Sembra esserci una contraddizione tra la solitudine di Gesù sulla Croce e la comunione della Chiesa e nella Chiesa. Come fare teologia e verso dove orientare la conoscenza sapienziale del mistero di Cristo? Una domanda a cui p. Domenico Poletti, O.F.M.Conv., preside della Facoltà Teologica San Bonaventura Seraphicum ha provato a dare una risposta nel libro dal titolo “Una teologia in comunità”.
Il volume, edito dalle Edizioni Messaggero di Padova, si avvale dei contributi dei teologi Giuseppe Ruggieri, Piero Coda, Maurizio Malagauti, Roberto Repole, Bruno Forte e Tymothy Radclyffe. L’introduzione è a cura di mons. Rino Fisichella, che scrive: “Difficile vedere che la communio nasce proprio là dove Gesù di Nazaret vive una volta per tutte l’abbandono del Padre come espressione ultima e definitiva del suo essere figlio all’Interno della Trinità D’amore”. A tal proposito già il teologo svizzero Urs von Balthasar commentava: “L’essenza della comunione ecclesiale, l’elemento che la lega, che le conferisce struttura sociale, che la unisce più profondamente di ogni altra comunione della terra e della carne, profluisce dalla solitudine estrema, la più abissale possibile, in cui l’uno divenne ‘per amore di molti’ l’assolutamente Unico, l’Abbandonato da Dio e dagli uomini”.
Per saperne di più, ZENIT ha intervistato padre Paoletti.
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Qual è il legame tra la teologia e la vita fraterna in Comunità?
La teologia come fides quaerens intellectum è sempre espressione di una comunità cristiana in quanto la fede cristiana è sempre fede relazionale ed ecclesiale. Ecco perché la teologia si fa insieme, nella carità fraterna con la comunità dei teologi, in un dialogo, confronto, apprezzamento e correzione reciproca. Aggiungo che il fare teologia in comunità, uno dei criteri fondamentali del teologare, messo in evidenza dal documento della Commissione Teologica Internazionale “Teologia oggi” dell’8 marzo del 2012, viene ad essere rafforzato dalla nostra vocazione di frati francescani che hanno nel cuore del carisma la fraternità minoritica. Non si può fare teologia da soli, tanto più oggi in cui constatiamo la quasi scomparsa dei grandi maestri di teologia e un sapere sempre più specializzato settorialmente. Da qui il nostro impegno di formarci e formare un soggetto comunitario dove al centro ci sia la relazione che è la “cifra” della fede e, quindi, della stessa teologia. La teologia è costitutivamente comunitaria perché solo dalla vita di comunione deriva il vero sapere teologico, tanto più se si recupera la centralità dell’affectus fidei, ossia il carattere intrinsecamente affettivo della fede.
Lei sostiene che il Seraphicum è un laboratorio di ricerca di un nuovo paradigma teologico. Può spiegarci di cosa si tratta?
Il Seraphicum è una fraternità francescana interculturale, formata da frati docenti e studenti che costituiscono un’unica comunità. I profondi cambiamenti di questi anni – dovuti principalmente alla rivoluzione digitale, alla globalizzazione e alla frammentazione – ci hanno fatto prendere sempre più coscienza della emergenza educativa che sfida la stessa nostra proposta formativa ed accademica. Da tale consapevolezza, insieme al governo centrale del nostro Ordine, abbiamo pensato di fare del Seraphicum un laboratorio per elaborare e sperimentare un nuovo sistema formativo – e questo riguarda in primo luogo il Collegio degli studenti – e ricercare insieme, docenti e dottorandi, un nuovo paradigma teologico, e questo riguarda specialmente la Facoltà Teologica come comunità di discepoli missionari.
Da qui il percorso avviato negli ultimi anni di ritrovarci regolarmente a confrontarci e a discutere sul metodo in teologia, interpellando anche alcuni teologi di nota competenza affinché ci aiutassero a cercare un metodo condiviso all’interno di uno stesso paradigma teologico. Il volume Una teologia in comunità, uscito nel settembre scorso, raccoglie i vari interventi di teologi sul metodo e su come ci stiamo muovendo attraverso un nostro modo di fare teologia in comunità. Vogliamo essere attenti, come comunità di docenti e dottorandi, alla centralità vitale del legame tra vita di fede e pensiero teologico, tra preghiera e teologia, tra vita fraterna e ricerca teologica, tra teologia e missione. Una attenzione che riceve un forte impulso da Papa Francesco nel provocarci ad uscire fuori dalle secche di una teologia autoreferenziale verso un metodo teologico che parta e porti all’experientia et comunicatio fidei in caritate. In questa prospettiva il fare teologia, per noi al Seraphicum, si concretizza e si verifica particolarmente nella vita fraterna in comunità, convinti che la ricerca teologica, a forte impianto relazionale, possa recuperare il suo essere scienza sapienziale, un accento tipicamente francescano.
