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Dal mondo a Dio (Seconda parte)

Dio: il Donatore dell’essere del mondo

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Il mondo è, ed è questo è che regge il mondo. Tolto questo è, l’intero universo non esiste più. Ciò che vale per il mondo intero vale per ogni ente: anche un granello di sabbia è e anche io sono.

Riguardo alla mia esistenza potrei pensare che essa dipenda dai miei genitori; si dice comunemente, infatti, che i genitori mettono al mondo i propri figli, ma io adesso sono, cioè esisto, e i miei genitori sono morti. Allora, la mia esistenza non dipende ontologicamente da loro, perché se così fosse, la loro morte avrebbe comportato anche la mia. Se fossero vivi il problema non cambierebbe assolutamente, perché il fatto che un figlio  sia o non sia non dipende dai genitori.

Allora da chi dipende? Porsi questa domanda implica andare alla ricerca di una “causa”.

Aristotele “usa il termine aìtia «causa» per indicare ciò senza cui qualcosa sarebbe impossibile”[1].

E’ metafisicamente necessario ricercare perché le cose sono piuttosto che non sono, cioè ricercare la causa della loro esistenza. Non si può rispondere in modo superficiale e assurdo facendo appello al caso, come molti pseudo-filosofi o pseudo-scienziati fanno oggi.

La causa efficiente della generazione del mio corpo sono i mei genitori e la scienza biologica viene in soccorso della filosofia, perché essa ha scoperto che la cellula germinale maschile (spermatozoo del padre) fondendosi con quella femminile (ovulo della madre) origina, cioè causa, un nuovo individuo umano: l’embrione, che si forma nel momento in cui lo spermatozoo paterno feconda l’ovulo materno[2].

Una volta appurato che il mio corpo è stato generato dai miei genitori il problema della mia esistenza non è stato minimamente sfiorato. Infatti la biologia mi dice soltanto che c’è stato un input iniziale, una sorta di big bang biologico: l’unione di uno spermatozoo e di un ovulo che ha causato il concepimento dell’embrione,  cioè di un individuo della specie umana, il quale si sviluppa autonomamente nel tempo secondo uno suo specifico programma genetico (il DNA), che non è la somma dei codici genetici dei genitori, e che  rimane sempre lo stesso dal momento del concepimento fino alla morte [3].

I genitori sono la causa della generazione (causa generandi) dei figli, ma non della causa dell’essere (causa essendi) dei figli.

La causa efficiente della generazione non deve essere confusa con la causa efficiente dell’essere degli enti, infatti la prima, una volta prodotto un determinato effetto (come nel caso del concepimento dell’embrione) non esercita più alcuna azione causale sull’effetto, a differenza della seconda, la cui azione continua perché da essa dipende che un ente non soltanto esista, ma che continui ad esistere.

L’articolo precedente terminava ponendo la seguente questione.

Gli enti del mondo sono e la loro esistenza non dipende da loro altrimenti sarebbero eterni; sono invece contingenti, oggi ci sono e domani non ci sono più. Il loro essere da chi dipende?

Non dipende da se stessi perché sono contingenti e nemo dat quod non habet (nessuno dà ciò che non ha). Ogni ente del mondo, dal pulviscolo dell’atmosfera all’intero cosmo, ha l’essere, ma non è l’essere; questo gli deve essere necessariamente donato, quindi lo deve ricevere da un “ente” che, essendo totalmente essere e quindi non necessitato dal ricevere l’essere da qualcun altro, lo può donare incessantemente a ogni ente esistente.

Questo Donatore assoluto è Dio, Egli propriamente non è un ente, ma è l’Essere assoluto, poiché non dipende da nessun altro ente al di fuori di sé, ed essendo la Fonte dell’essere può donare l’essere agli enti del mondo, i quali lo ricevono incessantemente. Infatti, ogni ente è ciò che possiede l’essere perché lo riceve dall’Essere sussistente; si può quindi affermare, come dice San Tommaso, che “l’ente è ciò che partecipa dell’essere”[4].

Il Filosofo dimostra l’esistenza di Dio, partendo dalla constatazione che “tutto ciò che è qualcosa per partecipazione rimanda a un altro che sia la stessa cosa per essenza, come a suo principio supremo. Per es., tutte le cose calde per partecipazione si riducono al caldo il quale è caldo per essenza”[5].

Riguardo agli enti, che sono tali per la loro partecipazione dell’essere, conseguentemente afferma:

“Ora, dato che tutte le cose che sono partecipano all’essere e sono enti per partecipazione, occorre che in cima a tutte le cose ci sia qualcosa che sia essere in virtù della sua stessa essenza, ossia che la sua essenza sia l’essere stesso. Questa cosa è Dio, il quale è causa sufficientissima, degnissima e perfettissima di tutte le cose: da Lui tutte le cose che esistono partecipano all’essere”[6].

