Affondano nel profondo della storia le radici dell’amicizia tra Ungheria e Polonia. Fin dal medioevo le due nazioni della Mitteleuropa si sono ritrovate gomito a gomito non solo per ragioni geografiche, ma anche per difendere insieme la propria sopravvivenza o un comune patrimonio di valori.
I popoli ungherese e polacco hanno condiviso la stessa barricata a più riprese in periodi di tempo anche dilatati. Insieme si opposero alle scorribande turche, alle brame imperialiste dei prussiani, più di recente all’incedere dei sovietici.
Questa singolare affinità che sfocia in alleanza tra due Paesi europei fu sintetizzata così, nella metà del XIX secolo, nel periodo delle rivoluzioni che infiammarono il Vecchio Continente, dal rivoluzionario polacco Stanislaw Worcell: “L’Ungheria e la Polonia sono due querce antiche, con due tronchi distinti, ma le loro radici si distendono ampiamente e si intrecciano sotto la superficie, collegandosi invisibilmente. Per questo l’esistenza e vigore di uno è la condizione della vita dell’altro”.
Queste “due querce antiche”, nei mesi scorsi, hanno creato un argine al flusso di migranti dal Medio Oriente, dissociandosi entrambe dalla linea condivisa a Bruxelles dagli altri Paesi dell’Unione europea. Decisione, quella di Ungheria e Polonia, che è stata considerata politicamente scorretta, a tal punto da far scomodare tirannici esempi storici in cui inquadrare il loro atteggiamento.
Biasimi che tuttavia non hanno svilito la tempra dei due Paesi dell’Est. Ancora una volta, lo scorso 3 dicembre, Budapest e Varsavia hanno infatti sfidato il pensiero dominante negli uffici di Bruxelles.
Stavolta le “due querce antiche” non hanno dovuto impugnare – come accaduto invece nel corso della storia – delle baionette, ma si sono spartite una barricata soltanto ideale. Nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, i capi dei dicasteri della Giustizia di Ungheria e Polonia hanno unito le forze per bloccare un pacchetto legislativo che era in discussione da cinque anni.
Il pacchetto in questione si prefiggeva lo scopo di standardizzare il rapporto matrimoniale o le unioni civili in modo da “ridurre l’incertezza per quanto riguarda i diritti di proprietà delle coppie transfrontaliere”. Per determinare, dunque, quale giudice avrebbe dovuto avere giurisdizione in casi di controversie tra cittadini sposati (o uniti civilmente) che appartengono a due Paesi diversi.
La nuova norma, che avrebbe riguardato circa 17 milioni di cittadini europei, per passare aveva bisogno dell’unanimità. Il presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, il lussemburghese Felix Braz, fiutando le perplessità polacco-ungheresi, prima del voto aveva garantito: “Questo progetto lascia intatte le istituzioni sia matrimoniali che di convivenza, poiché sono questioni definite dalle leggi nazionali degli Stati membri”.
Rassicurazioni, quelle dispensate da Braz, che non hanno però convinto i ministri della Giustizia di Budapest e Varsavia, i quali dietro il termine “standardizzare” intravedevano già il rischio di vedersi costretti ad accettare istituti giuridici (come ad esempio i “matrimoni” tra persone omosessuali) che non esistono nei loro Paesi.
Di qui la decisione di votare contro, bloccando in tal modo l’attuazione del pacchetto legislativo. Barna Berke, ministro della Giustizia ungherese, ha spiegato il suo voto dichiarando che questa proposta viola l’identità nazionale degli Stati membri. “Penso che sia chiaro ed evidente che le tradizioni e i valori legati alla famiglia, quale elemento fondante della società, sono parte dell’identità nazionale”.
Al ministro magiaro hanno fatto eco le parole di Lukasz Piebiak, sottosegretario al Ministero della Giustizia polacco, il quale ha sottolineato che le due proposte entrano in conflitto con i principi in materia di famiglia nonché con la Costituzione della Polonia.
Gli altri ministri presenti al Consiglio hanno reagito in modo indignato al voto contrario di Ungheria e Polonia. Il tedesco Heiko Maas ha definito l’esito del voto “molto deludente, per usare un’espressione diplomatica”. Più esplicito il suo collega Morgan Johansson, ministro della Giustizia svedese, che ha rimproverato Ungheria e Polonia rilevando che “l’Europa non può essere costruita su discriminazioni di qualsiasi tipo”.
Le parole del guardasigilli svedese lasciano dedurre che le preoccupazioni di Ungheria e Svezia fossero alquanto fondate. Dietro l’appello a non commettere discriminazioni, infatti, si cela l’invito ad estendere gli istituti giuridici come le unioni omosessuali a tutti i Paesi dell’Ue.
Intanto però, il progetto di omologazione al pensiero unico che tanto piace in Scandinavia, si è impantanato nella Mitteleuropa. A margine del voto Felix Braz ha dovuto prenderne atto, chiedendo al Consiglio di lavorare a un “piano b” per andare verso una cooperazione rafforzata, la quale non implica il coinvolgimento della totalità degli Stati membri.