Cosa accadde alla fine della seconda guerra Mondiale? Come mai un numero mai quantificato di criminali di guerra riuscì a sfuggire alla giustizia? Addirittura molti di loro sono stati reclutati dalle stesse nazioni alleate che li avevano combattuti e sconfitti. Come mai un utilizzo così spregiudicato di personaggi che avevano commesso crimini orrendi? Paradossale poi che la Chiesa cattolica è stata accusata di aver fornito un sistema di copertura e protezione dei criminali di guerra nazisti in fuga. Poco si è detto della immensa opera di carità che la Chiesa svolse durante e dopo la Guerra. Sembra quasi che per nascondere i tanti scheletri nell’armadio, una certa pubblicistica abbia spostato l’attenzione sulla Chiesa inventando una leggenda nera.
Per cercare di fare luce su un periodo storico problematico, confuso e di cui pochi vogliono parlare, il prof. Pier Luigi Guiducci docente di Storia della Chiesa presso il Centro diocesano di teologia per laici “Ecclesia Mater” della Lateranense, storico autore di libri eccellenti ha pubblicato il libro “Oltre la leggenda nera. Il vaticano e la fuga dei criminali nazisti” (Ugo Mursia Editore) .
ZENIT lo ha intervistato.
Diversi autori hanno accusato la Chiesa cattolica di aver partecipato a operazioni per trasferire criminali di guerra. In particolare sono stati sollevati i casi di monsignor Alois Hudal e di don Karl Petranovic. Che cosa è accaduto veramente?
Ho studiato le accuse contro la Chiesa cattolica. Le formulazioni adottate dimostrano animosità, non serenità. In taluni casi permane un tono violento. Aggressivo. Per questo motivo ho dedicato degli anni per rivedere incartamenti e documenti di merito grazie anche alla mia rete di referenti internazionali. E ho pubblicato tutti i riscontri in più libri, articoli e atti di convegni. In merito, alcuni punti sono significativi.
Pio XII, in particolare, ebbe cura di ricordare ai potenti del tempo che migliaia di prigionieri attendevano ancora di ritornare nelle loro case. Rammentò, inoltre, che con riferimento a un elevato numero di soggetti internati era necessario stabilire una soluzione. Volle organizzare una rete di assistenza per profughi, prigionieri, internati, sfollati, reduci. Chiarì inoltre una questione-base: la Chiesa condannava le esecuzioni sommarie. I criminali di guerra dovevano essere restituiti ai loro Paesi di origine.
Alla rete di assistenza vaticana, che coinvolgeva l’opera umanitaria delle Chiese locali, si rivolsero tutti coloro che versavano in condizioni penose. Fu tale il numero delle richieste, che la Commissione dovette aumentare il numero dei volontari, molti laici e religiose, e si suddivise in comitati seguendo un criterio di lingua. Contemporaneamente vennero promossi centri territoriali per forme diverse di aiuto, specie alimentari. Si chiesero alle autorità alleate e poi a quelle italiane permessi di accesso nelle aree sorvegliate per recare pacchi dono e assistenza spirituale a quanti vivevano sotto restrizione obbligata.
Dalla documentazione che a tutt’oggi è ancora conservata e che ho esaminato, si evince che il personale addetto all’assistenza non sconfinò in competenze che spettavano alle ambasciate, ai consolati, alle forze alleate, alla polizia italiana, alle procure militari, ai comitati per l’emigrazione. Le persone vennero aiutate seguendo un criterio di sostegno a condizioni precarie e incerte. Non vennero svolte indagini sulle reali identità personali perché l’accertamento di tali identità era dovere istituzionale delle forze dell’ordine.
Unitamente a ciò, si è dimostrato molto interessante lo studio delle carte Hudal e quelle di Petranovic. Studiando nell’archivio di mons. Hudal è emerso che: contestò la dottrina dell’ideologo nazista Alfred Rosenberg, condannò l’estremismo nazista, incluso l’antisemitismo, condannò i culti ariani, difese gli internati a motivo delle condizioni riprovevoli dei campi, si preoccupò anche dei bambini ebrei, nascose ebrei nel proprio istituto, partecipò al tentativo di fermare il rastrellamento degli ebrei romani il 16 ottobre 1943, così da consentire una successiva fase di trattative. Leggendo, poi, il fascicolo Petranovic, conservato nella curia genovese, colpisce il fatto che non solo questo sacerdote non era assolutamente vicino al cardinale Siri, ma addirittura era in contrasto con l’Ordinario perché quest’ultimo non rilasciava i permessi attesi.
