L’uomo di oggi non riesce a capire come il miracolo della moltiplicazione dei pani si ripeta ogni giorno, durante la santa messa, in qualsiasi parte del mondo. Esso avviene nel momento in cui milioni di persone ricevono contemporaneamente l’eucaristia. Finché ci sarà un solo prete potremmo essere partecipi di questo grande e incommensurabile mistero. Senza i ministri del Signore il popolo del mondo rischierebbe di morire affamato, perché privo del Pane della vita che ristora, sazia, cambia l’esistenza e libera cuore e mente da ogni tradimento terreno. Il Figlio dell’Uomo penetra così in ogni uomo che lo chiede, lo cerca, lo invoca, lo “mangia”. Ognuno avrà Cristo intero, non una parte infinitesimale del suo corpo. Il Redentore non si divide, non sceglie, non si nutre di sentimenti individuali, ma offre la strada sicura per portare il bene in ogni tratto della proprio cammino. Fa così conoscere l’amore vero; quello che cambia il mondo; che smuove le montagne; che allontana le tentazioni; che ringrazia di ciò che è stato chiesto al Padre, prima che lo stesso si realizzi. Se solo credessimo che è già realtà nella preghiera, ciò che si chiede a Dio con l’animo pulito dalle ragnatele terrene! Si rivoluzionerebbe la nostra quotidianità e metteremmo a frutto ogni talento posseduto per la prosperità e il bene comune. Gesù ringraziava il Padre di quanto gli aveva concesso, prima che gli altri si rendessero consapevoli del miracolo avvenuto. Leggiamo in Giovanni, mentre Gesù sosta davanti al sepolcro di Lazzaro chiuso ormai da quattro giorni: “Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Le nostre richieste sono spesso dettate dalla tragedia personale o collettiva del momento. In esse non c’è la connessione totale con il Signore.
Questo è un atto difficile da compiere perché siamo quasi sempre pieni di pregiudizi; di paure; di vergogne; di una fede discontinua e senza intelligenza; di parole senza verità; di comportamenti ambigui. Diventiamo poi meschini e tradiamo il vangelo, quando leggiamo i suoi brani in chiave materiale, magari sindacale, ideologica, per parzialità. Dimenticando che Cristo è il datore di lavoro e non solo l’operaio. Cristo è il ricco e non soltanto il povero. Cristo è il medico e non solo l’ammalato. Un vero cristiano sa che ognuno ha l’obbligo di vedere Cristo in qualunque uomo che passi davanti ai suoi occhi. Ricordiamoci sempre che per attrarre la misericordia di Dio, dobbiamo essere noi misericordiosi verso il prossimo. La misericordia del Padre si radica sulla nostra. Ecco perché ricevere il Signore significa anche interpretare bene la sua Parola, intrecciando la propria esistenza con essa. Non è cosa santa perciò servirsi oggi del messaggio evangelico per giustificare gratuitamente decisioni politiche, economiche, culturali, come tante volte è avvenuto nel passato. Scrive mons. Costantino di Bruno: “Servirsi del vangelo per dividere l’umanità in due blocchi, tra i ricchi posti alla sinistra di Gesù e i poveri collocati alla sua destra anche questa interpretazione è di cattivo gusto. Nel Vangelo le categorie di poveri e di ricchi sono teologiche, non materiali. Il Vangelo va letto, commentato, interpretato, compreso secondo il Vangelo. Mai dovrà essere predicato dalla storia, dall’uomo, dalle cose. Renderemmo ad esso un servizio diabolico, non certo divino, soprannaturale, di vera salvezza”. Dovremmo, per invertire rotta, riconoscere il miracolo quotidiano della moltiplicazione dei pani, assimilandolo nella sua totale straordinarietà.
Chi è sicuro di avere il pane della vita sa anche leggere bene ogni passaggio della sua vita, riuscendo ad ottimizzare i suoi talenti per portare frutto e non per fare ombra. Ma oggi succede il contrario. Basta guardare le istituzioni, escludendo chiaramente le tante buone eccezioni. Ognuno di noi non dovrebbe di solito abbandonare i suoi doni particolari, cedendo magari per gloria personale al potere o ai ruoli che oggi permettono di avere la visibilità che conta. Gesù non cede alle lusinghe del popolo che lo voleva re, scappa via. Penso che sarebbe bene per tutti meditare ogni tanto, come ricorda mons. Di Bruno, l’apologo di Iotam, ultimo figlio di Gedeone, nella parabola degli alberi che si misero in cammino per eleggere il loro re. Il fico, la vite e l’ulivo risposero che mai avrebbero abbandonato la produzione dei loro frutti, motivo di benessere costante tra la gente. Cosa diversa fu per il rovo: “Vieni tu, regna su di noi. Rispose il rovo agli alberi: Se davvero mi ungete re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra”. Tutti i mali dell’uomo sono quasi sempre il frutto della sua superbia, il non rispetto della sapienza e intelligenza, doni spirituali del Signore. Molti sono inadeguati come il rovo, ma salgono comunque sul podio del comando, mentre la società si deprezza e perde le sue migliori occasioni, segnando duramente le nuove generazioni. Un medico, un professore universitario, uno scienziato, per superbia, potrebbero essere pessimi soggetti nel lasciare la propria professione, ad esempio, per la politica o l’amministrazione pubblica. Bisognerebbe ricordare che ogni uomo è stato dotato da Dio di sapienza parziale, particolare, specifica. Lo ha reso abile e capace per alcune cose e non per altre. Ma è l’insipienza del rovo che prende quota, mentre i problemi del mondo, tra tanti talenti traditi, diventano sempre più grandi.
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