Grande consenso, ammirazione e commozione ha suscitato ieri sera al Meeting di Rimini, la proiezione del docufilm Bisagno, che ricostruisce la vicenda del partigiano Aldo Gastaldi (1921-1945), eroe della Resistenza in Liguria.
La pellicola, diretta da Marco Gandolfo, senza alcun commento di sottofondo, raccoglie per lo più testimonianze di persone che hanno conosciuto direttamente Gastaldi, ufficiale dell’esercito, passato tra i partigiani con il nome di “Bisagno”.
Ne è scaturito il profilo di un uomo d’armi dalla rara umanità, che in ragione della sua fede cristiana non giustiziava mai i suoi prigionieri e che vedeva nella Resistenza non un evento ideologico, né politico ma soltanto un’occasione per gli italiani di tornare ad essere liberi.
A margine della proiezione, ZENIT ha incontrato il 39enne regista genovese Marco Gandolfo, che ha svelato tutti gli aspetti della personalità di Bisagno.
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Come è nata l’idea di una pellicola su Bisagno?
Ho scoperto la figura di Aldo Gastaldi attraverso due incontri. Il primo fu quello con il suo nipote omonimo, mio collega all’università: un giorno che andai a studiare a casa sua, notai su una parete il ritratto di un giovane con il pizzetto che mi osservava. Gli chiesi chi fosse e lui mi rispose: “è lo zio Aldo”. Capii subito che per lui aveva una certa venerazione. Poi realizzai che si trattava proprio di quell’Aldo Gastaldi cui è intitolata una via a Genova, dove sorge la Casa dello Studente.
Il secondo incontro fu con la poetessa e scrittrice Elena Bono, che aveva dedicato dei suoi versi a Gastaldi. La Bono aveva solo intravisto lo sguardo di “Bisagno” durante la Resistenza, tuttavia le era bastato questo fugace incontro perché parte della sua opera fosse segnata da quello sguardo.
Dai racconti di entrambi emergeva la storia di un ragazzo di 22-23 anni, fervente cattolico. Mi impressionò che un uomo di così grande fede potesse essere stato anche un grande comandante, al punto da ricevere una medaglia d’oro al valor militare per le sue gesta durante la resistenza. Ebbe anche una bronze star medal, il più alto riconoscimento che gli americani concedevano agli stranieri.
Nel frattempo io avevo io avevo iniziato a lavorare per la televisione, quindi con il nipote di Gastaldi era nata l’idea di fare un docufilm su suo zio Aldo. Il nipote mi rivelò quindi che suo padre (fratello di Bisagno), aveva iniziato a raccogliere documenti e testimonianze sul fratello, andando in giro con un vecchio registratore a intervistare quelli che lo avevano conosciuto. Ho avuto quindi la possibilità di attingere al patrimonio immenso che Giacomo Gastaldi aveva raccolto.
Quanto incise la fede cattolica di Bisagno nella sua attività di partigiano?
La sua fede cattolica non germogliò in alcun movimento, associazione o oratorio ma era essenzialmente il frutto dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia, in particolare dalla madre. Dalla fede cattolica nasceva il suo spiccato senso di responsabilità, nel senso della capacità di rispondere a quello che Dio gli chiedeva, attraverso i fatti che gli capitavano. Al di là di qualsiasi ideologia, Bisagno combatté per amore della sua Patria e dei suoi concittadini. Visse il dramma di dover utilizzare le armi, delle quali seppe fare l’uso più adeguato possibile, senza mai farsene dominare, né diventando un sanguinario; pur avendo un mitra in mano, continuò a guardare l’uomo anche nel nemico. Tutti sapevano che chiunque fosse stato fatto prigioniero di Bisagno, non sarebbe stato fucilato. La sua linea fu sempre la stessa: “chi sono io per decidere della vita dell’uomo che ho davanti?”. Anche quando avrebbe potuto sbarazzarsi di un gran numero di nemici, il suo pensiero era: “anche loro hanno una madre che li aspetta a casa”. L’altro suo principio era quello di combattere l’avversario, con l’intenzione di portarlo dalla propria parte, come spesso fece con grande accuratezza (una volta si travestì da Alpino, introducendosi in un accampamento di Alpini avversari), ma mettendo sempre a repentaglio la propria vita.
Che approccio ebbe Bisagno con la Resistenza?
Vedeva la Resistenza come una storica occasione per far nascere degli uomini liberi, laddove quelli che aveva sotto di sé, erano tutti ragazzi nati nel ventennio. Il suo carisma si esprimeva più che con le parole, con l’esempio concreto: riteneva che il comandante dovesse essere quello che si sobbarcava i turni di guardia più pesanti; se c’era poco da mangiare, lui era l’ultimo a mangiare e se si andava in battaglia, lui si poneva in prima linea, rischiando la vita per primo. È anche per questo che, tutte le persone che ho intervistato mi hanno raccontato di come Bisagno abbia illuminato tutta la loro vita dopo, sebbene nessuno di questi testimoni sia stato a contatto con lui più di qualche mese. Bisagno, infatti morì un mese dopo la liberazione, il 21 maggio 1945, riaccompagnando a casa gli Alpini del battaglione Vestone che lui stesso aveva convinto a passare alle file partigiane. Erano partiti dalle loro case in Lombardia e Veneto con l’etichetta di fascisti e repubblichini: se fossero tornati a casa da soli, avrebbero conservato l’etichetta di fascisti e sarebbero stati perseguitati. Bisagno si prese l’incarico di riaccompagnarli personalmente a casa e garantire a tutti che era gente che aveva fatto la Resistenza con lui. Si disse che rientrando dopo aver accompagnato l’ultimo partigiano, vi fu un incidente stradale e lui cadde dal tetto della camionetta in cui viaggiava e morì. Per tutto il clima che si era creato nei mesi precedenti, pochi credettero a questa versione ufficiale dei fatti e fin da subito si pensò che fosse stato eliminato…
Era dunque un uomo scomodo…
Era un uomo scomodo, perché voleva degli uomini liberi, non voleva che la Resistenza diventasse un pretesto per passare da un’ideologia all’altra, mentre in quella temperie c’era già chi sognava il comunismo in Italia. Si oppose fermamente alla propaganda politica all’interno delle formazioni partigiane. Secondo lui non era quello il momento di pensare a quale tessera prendersi dopo la guerra. In quel momento la priorità era liberare la Patria, alla politica si sarebbe pensato dopo. Questa sua presa di posizione diede fastidio. Bisagno non volle dare appoggio al Partito Comunista, né ad alcuna delle altre formazioni del Comitato di Liberazione Nazionale. Visto l’enorme seguito che Bisagno aveva, egli divenne presto un personaggio scomodo, tanto più che nei giorni della liberazione, quando ci furono vendette e regolamenti di conti, con morti trovati nottetempo nei carrugi di Genova, lui si oppose sempre fermamente a questo metodo, voleva che fossero gli americani a fare da polizia. Anche questa istanza lo pose in contrasto con i partiti del CLN.
È vero che i fascisti temevano Bisagno più dei comunisti?
Tra i documenti cui ho potuto attingere c’è anche la testimonianza di una spia fascista, la quale parla dei membri del comando di zona, che in gran parte erano comunisti, come persone interessate soprattutto alla politica ma non in grado di guidare le formazioni. Questa spia diceva espressamente: “L’unico vero nostro nemico è Bisagno, in quanto ha seguito tra i partigiani ed è molto astuto”. Era quindi l’unico che poteva costituire un pericolo sul piano dell’abilità militare e dell’ascendente sulle popolazioni che aveva davanti.