Quello tra il Papa e l’Africa è stato un “bell’incontro” e gli africani sono stati “perfettamente a loro agio” nell’incontrare e nel ricevere il Pontefice. Lo ha riferito padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, in un intervista alla Radio Vaticana.
Lombardi si è quindi soffermato sulla sempre più ricorrente abitudine del Papa a parlare a braccio durante i suoi viaggi, specie con i giovani.
“Lui ama molto questo modo spontaneo – ha commentato – questo modo dialogico, questo modo coinvolgente, facendo anche rispondere e parlare le persone presenti in modo tale che si senta e si veda che sono parte attiva di un processo di dialogo e di impegno”.
Pertanto “il carisma di comunicazione spontanea, di gesto e di espressione totale che il Papa ha, riesce a superare anche le differenze linguistiche”, risultando particolarmente efficace in Africa, così come lo era stato in Asia.
In merito alla storica decisione di aprire la prima Porta Santa a Bangui, il portavoce vaticano ha parlato di un gesto “tutt’altro che locale, ma veramente universale”, in cui il Pontefice ha voluto privilegiare l’attenzione “alla periferia della Chiesa, ai poveri, alle persone che soffrono”. L’evento di Bangui è comunque soprattutto il segno che “la misericordia di Dio si può incontrare dappertutto”.
L’Anno della Misericordia, ha proseguito Lombardi, è legato in modo particolare al “Sacramento della Confessione” e “questo i centrafricani, i giovani lo hanno capito benissimo”, al punto che “dovremmo imparare dai centrafricani che cos’è il Giubileo”.
Recandosi in Centrafrica, nonostante gli allarmi sulla sicurezza, il Santo Padre ha dimostrato “una totale determinazione, non lasciandosi mai mettere in incertezza”, affermando come priorità il suo soccorso a una popolazione “in difficoltà”, per incoraggiarla a “trovare la via per il futuro”.
Il portavoce vaticano ha anche riferito di aver incontrato, poco prima della partenza per l’Africa, una persona che lo aveva messo in guardia dai rischi di quella visita pastorale: quella stessa persona, incontrata poi nella moschea di Bangui, si era complimentata con il Papa, tramite Lombardi, per il modo impeccabile con cui tutto il seguito papale aveva affrontato il viaggio e i rischi ad esso connessi.
Un simile coraggio, ha osservato Lombardi, fu comunque dimostrato anche dagli immediati predecessori di Francesco: nel 2012 Benedetto XVI si recò in Libano, “in una situazione di Medio Oriente incendiato”, mentre San Giovanni Paolo II andò a Sarajevo in tempo di guerra e, ancor prima, nel 1983, in Nicaragua, in una “situazione di tensione interna ed esterna nel Paese”, poi, successivamente, in Perù, sotto il tiro dei terroristi di Sendero Luminoso.
Il tema dell’AIDS, che coinvolge in modo particolare l’Uganda, dove il virus dell’HIV fu scoperto 33 anni fa, non è stato affatto “sottovalutato”, come qualcuno ha insinuato.
In tal senso, la risposta data da Bergoglio durante la conferenza stampa sul volo di ritorno, va inquadrata “in un contesto molto più ampio e generale di tutte le responsabilità che l’umanità e i popoli hanno per creare giustizia, sviluppo” e per contrastare “povertà” e “mancanza di salute”.
In conclusione, l’elemento che più ha colpito il Santo Padre e il suo seguito in Africa è stata la “gioventù” di questo continente dall’altissima natalità. “Il Papa è presente, la Chiesa è presente; è presente per questi bambini, è presente per questi giovani, è presente per il futuro di questo popolo”, ha detto a tal proposito Lombardi.
“La Chiesa dà il suo contributo, non pensa certo di farla da sola. Lo fa con gli altri, per il dialogo, per la pace, con l’aiuto di tutte le persone di buona volontà e in particolare dei credenti”, ha quindi concluso.