Bronze plaque of St Columbanus in the garden of the Abbey of Bobbio

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San Colombano: alle radici dell’Europa missionaria

Il lungo viaggio del monaco irlandese ha segnato profondamente 1500 anni di storia del cristianesimo

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Da venerdì 28 agosto a domenica 30 agosto si svolge a Bobbio (Piacenza) il Meeting internazionale delle comunità colombaniane. Quest’anno l’occasione è particolarmente significativa: si celebra infatti il 1.400° anniversario della morte del grande santo irlandese, avvenuta a Bobbio il 23 novembre 615. Domenica si terrà una funzione solenne celebrata da vescovi irlandesi e italiani, e guidata dall’Arcivescovo di Milano Cardinale Scola. La conferenza di apertura è invece affidata al dottor Paolo Gulisano, saggista, scrittore e collaboratore di ZENIT. Di seguito una sintesi dell’intervento del dottor Gulisano a Bobbio.

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San Colombano: un nome che forse a molti suona sconosciuto, il nome di un uomo del VI secolo, un monaco, un poeta, uno studioso, un predicatore, un santo che  può essere annoverato tra i fondatori del monachesimo occidentale.

Un uomo venuto da una terra agli estremi confini dell’Europa, l’Irlanda, ma che divenne, nel vero senso del termine, un europeo, una figura che ancora oggi va considerata come il primo grande contributo dell’Irlanda alla comune patria europea: un santo per l’Europa.

Ogni europeo dovrebbe attingere ispirazione e coraggio dalle parole di questo pioniere del VI secolo, di lingua irlandese e orientato alla mentalità europea. Se mai qualcuno nel Medioevo è stato dotato dello spirito europeo, quasi duecento anni prima di Carlo Magno, quell’uomo è stato San Colombano, e insieme al fondatore del Sacro Romano Impero egli è la più grande figura dell’Alto Medioevo. Si dovette attendere l’avvento di San Bernardo per assistere ad un influsso sulla Chiesa e sulla società paragonabile al suo.

San Colombano dunque ci richiama anzitutto la questione delle radici cristiane dell’Europa. Da alcuni anni questo tema viene affrontato con crescente decisione e passione dai cristiani del Vecchio Continente, da una Chiesa che ha coscienza del terreno in cui la pianta della Fede gettò i suoi germogli, in un modo che non ha uguali,soprattutto nell’ambito della cultura europea.

Questa Mostra ci vuole condurre alla scoperta di questa figura straordinaria, un padre fondatore, un precursore, un testimone della Fede per il suo tempo e per il nostro.

Colombano fu il primo, autentico europeo, ma allo stesso tempo era radicato nella spiritualità irlandese. quella che rese possibile i grandi santi del Medioevo, i missionari che sciamarono per tutta l’Europa, gli uomini che cacciati secoli dopo dalle loro terre dalle ragioni perverse del Potere che li odiava furono costretti per tutto l’Ottocento ad emigrare in tutto il mondo: dalle tundre del Canada fino ai deserti dell’Australia; dai quartieri malsani delle città industriali britanniche fino ai grattacieli di New York.

Una identità fondata su un tipo di Fede intensa e appassionata che ha retto per 1.500 anni, che ha affrontato prove e persecuzioni, che ha seminato in ogni parte del mondo e dato frutti.

Dalla lunga tradizione civile, religiosa, culturale irlandese emerge una straordinaria passione per la libertà: una passione mai venuta meno nei secoli e che l’Irlanda ha fatto sentire all’Europa e al mondo.

È nel lungo periodo del suo Medioevo che l’Irlanda prese forma, trasse linfa vitale dal suo passato mitico e fondandosi sull’avvenimento più importante della sua storia, la venuta del Cristianesimo attraverso l’annuncio e la predicazione di San Patrizio, si protese verso il suo destino, verso il continente europeo. 

