Sono passati venti secoli da quando, in un palazzo di Gerusalemme, un governatore romano rivolse ad un falegname galileo la domanda: “Cos’è la verità?”, e l’eco della questione sollevata risuona ancora oggi, così come la risposta, che non era una teoria, ma una persona. La ricerca della verità è tuttora ciò che caratterizza l’umanità più vera, quella che non si lascia ottundere nella mente e nella coscienza dal chiasso mediatico, dalle mode, dagli slogan, dai tristi surrogati dei valori fondamentali.
Un ricerca – quella della verità- che inizia secoli prima di Cristo stesso e di Pilato. Il filosofo greco Aristotele, nel Secondo Libro della Metafisica scrive: “La ricerca della verità sotto un certo aspetto è difficile, mentre sotto un altro è facile. Una prova di ciò sta nel fatto che è impossibile ad un uomo cogliere in modo adeguato la verità, e che è altrettanto impossibile non coglierla del tutto: infatti, se ciascuno può dire qualcosa intorno alla realtà, e se, singolarmente preso, questo contributo aggiunge poco o nulla alla conoscenza della verità, tuttavia, dall’unione di tutti i singoli contributi deriva un risultato considerevole.(…) vi sono due tipi di difficoltà, la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose, ma in noi. Infatti, come gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura loro, sono le più evidenti di tutte.”
A questa ricerca del cuore dell’uomo, a questa domanda la risposta venne da Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo: “Io sono la via, la verità e la vita”. Questa verità colma l’uomo di felicità. Come scrive san Tommaso d’Aquino nella sua Summa teologica: “L’uomo non è perfettamente felice fino a quando gli rimane qualche cosa da cercare e da desiderare… l’intelletto umano, conoscendo la natura di un effetto creato, arriva a conoscere solo l’esistenza di Dio…gli rimane ancora il desiderio naturale di indagarne la natura… ma alla perfetta felicità si richiede che l’intelletto raggiunga l’essenza stessa della causa prima. E allora avrà la sua perfezione nel possesso oggettivo di Dio”.
Si potrebbe quasi commentare che il cristiano non “possiede la verità”, come gli viene imputato spesso da certa cultura secolari sta, che sottintende che questa sia una forma di presunzione, ma ne è posseduto. E a proposito delle polemiche sulla verità di cui il Cristianesimo è custode, e non padrone, negli ultimi due secoli c’è stato un uomo la cui “intelligenza dell’anima” ha cercato instancabilmente la verità, tra ombre e apparenze, e una volta incontratala, per mezzo della ragione e del cuore, la testimoniò con le sue opere e con la sua vita.
John Henry Newman, un inglese vissuto lungo tutto il XIX secolo, fu questo straordinario cercatore di verità. Un “Ulisse cristiano”, secondo una magnifica definizione data da Giovanni Paolo II: “Un insopprimibile desiderio di verità ha spinto questo Ulisse cristiano ad avventurarsi con intelligente ed indomabile audacia alla ricerca di una « voce » che gli parlasse con l’autorità del Cristo vivente. Il suo esempio costituisce un costante appello per tutti gli studiosi e i discepoli sinceri della verità…
Ulisse è, per antonomasia, l’uomo affascinato dal viaggio, dalla ricerca. Tuttavia, secondo l’affascinante visione di Dante espressa nella Divina Commedia, venne rovinato dalla sua smania di conoscenza, oltrepassando le colonne d’Ercole e naufragando miseramente giungendo in vista della montagna del Purgatorio. Per Dante, il folle volo di Ulisse rappresenta la volontà di superare i limiti della conoscenza umana: la sua follia non consiste nella ribellione personale contro un ordine prestabilito, bensì nel tentativo di superare i limiti della finitezza dell’essere umano. Ulisse è perciò sicuramente considerato da Dante un magnanimo. Ma il suo peccato, oltre essere quello di aver provocato con le sue menzogne dolore e sofferenza, nasce anche dall’aver portato all’eccesso le sue virtù, confidando in esse senza il sostegno della Grazia divina, e volendo farsi simile a Dio stesso.
Newman, al contrario, credette nella Grazia come il mezzo più efficace per trasformare totalmente la condizione umana.
Per questo fu ed è ancora una guida sicura per tutti coloro che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze del mondo moderno, sempre più afflitto dalla follia di Ulisse, che consiste nel dimenticare che l’uomo è semplice creatura, ed esaltare la propria intelligenza al punto di trasformare il desiderio di conoscenza in un’irragionevole negazione dell’esistenza di ogni limite.
Newman nell’800 positivista e scientista che aveva cominciato a rifiutare Dio fu un segno di contraddizione che diede una forte scossa all’Inghilterra -sia cattolica che protestante- e all’Europa tutta..
Come ebbe a sottolineare Giovanni Paolo II, “fu la contemplazione appassionata della verità a condurlo a un’accettazione liberatoria dell’autorità le cui radici sono in Cristo, e a un senso del soprannaturale che apre la mente e il cuore umani a una vasta gamma di possibilità rivelate in Cristo.”
Uomini come Newman hanno mostrato con limpidezza che la religione rivelata, con il suo contenuto di dottrina e morale, è la depositaria di verità oggettive che possono essere apprese con certezza e a cui è possibile conformarsi con gioia e facilità. Nulla a che fare dunque con il relativismo etico denunciato con forza durante il suo pontificato da papa Benedetto XVI, attento studioso del pensatore inglese.
La verità è gioia, un anticipo della vera beatitudine che è in Cielo.