza “Casa di Cristian” per famiglie disagiate con bambini che ha scritto e letto le preghiere dei fedeli.
Il Papa, al termine della Messa, li ha salutati uno per uno. Poi, privatamente, ha incontrato un altro gruppo di malati ai quali ha espresso il seguente augurio: “Il Signore quando è nato era lì nella mangiatoia e nessuno si era accorto che era Dio. In questo Natale vorrei che il Signore nascesse nel cuore di ognuno di noi, nascosto; che nessuno se ne accorga, ma che il Signore ci sia”.