L’udienza oggi concessa da papa Francesco ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, si intreccia in modo provvidenziale con la sua recente visita pastorale in tre paesi africani.
Tale viaggio pontificio, come raccontato da lui stesso nel suo discorso tenuto per l’occasione nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, ha permesso al Santo Padre di toccare con mano “il dinamismo spirituale e pastorale di tante giovani Chiese di quel Continente, come pure le gravi difficoltà in cui vive buona parte della popolazione”.
In Africa, il Pontefice ha constatato che “laddove ci sono necessità, c’è quasi sempre una presenza della Chiesa pronta a curare le ferite dei più bisognosi, nei quali riconosce il corpo piagato e crocifisso del Signore Gesù”. Tutto ciò si concretizza in numerose “opere di carità” e di “promozione umana”, attraverso l’impegno di tanti “anonimi buoni samaritani” che quotidianamente portano avanti le missioni.
La Chiesa, tuttavia, ha puntualizzato il Papa, “inizia sempre evangelizzando sé stessa”, ponendosi “in ascolto” della Parola di Gesù, da cui “trae le ragioni della speranza che non delude, perché fondata sulla grazia dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5). Solo così è capace di custodire freschezza e slancio apostolico”.
Richiamandosi al decreto conciliare Redemptoris missio, Francesco ha ricordato che “la missione non risponde in primo luogo ad iniziative umane”, perché “protagonista è lo Spirito Santo”, mentre “la Chiesa è serva della missione”.
“Da tempo è in atto un riequilibrio tra la Chiesa e la missione – ha proseguito -. Non è la Chiesa che fa la missione, ma è la missione che fa la Chiesa. Perciò, la missione non è lo strumento, ma il punto di partenza e il fine”.
Come ricordato da Bergoglio, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha realizzato nei mesi scorsi un’indagine sulla vitalità delle giovani Chiese, per capire come rendere più efficace l’opera della missio ad gentes, considerata anche l’ambiguità cui è esposta a volte oggi l’esperienza di fede”.
Nello specifico, ha sottolineato il Papa, il “mondo secolarizzato”, anche quando accoglie i “valori evangelici dell’amore, della giustizia, della pace e della sobrietà”, cade nell’errore di non mostrare “uguale disponibilità verso la persona di Gesù”, non ritendendolo “né Messia, né Figlio di Dio” ma, al massimo un “uomo illuminato”, separando dunque “il messaggio dal Messaggero” e “il dono dal Donatore”.
Come ricorda anche l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, la Chiesa è tenuta ad uscire ad «annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura» (EV 23) e condurre una missione che la trasforma “al proprio interno”, prima ancora di incidere sulla “vita dei popoli e delle culture”.
Parole che hanno avuto una sorta di precursore in San Giovanni Paolo II, che, in un’altra esortazione apostolica, la Ecclesia in Oceania, raccomandava che ogni “rinnovamento ecclesiale” avesse come scopo la missione per “non cadere preda di una specie di introversione ecclesiale” (EIO 19).
Da qui l’invito del Santo Padre: “Ogni parrocchia faccia proprio, dunque, lo stile della missio ad gentes”, in modo che lo Spirito Santo possa trasformare “i fedeli abitudinari in discepoli, i discepoli disaffezionati in missionari, tirandoli fuori dalle paure e dalle chiusure e proiettandoli in ogni direzione, sino ai confini del mondo”.
Il Pontefice ha quindi portato l’esempio degli apostoli Paolo e Barnaba, i quali “non avevano il Dicastero missionario alle spalle”, eppure hanno “annunciato la Parola” e “versato il sangue per il Vangelo”. Poi, con il tempo, “sono cresciute le complessità, e la necessità di uno speciale raccordo tra le Chiese di recente fondazione e la Chiesa universale”.
È solo ascoltando il “grido dei poveri e dei lontani”, annunciando loro la “gioia del Vangelo” che le Chiese potranno andare avanti, altrimenti “costrette nei propri orizzonti, corrono il pericolo di atrofizzarsi e spegnersi”.
Nella “missio ad gentes”, ha sottolineato infine il Papa, “è già visibile l’alba del nuovo giorno, come dimostra il fatto che le giovani Chiese sanno dare, non solo ricevere”, ad esempio, concedendo “propri sacerdoti a Chiese sorelle della medesima nazione, dello stesso Continente, o a servire Chiese bisognose di altre regioni del mondo”, restituendo, in qualche modo, il “bene ricevuto dai primi missionari”.