L’impegno della nostra comunità consiste e insiste nel formare e consolidare una comunità di frati docenti e ricercatori che imparino a fare teologia insieme, come esigenza e conseguenza della vita di fede in comunità, e siano dediti alla ricerca seria, metodica e rigorosa nelle varie discipline. Tale orientamento si realizza nel programmare periodicamente incontri tra docenti, dottorandi e formatori per uno scambio e un confronto sulla docenza e sulla ricerca, sul metodo, sul centro di attenzione e sui temi privilegiati, sulle letture e sugli studi che si stanno portando avanti per ricercare l’unità del sapere. Altri momenti di questa attenzione alla ricerca dello stesso paradigma teologico condiviso sono le presentazioni e le discussioni delle nostre pubblicazioni; la collaborazione nella correzione di articoli e di vari contributi scientifici; le difese delle tesi dottorali come eventi di promozione, approfondimento e condivisione dell’impegno alla riflessione; la programmazione dell’anno accademico che faccia emergere e approfondisca il profilo proprio della Facoltà. Vari momenti e attività animati anche dall’intento di ricreare una scuola francescana.
Un sogno che stiamo condividendo e coltivando all’interno della variegata famiglia francescana, tanto che lo scorso 2 ottobre i ministri generali delle famiglie francescane del primo Ordine e del terzo Ordine regolare hanno deciso di istituire a Roma, entro la Pasqua del 2018, un’unica Pontificia Università Francescana: un sogno che comincia a prendere forma di un segno veramente profetico.
Che rapporto esiste tra teologia e scienza? E perché lei sostiene che la teologia è una scienza?
Lei pone la questione epistemologica della teologia. Va premesso che il cristianesimo fin dall’inizio ha sposato il logos greco, ossia la ragione, rifiutando con ferma decisione il mito pagano delle religioni, perché la fede cristiana è vera, e non è una delle tante opinioni o fedi, come ancora oggi un certo sapere scientista e secolarista tende a ridurre. La teologia come intellectus fidei è una riflessione sistematica e metodologica dei credenti sulla loro fede. La Teologia è una scienza? La risposta dipende dalla definizione che diamo alla scienza. Molte incomprensioni e conflitti sorgono da concezioni positiviste e riduttive di scienza. Oggi nel mondo scientifico viene sempre più condivisa la prospettiva che ogni disciplina è scientifica se possiede un oggetto, un metodo adeguato all’oggetto e un sapere comunicabile a tutti. L’oggetto della disciplina scientifica può essere sperimentale, storico o speculativo. In una tale concezione di scienza, sempre più condivisa nel mondo scientifico, la teologia è una scienza perché ha un oggetto (l’evento della Rivelazione cristiana come intervento inaudito di Dio stesso nella carne, nel linguaggio e in tutta la vicenda storica di Gesù di Nazareth); ha un metodo adeguato all’oggetto (quello d’integrazione
tra metodo sperimentale – storico e metodo speculativo). Il sapere teologico è comunicato a tutti perché è ragionevole e viene elaborato, rispettando la logica del pensiero che cerca la verità che la fede riconosce e comunica. La teologia oggi è chiamata a dimostrare la credibilità della fede cristiana neutralizzando la portata pregiudiziale dell’incredulità del logos solo calcolante.
Quale tra gli interventi del libro “Una teologia in comunità” lei ritiene più innovativo e moderno?
Nel libro troviamo contributi di noti teologi che da angolature diverse convergono nel delineare un metodo e una prospettiva di teologia come sapienza dell’amore. Come afferma monsignor Rino Fisichella nella presentazione, gli interventi tengono insieme due termini che normalmente vengono considerati estranei: communio e metodo. La communio come esperienza soggettiva e il metodo come procedere nella riflessione teologica tenendo presente l’oggetto e, quindi, i contenuti oggettivi. Considerando che sono interventi tenuti in occasione di prolusioni di inizio anno accademico e di lectio magistralis per la festa di san Bonaventura, patrono della nostra Facoltà, è significativo rilevare che dai contributi raccolti nel volume la communio emerge come il vero metodo della teologia. Non ci sono interventi più innovativi e moderni di altri, ma tutti danno un apporto a tenere insieme communio emetodo con il ristabilire il nesso tra vita, fede, verità e sapere che oggi incontriamo sciolti e, pertanto, smagati. Se proprio devo indicare un contributo che esprime un intento più mirato verso tale prospettiva, mi viene in mente l’intervento di Piero Coda, il quale riprende la testimonianza evangelica di san Francesco come “luogo teologico” in cui si staglia chiaramente la centralità di Cristo, reinterpretata da san Bonaventura nell’Itineriarium mentis in Deum. Il prof. Coda approfondisce come la teologia francescana, caratterizzata dal cristocentrismo trinitario, oggi provochi al recupero dell’oggetto e del metodo in teologia nella communio in-Cristo come fratelli.