Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ si pone questa domanda: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? […].“[1] e continua il discorso dicendo
“[…] se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.
Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze”[2].
Come si vede, il Papa si pone dei problemi che riguardano la nostra responsabilità morale riguardo al futuro dell’umanità e dell’ambiente. Propriamente si può affermare che il Pontefice sostiene un’ ”etica del futuro”, la quale è il centro della riflessione filosofica svolta da Hans Jonas (1903-1993) nel suo saggio intitolato Il principio responsabilità, la cui conoscenza può offrire una chiave di lettura per interpretare gli aspetti più significativi dell’enciclica.
L’etica del futuro di Jonas
La teoria della responsabilità costituisce il centro dell’opera Il principio responsabilità, nelle prime pagine della quale è delineato il quadro concettuale dell’intero saggio.
L’etica tradizionale, secondo Jonas, “aveva a che fare con il qui e l’ora”[3], poiché non doveva occuparsi delle conseguenze future delle azioni umane. I rapporti umani si svolgevano in tempi e spazi delimitati e le scelte morali non “erano oggetto di pianificazione a distanza”[4].
L’etica era quindi connotata dall’immediatezza e le norme che regolavano l’agire morale si riferivano a un universo di esseri umani che vivevano nel presente e condividevano lo stesso orizzonte spazio-temporale, “per cui tutti gli imperativi e le massime dell’etica tradizionale, per quanto diversi possano essere dal punto di vista del contenuto, mostrano tale limitazione al campo immediato dell’azione.
I rapporti umani si svolgevano nella contemporaneità[5] e “nessuno era ritenuto responsabile per le conseguenze involontarie di un suo atto ben intenzionato, ben ponderato, ben eseguito”[6].
Lo spazio al cui interno gli esseri umani si relazionavano tra di loro era delimitato all’interno della “città”, ed essa “costituiva l’intero e unico ambito della responsabilità umana”[7], poiché la natura non rappresentava un problema morale, ritenendo che essa fosse invulnerabile e rimanesse immutabile nel tempo[8].
La natura non poteva essere danneggiata dalla tecnica perché le abilità manuali dell’homo faber erano limitate, per cui ogni rapporto con essa “era neutrale sotto il profilo etico in relazione tanto all’oggetto quanto al soggetto dell’agire”[9].
Dal punto di vista oggettivo la tecnica non poteva provocare “danni duraturi”[10] e dal punto di vista soggettivo l’essere umano si serviva della tecnica per le sue necessità quotidiane e non la considerava “come il fine primario dell’umanità”[11].
L’etica tradizionale, considerando il contesto socio-culturale in cui l’uomo viveva, riteneva che il sapere scientifico non fosse necessario per garantire la moralità delle azioni[12], perché era sufficiente il sapere ordinario[13], infatti come afferma Kant, citato da Jonas, “non c’è bisogno né di scienza né di filosofia per sapere ciò che si deve fare per essere buoni e virtuosi, e perfino saggi e virtuosi”[14].
In generale, l’etica tradizionale poteva stabilire una serie di imperativi vincolanti per le azioni umane, perché la loro natura si presentava immutabile nel tempo.
Nella civiltà tecnologica è avvenuto un cambiamento qualitativo, poiché la tecnica moderna ha mutato la natura dell’agire umano[15].
Jonas evidenzia che “la natura dell’agire umano si è de facto modificata e che un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che l’intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere. E che oggetto di sconvolgente grandezza, davanti al quale tutti gli oggetti precedenti dell’agire umano appaiono irrilevanti!”[16].
L’essere umano è quindi responsabile nei confronti della natura e non soltanto dei rapporti inter-umani; l’etica del futuro deve quindi abbandonare l’antropocentrismo dell’etica tradizionale[17] e riconoscere che la biosfera “sia diventata […] qualcosa che è dato in custodia all’uomo e avanzi perciò nei nostri confronti una sorta di pretesa morale […]”[18].
L’Autore sottolinea che la custodia della natura da parte dell’uomo è finalizzata al bene non soltanto dell’uomo, ma anche della natura[19] e quindi l’etica dovrebbe estendere “il riconoscimento dei ‘fini in sé’ al mondo naturale”[20].