Un altro argomento per affermare l’esistenza di Dio prende le mosse dalla rilevazione che l’essere non è una proprietà delle essenze degli enti; infatti, se l’essere appartenesse all’essenza o alla natura dell’uomo o di qualsiasi altro ente, ogni uomo e ogni ente sarebbe eterno. Esiste, invece, una differenza reale, ontologica, tra essenza ed essere. 

San Tommaso ricerca la causa dell’essere degli enti e rileva che è assurdo affermare che l’essere di un ente sarebbe causato dalla sua essenza perché significherebbe sostenere che un ente è causa di se stesso.

Scrive in proposito:

“Tutto ciò che conviene a qualche cosa o è causato dai principi della sua natura, come la risibilità nell’uomo, o le compete in virtù di qualche principio estrinseco, come la luce all’aria per influsso del sole. Ora, non si può dire che l’essere di una cosa sia causato dalla sua stessa forma o essenza, intendendo come da causa efficiente, perché così una cosa sarebbe causa di se stessa, ciò che è del tutto impossibile”[7].

Il Filosofo conclude la sua argomentazione, scrivendo:

“E’ necessario quindi che ogni cosa in cui l’essere è diverso dalla sua natura, abbia l’essere da un altro. E poiché tutto ciò che è in virtù di un altro esige come causa prima ciò che è per sé, vi deve essere qualche cosa che sia causa dell’essere in tutte le altre, appunto perché essa è soltanto essere; diversamente si andrebbe all’infinito nelle cause, avendo ogni cosa, che non è essere, una causa”[8].

Il punto di partenza della terza via “ontologica” per affermare l’esistenza di Dio è costituito dal grado di perfezione di essere rilevabile negli enti.

Infatti, “l’essere è presente in tutte le cose, in alcune in modo più perfetto e in altre in modo meno perfetto; però non è mai presente in modo così perfetto da identificarsi con la loro essenza, altrimenti l’essere farebbe parte della definizione dell’essenza di ogni cosa, il che è evidentemente falso, giacché l’essenza di qualsiasi cosa è concepibile anche prescindendo dall’essere. Pertanto occorre concludere che le cose ricevono l’essere da altri (e retrocedendo nella serie delle cause) necessita che si arrivi a qualche cosa la cui essenza sia co­stituita dall’essere stesso, altrimenti si dovrebbe regredire all’infinito”[9].

L’argomentazione è così chiara che non necessita di alcun commento.

In sintesi, si deve affermare che Dio è l’Essere sussistente e il mondo “ha bisogno” di Lui per mantenersi nell’essere; infatti, senza il suo sostegno cesserebbe di esistere.

L’oggetto della metafisica, come abbiamo visto precedentemente[10], è il mondo, che viene analizzato nel modo più radicale possibile, e per spiegare la sua esistenza la metafisica deve necessariamente affermare un Fondamento, un Principio, che renda ragione del suo essere.

La metafisica è propriamente ontologia nella misura in cui si occupa dell’ente mondano dal punto di vista trascendentale e categoriale, ma nel momento stesso in cui si interroga sulla causa dell’essere degli enti assume la fisionomia della teologia razionale.

La metafisica è quindi come un Giano bifronte, che, come ontologia, ha il volto rivolto al mondo, e come teologia razionale (o teologia filosofica, o teologia naturale), ha il volto rivolto a Dio.

Barzaghi afferma giustamente che “la teologia filosofica nasce in sede teoretica […] come termine della completa lettura razionale dell’ente reale”[11].

La lettura razionale dell’ente reale, se vuole essere completa e non cadere in contraddizione, deve includere il discorso su Dio: “Parliamo di Dio a partire dal mondo e per avere una più profonda e completa lettura ontologica del mondo”[12].

(La terza puntata segue sabato 12 dicembre. La prima parte è stata pubblicata domenica 29 novembre 2015)

*

NOTE

[1] E. Severino, La filosofia antica, cit., p. 132.

[2] Cfr. R. Lucas Lucas, Bioetica per tutti, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2002, pp. 117-118.

[3] Ibidem.

[4] San Tommaso d’Aquino, De substantiis separatis …, c. 3.

[5] Idem, In Ioan., Prol. N. 5.

[6] Ibidem.

[7] Idem, De ente et essentia, c. 4, n. 27.

[8] Ibidem.

[9] Idem, II Sent., d. 1, q. 1, a. 1. I testi di San Tommaso sono tratti da B. Mondin, Dizionario dei teologi, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992.

[10] Vedi La metafisica aristotelico-tomista, parti V-IX.

[11] G. Barzaghi, Dio e ragione. La teologia filosofica di San Tommaso d’Aquino, cit., p. 21.

[12] Ibidem, p. 22.

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Maurizio Moscone

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