Giovani “vecchi” e “pensionati”; una società “cimitero” perché senza tensioni e conflitti; i nonni sorgente di vita, fede e memoria; il diavolo “truffatore” e “malpagatore”; la mancata accoglienza agli immigrati come un “atto di guerra”… Parla per metafore Bergoglio agli oltre 1.500 membri della Sezione giovanile dell’Apostolato della Preghiera, meglio conosciuto come “Movimento eucaristico giovanile” (Meg), ricevuti stamane in udienza in Aula Paolo VI.
Venuti da 35 paesi, alcuni insieme ai loro genitori, i giovani festeggiano con il Santo Padre il centenario dell’organizzazione, nata in Francia nel 1915. Sei di loro gli rivolgono alcune domande, che fungono da traccia per il successivo discorso: lungo, articolato e rigorosamente a braccio, come sempre in queste occasioni di festosa familiarità, perché quelli scritti – si sa – sono “noiosi”.
In particolare sono due parole a colpire il Papa: tensione e conflitto. Parole dalla accezione negativa, ma necessarie per la vita quotidiana. Per la vita in generale. “Cosa sarebbe la società senza tensioni e conflitti?”, domanda infatti Franceco. “Sarebbe un cimitero. Quando c’è vita c’è tensione, c’è conflitto… Solo nel paradiso non ce ne saranno”. Pertanto tutti dovrebbero chiedersi: “Nella mia vita quali sono le mie tensioni? Come sono questi conflitti?”, perché “questi dicono che sono vivo”.
Sono proprio le tensioni – incalza il Pontefice – che “ti fanno crescere, che sviluppano il coraggio”. E “un giovane deve avere questa virtù del coraggio”, altrimenti “un giovane senza coraggio… è un giovane annacquato, un giovane vecchio”. “Per favore non andate in pensione”, incoraggia con simpatia Bergoglio, “ci sono giovani che vanno in pensione a 20 anni, così hanno tutto sicuro nella vita, tutto tranquillo, ma non hanno le tensioni…”. Sono morti, insomma.
Le tensioni, poi, sono insite in ogni famiglia. Ma come si risolvono? Semplice, “con il dialogo”: “Quando in una famiglia c’è il dialogo, questa capacità di dire spontaneamente cosa uno pensa, le tensioni si risolvono bene”, afferma il Santo Padre. Inoltre, bisogna dar loro una “gerarchia”, nel senso che “non bisogna avere paura delle tensioni”, ma allo stesso tempo neanche ‘amarle’ perché “se tu ami la tensione per la tensione questo ti farà male. E tu sarai un giovane ‘conflittuato’ male, che ama sempre essere in tensione”. Ciò “alla fine distrugge”: come infatti “un giovane senza tensione è in pensione, è morto; un giovane che soltanto sa vivere in tensione è ammalato”.
Parlando invece dei conflitti, Papa Francesco si rifà alla domanda di Gregorius, un ragazzino dell’Indonesia. Come le tensioni, “anche i conflitti possono farci bene, perchè ci fanno capire le differenze” e che “se non troviamo una soluzione che risolva questo conflitto, ci sarà una vita di guerra…”. Il conflitto per essere “ben assunto” deve essere infatti “orientato verso l’unità”. Specie in una società come quella indonesiana, dove “si respira una grande diversità interna di culture”, bisogna “cercare l’unità ma nel rispetto di ogni identità”.
Questo è l’antidoto al conflitto: il rispetto. Come il dialogo lo è per le tensioni. E quando manca il rispetto, accadono drammi come quello dei Rohingya, la popolazione musulmana in continua fuga dal Myanmar nell’Oceano Indiano e respinta dai paesi circostanti: Birmania, Malesia, Thailandia e Indonesia.
Un dramma che ancora una volta il Papa ci tiene a denunciare, perché il loro caso è l’esempio di “una cultura che non tollera l’altra”. I nostri fratelli Rohingya – sottolinea – “sono stati cacciati via da un paese da un altro e un altro, e vanno sul mare, quando arrivano a un porto, a una spiaggia, gli danno un po’ d’acqua, da mangiare e li cacciano via sul mare. Questo è un conflitto non risolto, è guerra, si chiama violenza, si chiama uccidere. È vero! Se io ho un conflitto con te, io ti uccido finito il conflitto, ma quello non è il cammino…”.
Analogamente in Medio Oriente, rileva il Santo Padre, “vediamo continuamente che tanta gente non è rispettata – le minoranze religiose, soprattutto i cristiani – non solo non sono rispettati ma tante volte sono uccisi, perseguitati, perchè non si rispetta la loro identità. Nella nostra storia sempre ci sono stati conflitti di identità religiosa, che venivano fuori per non rispettare l’identità degli altri. ‘Ma padre, questo non è cattolico, non crede in Gesù…’. ‘Rispettalo!’. Cerca che cosa di buono ha, che valori ha nella propria cultura, religione… Rispetta!”.