L’Irlanda infatti non visse il suo Medioevo in uno splendido isolamento insulare, ma contribuì con gli uomini che inviava sul continente -monaci, santi, cavalieri, studiosi- a forgiare l’Europa. La fede degli irlandesi è stata testimonianza e modello per tutto il mondo cristiano, dall’antichità ad oggi. Una fede vissuta in modo vibrante, appassionato, una fede che generava monaci, mistici, santi, o anche solo famiglie in grado di superare prove terribili come la persecuzione, la miseria, l’emigrazione.

Non si può, dunque, accostarsi alla vicenda di san Colombano  senza conoscere quanto il Cristianesimo abbia riempito di significato la storia della sua i quest’isola e del suo popolo, disegnando un cammino segnato dall’evento cristiano.

L’evangelizzazione, portata da colui che doveva diventare il Patrono del paese, San Patrizio, trasformò l’Irlanda in uno dei più vitali centri di Fede e spirituali dell’intero universo cristiano. La conversione degli irlandesi ebbe del miracoloso per il modo in cui avvenne, rapidissimo, radicale, incruento, testimonianza di un’autentica sete di significato trascendente dell’esistenza che aveva trovato piena soddisfazione nel Cristianesimo. Gli antichi celti che si dilettavano di esporre le teste dei nemici uccisi, uomini intensi ed eccessivi, furono persuasi dal Cristo portato da Patrizio, e poi confermato dai suoi successori. L’Isola che gli stessi romani padroni del mondo intero avevano visto con diffidenza e timore divenne l’isola dei santi, dei monaci, dei mistici; un paese rapidamente evangelizzato che divenne immediatamente evangelizzatore, mandando per tutto il Medioevo i suoi missionari per tutta l’Europa, dall’Islanda alle più remote sponde del Mediterraneo. Un cristianesimo che seppe inculturarsi, assorbendo la religiosità pagana, purificando i contenuti dei miti, scartando il peggio e trattenendo i valori, secondo l’insegnamento di San Paolo.

Colombano rappresentò una delle espressioni più significative della tradizione monastica irlandese. Da giovane, dopo un periodo di formazione a Cleenish, una fondazione monastica sita su un isola nel nord-ovest dell’Irlanda, entrò a far parte della grande comunità di Bangor, presso Belfast.

La vita a Bangor, uno dei principali monasteri irlandesi, era consacrata alla preghiera, alla penitenza, allo studio, al lavoro. La struttura stessa degli edifici che costituivano il monastero irlandese era del tutto peculiare: le costruzioni venivano solitamente realizzate all’interno di un’area circolare chiusa da un argine di pietra o di terra e circondato esternamente da un fossato. All’interno il fabbricato più importante era la chiesa, o oratorio, una costruzione rettangolare di assi o di rami di quercia intrecciati. Era un edificio non di grandi dimensioni. Le celle dei monaci erano capanne fatte di rami di salice, disposte intorno alla chiesa, in cui abitavano uno o due monaci. Altri edifici erano il dormitorio e il refettorio, e se il monastero, se importante, aveva aggregata una scuola. Col tempo la comunità monastica crebbe fino a diventare una vera e propria cittadella.

La lunga veste bianca dei monaci irlandesi li rendeva simili ai fratelli orientali, ma anche agli antichi druidi, rimarcando agli occhi dei celti il carattere di sacralità di questi uomini che avevano offerto le proprie esistenze a Dio.

La loro vita quotidiana era un costante ciclo di preghiera, lavoro manuale, studio e mortificazione. La forza del movimento monastico nella Bangor di Colombano così come in tutti i monasteri irlandesi era nel fortissimo ascendente esercitato sul popolo da uno stile di vita ascetico ma improntato sulla libertà della persona.

Colombano era un uomo ricolmo della Grazia di Dio, che cercava i Suoi segni, che cercava risposte con un animo forte ma anche fragile, con tutti i dubbi e le paure della natura umana.