Nel libro Lei sostiene che nei confronti della Chiesa cattolica è stata diffusa una certa disinformazione, mentre è stata nascosta la grande opera di carità e assistenza che Papa Pio XII, il cardinale croato Alojzije Viktor Stepinac, gli arcivescovi di Genova Pietro Boetto e Giuseppe Siri, i tanti sacerdoti, alcuni martiri ed i tanti laici cattolici, tra cui anche sua madre, fecero per la salvezza di ebrei e perseguitati. Come funzionava la rete di assistenza cattolica? Può raccontarci qualche episodio significativo?
I processi disinformativi non furono improvvisati. Derivarono da leggende nere. Una proveniva dai nazisti secondo cui Pio XII non era intervenuto a sostenere le popolazioni polacche e quelle dell’est, tesi che ho chiaramente smontato con la pubblicazione e i dispacci delle spie naziste. I nazisti sapevano bene quanto Pio XII stava facendo in favore di ebrei perseguitati e vittime.
Un’altra leggenda nera proveniva dall’area sovietica, secondo cui Pio XII rimase in silenzio davanti ai drammi del suo tempo e fu vicino al III Reich. Entrambi le tesi sono state ampiamente sconfessate. Pio XII non rimase in silenzio e quando lo fece fu per salvare le vittime, ed i gerarchi nazisti consideravano Papa Pacelli un nemico con cui intendevano fare i conti a fine guerra.
Inoltre insieme alle leggende prive di supporto storico, si è voluto tacere sulle molteplici realtà di soccorso umanitario. Ho ritrovato, ad esempio, in Francia, l’incartamento che riguarda i tentativi messi in atto per ordine del Pontefice per allontanare dall’Italia i soldati del nord Africa autori delle tristi azioni condotte dalle truppe marocchine. Non si deve dimenticare che proprio nel frusinate un parroco venne violentato e ucciso per aver difeso delle donne.
Le operazioni cattoliche, poste in essere a difesa degli ebrei seguirono una rete di aiuti di cui ancora oggi è nota solo una parte. Ciò a motivo del fatto che sacerdoti, religiosi e laici, ritennero “un dovere” morale salvare dei perseguitati. Per tale motivo, chi diresse azioni ad alto rischio non volle essere ricordato e chiese di non essere citato neanche in articoli storici. Mia madre fu una di queste persone.
Pur tuttavia, basta fare un’analisi comparata tra le indicazioni pontificie, i documenti pastorali dei vescovi e le stesse lettere circolari dei dirigenti nazionali dell’Azione Cattolica, per accorgersi dell’esistenza di un filo rosso (la carità operaia) che motivò l’azione di singoli e di gruppi.
Tra le operazioni che ho studiato ricordo quelle di Karel Weirich, documentate da un archivio che si trova a Treviso. Karel nacque a Roma ma era figlio di cechi. Cattolico (e dipendente vaticano), organizzò una rete sotterranea di aiuti agli ebrei cechi che arrivò a coinvolgere persone in tutta Italia e all’estero. Riuscì, in particolare, a garantire agli ebrei rinchiusi nel campo di Ferramonti (comune di Tarsia, prov. Cosenza) delle notevoli cifre economiche oltre a generi di prima necessità. Segnalato da un delatore, venne arrestato. Torturato. Non rivelò alcuna informazione utile a rintracciare ebrei ed altri perseguitati. Fu condannato a morte. La Santa Sede riuscì a commutare la pena capitale in detenzione presso un campo di lavoro coatto. Fu tradotto in Germania per lavorare a un’industria bellica. Riuscì a sopravvivere. Abitava nel quartiere ove attualmente risiedo con la mia famiglia. E, nella chiesa romana di San Pio X alla Balduina, vedo di frequenza
la statua in gesso della Pietà, opera del padre di Karel.
Le mie ricerche mi hanno permesso di approfondire la figura di un commissario di polizia, il dr Giovanni Palatucci che operò a Fiume. Ho potuto presiedere a Roma anche a una commissione internazionale di inchiesta. Tutti i risultati sono stati pubblicati su internet. Ricordo, inoltre, i contatti avuti a Roma con le Suore della Sacra Famiglia di Bordeaux (via dei Gracchi), con le Religiose Battistine (v.le delle Milizie), con le Francescane Missionarie Insegnanti di Praga (villa Betania). Le loro consorelle operarono nell’ambito di una rete che dalla singola parrocchia arrivava al Vicariato e quindi alla Santa Sede.
