Esiste un modello di risposta alle persecuzioni tipicamente cristiana? La risposta dei cristiani alle persecuzioni é cambiata nel tempo, secondo le circostanze storiche e culturali? Che cosa s’intende per persecuzione religiosa? Queste alcune delle domande sollevate durante il convegno, “Sotto la Spada di Cesare”, organizzato dal centro per i diritti umani e civili dell’Università di Notre-Dame, e dal progetto sulla libertà religiosa del Centro Berkley (Università di Georgetown). Il convegno si è tenuto nell’aula magna dell’Università Urbaniana, allo scopo di rendere noti i primi risultati di un progetto internazionale e triennale di ricerca diretto da Daniel Philpott (Università di Notre-Dame).
Sebbene l’attenzione alle persecuzioni possa suscitare sentimenti di auto-commiserazione da parte di chi è perseguitato, o di fobia nei confronti dei regimi e ideologie totalitarie, sia l’una sia l’altra deriva sono state abilmente evitate dai relatori, religiosi e laici, che hanno invece offerto testimonianze umili e coraggiose di solidarietà, dialogo sincero e resistenza pacifica, in paesi come l’Europa dell’Est, la Repubblica Africana Centrale, l’Eritrea, il Pakistan, l’Egitto, e l’India.
All’apertura del convegno mons. Paul Richard Gallagher, segreterio vaticano per i rapporti con gli Stati, ha fatto presente che le persecuzioni dei cristiani nel mondo stanno aumentando, e sono la maggioranza, ma non vanno dimenticati anche i perseguitati delle altre religioni. Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio ed ex-Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, ha poi illustrato l’esempio luminoso dei martiri cristiani del novecento: cristiani di diverse denominazioni accomunati tutti dall’esperienza di persecuzione da parte di regimi totalitari molto comuni nel ‘900.
Tra i tanti esempi, Riccardi ha ricordato il caso del Pastore Schneider, amico di Bonhoffeur, che rifiutandosi di rendere omaggio a Hitler, fu imprigionato, torturato e ucciso nel lager di Buchenwald. In risposta alla violenza e alla persecuzione, i martiri cristiani del novecento scelsero di offrire la propria vita per il vangelo. Pur non essendo dei kamikaze, e non cercando la propria o altrui morte, essi non fecero della salvaguardia della propria vita il valore supremo.
Il martirio costituisce evidentemente una risposta tipicamente cristiana alla violenza e alla persecuzione, ma non certamente l’unica. Accanto al dono della propria vita, e alla testimonianza luminosa di perdono nei confronti dell’oppressore, i cristiani hanno reagito alle persecuzioni anche con dichiarazioni, e proclami di principio sull’importanza della libertà religiosa. Un caso emblematico è la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa, Dignitatis Humanae, del Concilio Vaticano II.
Timothy Shah (Università di Georgetown) ha ricordato come tale Dichiarazione sia stata elaborata durante l’era del comunismo, quando i cristiani dell’Est – Europa, ma non solo, subivano violenza in virtù della loro fede da parte del regime. La Dichiarazione sulla Libertà Religiosa fu una risposta di principio alla persecuzione, affermando il valore della libertà religiosa per tutti, non solo dei cristiani. A questa proclamazione di principio, la Chiesa giunse con il tempo (Russell Hittinger, Università di Tulsa), portando a maturazione una riflessione millenaria sulla libertà di coscienza e la dignità umana (George Weigel, Centro per l’Etica e la Politica Pubblica).
Oggi, i cristiani non sono perseguitati solo da parte dei regimi totalitari, né solo da parte dei movimenti radicali islamici, ma anche da parte del secolarismo e relativismo etico. Questo è vero sopratutto nei paesi occidentali, europei e nord-americani, dove la nuova ideologia del secolarismo spesso impedisce l’espressione pubblica della credenza religiosa, cristiana e non. La risposta a questo nuovo tipo di restrizione della libertà religiosa può essere politica, ma anche ‘intellettuale’, ha affermato Paul Marshall (Istituto Hudson).
In un contesto di crescente secolarizzazione, i cristiani devono sapere rendere ragione della propria fede, con argomentazioni comprensibili e plausibili. Non ha senso, ha aggiunto Mons. Thomas Halik (Accademia Cristiana Ceca), nutrire sentimenti di nostalgia per un passato, come quello dell’impero cristiano, che non può ritornare. Piuttosto, bisogna cercare di costruire un secolarismo sano, grazie a quella che Papa Benedetto XVI definiva la sintesi tra ragione e fede.
Questo vale anche per il Medio – Oriente, dove la soluzione ai conflitti etnici – religiosi che interessano da secoli Turchia, Siria, Iraq, Libano, Pakistan, non va ricercata nella creazione di isole separate e autonome (Elizabeth Prodromou, Università Tufts), o nel conferimento di uno statuto di protezione speciale per cristiani (Angaelos, Vescovo generale della Chiesa copta ortodossa nel Regno Unito), ma nell’eguale conferimento della cittadinanza, a prescindere dall’appartenenza religiosa (Sako, Patriarca della Chiesa cattolica caldea).
Nell’attesa che questo avvenga, i cristiani possono continuare tra le altre cose a interpellare e appellarsi alla comunità internazionale, affinché sensibilizzi i governi locali al rispetto della libertà religiosa. In questo sforzo, tuttavia, la comunità internazionale deve anche dare prova di coerenza, offrendo per prima l’esempio di accoglienza e di rispetto delle minoranze religiose (Pasquale Ferrara, Segretario Generale, Università Europea di Firenze), non da ultimo dei rifugiati siriani di religione musulmana.
In conclusione, le tre giornate del convegno sono state un’ occasione per riflettere e condividere esperienze ed analisi sulle persecuzioni cristiane nel mondo, spesso ignorate dall’opinione pubblica. A seguito del convegno, i risultati della ricerca triennale verranno pubblicati in un volume collettaneo, raccolti in un documentario, e diffusi nelle scuole.