Lo stesso rispetto Papa Francesco lo invoca per gli anziani, i nonni in particolare che “sono i grandi dimenticati di questo tempo”. “Adesso un po’ meno qui in Italia – aggiunge ironicamente – perchè non c’è lavoro e loro hanno la pensione, quindi tutti si ricordano dei nonni…”. Ma i nonni sono i grandi dimenticati; paradossalmente, visto che proprio loro sono “la memoria di una famiglia, del paese, della fede”. “Io vi domando: voi parlate coi vostri nonni?”, “voi domandate: ‘Nonno, nonna, come è stato quello, come facevi tu?”. “Fatelo, perché i nonni sono fonte di saggezza, memoria della vita, delle tensioni, dei conflitti… E sono bravi, a me piace tanto parlare con i nonni”.
Come ad esempio, quella vecchina di 92 anni incontrata durante il giro in papamobile di un’Udienza generale, che “aveva gli occhi brillanti di gioia”. “Io ho fatto fermare la papamobile e sono sceso”, racconta Bergoglio, “sono andato a salutarla. Sorrideva. ‘Ma mi dica nonna quanti anni ha?’. ’92!’. ‘Brava! Mi dia la ricetta di come arrivare a 92 anni così’. ‘Sai? Mangio i ravioli. E li faccio io’”. Un aneddoto affettuoso per dire “che sempre trovare i nonni è una sorpresa, sempre ci sorprendono, sanno ascoltarci, hanno una pazienza… Anche quando vivono a casa aiutano tanto a risolvere le tensioni normali in una famiglia”.
Papa Francesco risponde poi alla domanda di una ragazza brasiliana, ‘tifosa di Pelè’, su quale sia stata la più grande sfida affrontata nella sua missione come religioso. “Io direi di trovare sempre la pace nel Signore – ribatte a bruciapelo -. Quella pace che solo Gesù ti può dare. Nei lavori, nei compiti, la sfida è trovare quella pace che significa che il Signore ti accompagna che il Signore ti è vicino”.
Un’altra sfida è “saper distinguere la pace di Gesù da un’altra pace che non è di Gesù”. “La vera pace – spiega il Papa – viene sempre da Gesù”, anche se “alcune volte è incartata in una croce”. L’altra pace, “quella superficiale, quella che ti accontenta un po’”, viene invece “dal nemico, del diavolo”. È una pace che “ti fa contento”, “ti fa divertire un po’”, ma “dentro c’è un inganno”. Essa alla fine porta alla distruzione, perchè il diavolo è un “malpagatore”, “mai paga bene, sempre ti truffa, ti fa vedere le cose truccate. E tu vedi che quello è buono ti da la pace, alla fine non ti da la felicità”.
“Gesù invece è un buon pagatore, paga molto bene…”, afferma Bergoglio, e il segno della sua pace è “la gioia”, profonda e duratura, che nessun altro è in grado di dare. Specie il diavolo che al massimo fa solo “un po’ di circo”. Un altro segno è lo “stupore” come quello assaporato dai discepoli Giovanni e Andrea nello stare con Cristo. E poi la “pace”. “Gioia, stupore e pace: questo è il contraccambio di Gesù”, rimarca Francesco, “questa è la sua manifestazione”. “Tu però – raccomanda – devi cercarlo, nella preghiera, nell’Eucarestia, nella vita quotidiana, nella responsabilità dei tuoi compiti, anche nell’andare a cercare i bisognosi e aiutarli”.
Parlando sempre di gioia il Papa afferma di vedere “segnali reali di gioia nella chiesa nel mondo in questi XXI secolo”. Nonostante adesso “siamo in una guerra”, in una “terza g
uerra mondiale combattuta a pezzi”, dice, ci sono però barlumi di speranza nel mondo. A cominciare da giovani come quelli del Meg che “credono che Gesù è nell’Eucarestia, che l’amore è più forte dell’odio, la pace più forte della guerra, il rispetto più forte del conflitto, l’armonia più forte delle tensioni… Questo è una speranza, a me dà gioia”.
Il Papa esorta infine a chiedere a Dio la grazia della memoria, come domandato da Gesù stesso nell’Ultima Cena: “Fate questo in memoria di me”. “Ricordati di Cristo”, incoraggia il Vescovo di Roma, soprattutto nell’Eucarestia, che “non è soltanto un rituale”, né “una cerimonia” come quelle militari, culturali, ma “è andare lì sul calvario con Gesù che ha dato la sua vita per me”. Con questa memoria, spiega il Pontefice, è possibile approfondire il mistero della Eucarestia, quale memoriale “di quello che Gesù ha fatto”. E “quando vai a Messa, o vai davanti al Tabernacolo, ricordati che Lui è lì e ha dato la sua vita per te”.
“Vi ringrazio”, dice infine Papa Francesco ai suoi ospiti, “io avevo scritte le domande ma non le avevo lette. Questo che ho detto è venuto dal cuore, come veniva in quel momento. Il mondo ha tante cose brutte, stiamo in guerra, ma ci sono tante cose belle, tante cose buone e tanti santi nascosti nel popolo di Dio, Dio è presente e ci sono tanti tanti motivi di speranza per andare avanti. Coraggio e avanti!”.
L’udienza si conclude con la preghiera dell’Ave Maria, che Francesco chiede di recitare ognuno nella propria lingua e secondo i desideri del suo cuore. Perché “i bambini quando cominciano a camminare cercano la mano della mamma per non sbagliare strada”. E noi, “andando sulla strada della vita”, possiamo chiedere aiuto a Maria, nostra Madre.