La rete nella quale operò mia madre ebbe come base operativa la chiesa di San Rocco all’Augusteo, ma si sviluppò con un’interazione che toccò la parrocchia di San Lorenzo in Damaso per estendersi ulteriormente tra le socie della Gioventù Femminile di A.C., tra l’Unione Donne di A.C., e tra le volontarie che operavano negli ospedali da campo (organizzati nelle scuole) dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Mia madre fu assegnata al liceo Virgilio, in via Giulia.
Con molto coraggio Lei solleva il problema dei tanti scheletri nell’armadio che sono rimasti nascosti e cioè le complicità con criminali di guerra nell’Interpol e nella Croce Rossa, il reclutamento in funzione antisovietica e di potenziamento militare, missilistico e batteriologico che gli Stati Uniti hanno operato nei confronti di criminali di guerra nazisti e giapponesi. Le responsabilità di copertura e nascondimento dei criminali nazisti da parte di nazioni come la Svizzera, l’Austria, l’Argentina, la Bolivia, la Siria, l’Iraq, la Palestina, L’Egitto… Può illustrarci come e il perché di queste complicità?
Le complicità a cui fa riferimento furono diverse e articolate. Una delle più gravi riguardò l’Interpol perché questo organismo di collaborazione tra polizie di vari Paesi ebbe per un certo periodo di tempo dirigenti ex-nazisti. Ciò spiega le resistenze avute nei procedimenti mirati a catturare criminali di guerra. Anche la Croce Rossa è stata messa sotto accusa perché, secondo i riscontri effettuati da studiosi ebrei, conosceva la vera identità di criminali nazisti ai quali rilasciò passaporti per l’espatrio. Su questo punto, i dirigenti dell’Organismo umanitario in questione si sono dovuti difendere, ma alcuni punti neri rimangono agli atti. Rappresentanti della CRI ebbero la possibilità di visitare campi di concentramento (e mantennero un successivo silenzio), di acquisire informative da parte di perseguitati (che non resero pubbliche). Alcuni responsabili apicali mostrarono una certa “vicinanza” al mondo hitleriano (rif. a missive intercorse). Inoltre, non si deve dimenticare che la Croce Rossa tedesca venne durante la guerra inserita tra gli organismi statali nazisti e gli aiuti vaticani per la Polonia furono deviati dalla stessa CR a favore dell’esercito hitleriano.
Lei giustamente, ricorda alcuni Paesi o talune aree geografiche, all’interno dei quali il nazismo ebbe un grande sostegno e continuò ad avere aiuti anche dopo la fine del conflitto. Per brevità mi limito a ricordare l’Austria. A differenza di altre nazioni, questo Paese non ha mai voluto riesaminare la sua storia negli anni bellici. E non ci sono mai state dichiarazioni capaci di evidenziare almeno una presa di distanza. Ex esponenti nazisti divennero segretari generali dell’ONU e presidenti della repubblica. Ed anche nella pubblica amministrazione non vi furono mutamenti sensibili dopo la fine dei combattimenti. Un altro territorio che costituì rifugio per molti nazisti fu il Sud Tirolo (o Alto Adige). Tra le fotografie che ho potuto esaminare ne ho trovato una risalente ai primi mesi successivi alla resa del III° Reich. Si vedono truppe naziste (armate) sfilare a Bolzano, in piena tranquillità.
Gli studi che ho potuto realizzare con molta fatica in Austria e nel Sud Tirolo mi hanno permesso di ricostruire, malgrado le resistenze ricevute, i veri percorsi utilizzati dai criminali di guerra nazisti in fuga. Si tratta quasi sempre di alloggi privati.
Unitamente a ciò, ho potuto ridisegnare i percorsi affrontati dalle migliaia di profughi che, privi di tutto, si rivolsero a quelle strutture che accoglievano gratis: i monasteri, le parrocchie, gli istituti religiosi.
Da queste ricerche è derivato un ribaltamento di coordinate storiche. La vera via dei topi (rat line) fu seguita, di nascosto, con travestimenti e false identità, dai criminali nazisti e dalle loro famiglie. Ciò fu possibile grazie al denaro disponibile e alle conoscenze possedute.
La via dei conventi fu invece quella percorsa alla luce del sole da un altissimo numero di persone che era formato da cittadini di ogni età, da malati, da disabili, da soggetti affetti da sofferenza mentale a causa delle sevizie subìte, da donne incinte, da pazienti in fase terminale. Per queste persone fu necessaria un’assistenza continua. A più livelli: dalle medicine ai vestiti, dalle cure ai bambini terrorizzati dall’esperienza dei bombardamenti al cibo.
La prima parte dell’intervista è stata pubblicata ieri, sabato 22 agosto 2015.