“Siamo di Cristo, non nostri”. Questo suo motto racchiudeva un intero programma di vita.

Questo senso di appartenenza si tradusse in una spiritualità assolutamente peculiare, che si avvalse di strumenti come la confessione individuale, o auricolare, una pratica che, così come la conosciamo oggi, vide la propria diffusione in tutta la Chiesa grazie ai monaci irlandesi e in primo luogo proprio a Colombano. In precedenza nella Chiesa si era sempre praticata la confessione pubblica delle proprie colpe, da farsi di massima una volta sola nella vita, con effetti non sempre apprezzabili.
Molti infatti facevano coincidere questa liberazione dai peccati con il rito del Battesimo, finendo così per posporre questo sacramento fino ad età avanzata.

Gli irlandesi, preoccupati della salvezza delle anime rispetto al giudizio finale, ma anche della possibilità di una santità di vita quotidiana, qui ed ora, introdussero dunque la pratica della confessione privata, raccomandando inoltre che fosse frequente, e consigliarono di avere un direttore spirituale, chiamato in gaelico anmchara, che si può tradurre “amico dell’anima”. Naturalmente la remissione della colpa avveniva ad un prezzo, ed in questo consistevano i famosi “penitenziali”: la penitenza era la risposta al peccato, ed essa era assegnata in modo adeguato per ogni specifica colpa. Come aveva scritto San Colombano: “La vera penitenza consiste nell’evitare le azioni che comportano una penitenza; oppure una volta che queste siano state commesse, nell’esserne dispiaciuti”. Il peccato venne descritto come una malattia, e la penitenza come un farmaco, e malattie diverse, o di diversa gravità, comportano terapie diversificate ed appropriate, dei veri e propri rimedi, che possono anche essere drastici.

Colombano e i suoi giunsero dunque sul Continente intorno all’anno 592, lasciando le piccole barche sulle coste della Bretagna nei pressi di Saint-Malo.La compagnia continuò il suo viaggio a piedi, attraversando un paese  che aveva perduto l’antico splendore, e che vedeva ovunque conflitti e rovine. Persino l’antica Chiesa delle Gallie che aveva visto la straordinaria azione pastorale di san Martino era decaduta, e nonostante la conversione del loro re Clodoveo al cristianesimo, i costumi dei franchi erano ancora empi e selvaggi.

Al crollo dell’Impero Romano, nel territorio dell’attuale Francia esistevano diversi regni, detti romano-barbarici.

Molte popolazioni germaniche che si erano riversate sulla Gallia a partire dagli inizi del Quinto secolo; tra queste alcune si spostarono successivamente verso altre regioni, come Vandali, Alani e Svevi che si stabilirono in Spagna, mentre i Visigoti, i Burgundi e i Franchi crearono restarono nell’odierna Francia e crearono dei regni, allargando poi progressivamente il proprio territorio a spese delle terre dell’Impero romano.

È dunque in questa società, lacerata dagli scontri dinastici tra i principi merovingi, che inizia la missione itinerante di Colombano, e con successo: “Ovunque passa- annota un biografo-  il venerabile uomo ha cura di annunziare la parola del Vangelo, che viene ben accolta dalla gente, dato che l’eloquenza e l’eleganza dell’esposizione poggiano sulla profondità della dottrina predicata e sugli esempi della virtù.”

Colombano divenne presto noto in tutte le terre dei Franchi – e oltre – per la sua straordinaria testimonianza di fede.

Fu un uomo che aveva il coraggio di parlare chiaro anche con i potenti, e ciò gli valse la feroce inimicizia della regina merovingia Brunilde, che cercò di mettergli contro anche il clero dei Franchi, tentando di screditarlo e diffamarlo. Colombano riuscì a difendersi egregiamente, scrivendo direttamente al Papa.