Esistono quindi anche dei “diritti” della natura, oltre che dell’uomo, e l’umanità ha il dovere di ascoltare gli appelli[21] che provengono dalla natura e soprattutto il “muto appello a preservarne l’integrità [che] sembra salire dalla totalità minacciata del mondo vivente”[22]. E’ necessario quindi un ripensamento del rapporto uomo-natura che coinvolga, oltre all’etica, anche la metafisica, “che in ultima analisi deve costituire il fondamento di ogni etica”[23].
“Il Prometeo [è] irresistibilmente scatenato”[24] e le “promesse della tecnica si sono trasformate in minaccia”[25] per l’umanità. La tecnica è animata da un impulso prometeico che la spinge a raggiungere un progresso illimitato, “il cui traguardo di dominio sulle cose e sull’uomo appare come l’adempimento della sua destinazione”[26].
Secondo Jonas, è’ in gioco il futuro della specie umana e della stessa natura, che è diventata la “città universale” nella quale l’essere umano vive, essendo stato cancellato il confine tra polis e natura[27], perché “la città degli uomini, un tempo un’enclave del mondo non umano, si estende ora alla totalità della natura terrena e ne usurpa il posto”[28].
La tecnica ha esteso il suo dominio su tutta la natura e, di conseguenza, è sparita la differenza tra artificiale e naturale[29]. Il rapporto della tecnica con la natura non è più moralmente neutrale, come in passato, ma assume una rilevanza etica sempre maggiore, proporzionata alle conseguenze prodotte dai suoi progressi sulla vita dell’umanità e dell’intera biosfera[30].
La sviluppo della civiltà tecnologica impone all’etica nuove dimensioni della responsabilità, non contemplate nell’etica tradizionale, infatti “nessuna etica del passato doveva tener conto della condizione globale della vita umana e del futuro lontano, anzi della sopravvivenza della specie”[31]
L’assioma fondamentale dell’etica del futuro riguarda l’esistenza di “un mondo adatto ad essere abitato dall’uomo”[32], oggetto dell’obbligazione è la presenza dell’uomo nel mondo, che costituiva per l’etica tradizionale un dato indiscutibile[33].
Gli imperativi validi per l’etica del passato, caratterizzata dall’immediatezza e dalla contemporaneità, dovranno essere sostituiti con altri adatti alla nuova situazione storica. Ad esempio l’imperativo categorico di Kant che affermava: “agisci in modo che anche tu possa volere che la tua massima diventi legge universale”[34], dovrebbe essere sostituito con il seguente: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”[35].
Le stesse tematiche trattate da Jonas si ritrovano nell’ Enciclica Laudatu si’, la quale è condivisibile da tutti coloro, credenti e non credenti, che hanno a cuore il futuro dell’umanità e dell’ambiente nel quale viviamo.
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[1] Francesco, Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, n. 160.
[2] Ibidem, nn. 160-161.
[3] H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P. P. Portinato, Einaudi, Torino 2002, p. 8.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. ibidem.
[6] Ibidem, p. 9.
[7]Ibidem, p. 7. Il corsivo è mio.
[8] Cfr. ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Cfr. ibidem, p. 9.
[13] Cfr. ibidem.
[14] Ibidem.
[15] Cfr. ibidem, pp. 10-11.
[16] Ibidem, p. 10.
[17] Cfr. ibidem, p. 8.
[18] Ibidem, p. 12.
[19] Cfr. ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Cfr. ibidem, pp. 12-13.
[22] Ibidem, p. 12.
[23] Ibidem, p. 13.
[24] Ibidem, p. XXVII.
[25] Ibidem.
[26] Ibidem, p. 13.
[27] Cfr. ibidem, p. 14.
[28] Ibidem.
[29] Cfr. ibidem.
[30] Cfr. bidem, pp. 13-14.
[31] Ibidem, p. 12.
[32] Ibidem, p. 15.
[33] Cfr. ibidem.
[34] Ibidem.
[35] Ibidem, p. 16.