Don Luigi Sturzo

Luca Marcolivio

“Liberi dai forti” e si allargano i margini della democrazia

Da Don Sturzo ai nostri giorni, l’associazionismo cattolico si fa cantiere per discutere di buona politica

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«Don Sturzo, più che un politico, fu uno statista, nel significato che ne diede De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”. Ecco, è alle prossime generazioni che dobbiamo guardare. Il consenso cui deve mirare il nostro agire quotidiano e collettivo non è quello delle elezioni, ma quello dell’umanità nel suo complesso e del giudizio di Dio. È arrivato il tempo dell’azione e della concretezza».

Con queste parole, don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, è intervenuto ieri a Roma al convegno Liberi dai forti. Un cantiere per la Polis, promosso dall’associazione per la formazione alla democrazia, solidarietà e responsabilità “Italia Più” insieme al quotidiano online In Terris.

L’occasione è stato il Centenario della nomina di don Sturzo alla Vice Presidenza dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani. L’intervento di don Aldo Buonaiuto, consigliere spirituale di “Italia Più”, nell’editoriale pubblicato oggi su www.interris.it.

La figura di don Sturzo rimane attuale, a distanza di oltre cinquant’anni dalla morte, su molte questioni: la difesa e la promozione della famiglia come cellula base della società; la libertà di educazione e di insegnamento; la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda; il ruolo dei sindacati per la protezione dei diritti delle persone e delle pari opportunità tra cittadini, la valorizzazione delle donne.

«L’abbandono dei fecondi presupposti del pensiero sturziano è tra le cause dell’indebolimento della Repubblica e degli equilibri di potere, che ha portato al sopravvento dei ceti più forti su quelli più deboli», ha detto Raffaele Bonanni, il presidente di “Italia Più”.

Per Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento dello Spirito e della Casa Museo Sturzo, «la vera rivoluzione sturziana è la sintesi dell’umano con il cristiano, far tornare a parlare i primi con gli ultimi. La carità, l’amore, erano per don Sturzo una esigenza di giustizia». Per Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, l’eredità del sacerdote siciliano che ha fondato il Partito Popolare Italiano è «formare la classe dirigente di domani.  «Si è liberi dai forti se si ha la forza di essere presenti, fare sentire la propria voce, aggregarsi», ha commentato il giurista.

Essere liberi dai forti significa essere liberi dalla criminalità. Ne ha parlato il procuratore capo di Perugia Luigi de Ficchy. La moralizzazione della vita pubblica, che era la preoccupazione di don Sturzo, è possibile «se funziona la giustizia». Innanzitutto, occorre «mandare a casa i corrotti. Chi è finito davanti a un giudice per reati gravi non deve essere candidato, anche se non è stato condannato».

Tre sono i “nemici” della democrazia, per il vicepresidente del movimento Identità cristiana, Paolo Maria Floris: l’accentramento dello Stato che soffoca la libera iniziativa, il dominio del capitalismo, la debolezza dei valori morali.

Se don Sturzo fosse presente, oggi, «forse proverebbe l’amarezza per l’attualità del suo pensiero, perché molti dei problemi del suo tempo non sono stati risolti e il ‘secolo breve’ avesse perso i suoi frutti migliori», ha concluso il giuslavorista Michel Martone.

 

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ZENIT Staff

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