All’inizio del VII secolo il pontefice Bonifacio IV, che aveva messo in discussione l’ortodossia degli irlandesi, si vide giungere una risposta vibrante, sicura della propria Fede e in qualche modo orgogliosa della propria identità: “Noi irlandesi, che viviamo ai confini estremi del mondo, siamo discepoli dei Santi Pietro e Paolo, e di tutti i discepoli siamo quelli che scrissero il sacro canone sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, non ricevendo nulla al di fuori dell’insegnamento evangelico e apostolico; nessun eretico fu mai tra noi, nè ebreo nè scismatico, ma la Fede Cattolica, così come ci è stata consegnata dai pontefici Vostri predecessori, dai santi apostoli e da Voi, è tra noi mantenuta invariata”. (S.Colombano,V Lettera)

Se aveva preso la penna per difendere l’innocenza e l’integrità del cristianesimo irlandese, non ebbe timore nemmeno a farlo per ammonire in altre occasioni il pontefice a guardarsi da ben più reali pericoli per la Chiesa, come in una lettera del 613 nella quale scriveva a papa Bonifacio:”Vigilate, poiché l’acqua è già entrata nella barca della Chiesa ed essa è in pericolo”. Erano preoccupazioni reali quelle che lo muovevano a scrivere in questo modo, tra le quali il dispiacere di vedere aspre dispute e prive di carità all’interno della stessa Chiesa:”Non riesco a comprendere come un cristiano possa essere in conflitto con un altro cristiano sulla questione della fede. A qualsiasi cosa dica un cristiano ortodosso che dà lode al Signore, l’altro risponderà Amen, perché anch’egli nutre lo stesso amore e la stessa fede. Pertanto impegniamoci tutti quanti a dire e a pensare all’insegna dell’unità, cosicché entrambe le parti possano essere una sola cosa – tutti cristiani”.

Nelle lettere Colombano usa due volte il termine Europa; in entrambi i casi rivolgendosi al Papa per risolvere due importanti problemi teologici, uno sulla data della Pasqua,  l’altro su un’eresia detta dei “Tre Capitoli”. Nel 613 così si rivolgeva a Bonifacio IV: “all’illustrissimo capo di tutte le Chiese dell’intera Europa” (Pulcherrimo omnium totius Europae Ecclesiarum Capiti, Lettera V).

Esperto conoscitore del mondo del suo tempo, Colombiano ne aveva sperimentato la frantumazione, l’instabilità politica e militare, le difficoltà connesse con le diverse matrici etniche, culturali e religiose ma ha anche individuato un puntello e una sutura nel Cristianesimo adoperandosi per il radicamento e la diffusione della fede. A questo mondo eterogeneo egli non poneva un limite geografico, in quanto la sua azione non conosceva confini. Nel ricercare un’espressione idonea a definire lo scenario in cui si trovò a vivere e operare,  multiforme ma suscettibile di allargamento, lo trovò nel termine “Europa” e con essa indicò le aree poste sotto la diretta giurisdizione del papa in quanto patriarca d’Occidente.

Per lui l’Europa era quella particolare fetta della più ampia cristianità, sfuggente a ogni altra definizione.

Egli non si sentì mai vincolato dai confini etnici, linguistici, culturali.

Dopo tanto viaggiare, Colombano finì i suoi giorni nel 615 a Bobbio, sull’appennino  piacentino. Qui edificò un monastero, che rappresentò la sua ultima fatica,  e che diventò per tutto il periodo altomedioevale un indiscusso centro di cultura e di civiltà per tutta l’Italia settentrionale, tanto da essere definito come la “Montecassino del nord”.

E fu proprio a Bobbio che Colombano del Leinster, di Luxeuil, di Bobbio, d’Europa, morì serenamente il 23 novembre del 615. Sulla sua tomba, un sarcofago in marmo bianco, una semplice inscrizione in latino: Hic quiescit in pace Christi S. Columbanus Abbas.

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Paolo Gulisano

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