Ricordo con particolare emozione il mio incontro con il cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) recentemente scomparso, all’età d 87 anni.
Lo conobbi a Bergamo in occasione della presentazione del volume Contro Maestro Ciliegia. Commento teologico a Le avventure di Pinocchio e rimasi colpito dalla lettura teologica che ha intrecciato al racconto di Carlo Collodi. Il senso del mistero creativo, la paternità, l’ubbidienza, le prove, le tentazioni, i pericoli, la fedeltà, le promesse, tutti valori nascosti tra le righe del racconto che il cardinale, da abile educatore fa emergere e vibrare con spirituale candore e fascino, cogliendo anche il valore simbolico della Redenzione nel costante intervento della fata, che, con la dolcezza femminile, conquista e guida sulla via del bene.
«Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana – spiega il cardinale Biffi – comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero”.
La storia del racconto-fiaba è identica, nella struttura, alla storia sacra: c’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino. Le avventure di Pinocchio raccontano la vera storia dell’uomo, che è la storia cristiana della salvezza. La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti, è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo ed esiste un’oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l’ortodossia cattolica.
“Pinocchio – raccontava il cardinale – è stato il mio primo libro, me lo comprò mio padre alla fiera di sant’Ambrogio, a Milano, quando avevo 7 anni”: da allora non se n’era più separato.
Quando venne a Bergamo per la presentazione del volume, edito da Jaka Book, per iniziativa di Comunione e Liberazione, ci si preparava al grande convegno ecclesiale Evangelizzazione e promozione umana, la voce del Profeta del nostro secolo, maestro e pastore della chiesa bolognese, costituiva un punto di riferimento di sicura dottrina.
Le sette verità fondamentali di Pinocchio illuminano tutta la vicenda umana dall’origine dell’artefice creatore. Pinocchio, creatura legnosa, è costruito come una cosa ma è chiamato subito “figlio” dal suo creatore. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da un gratuito, imprevedibile amore.
Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l’approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità. L’incontro e la scoperta del male interiore ed esteriore vede Pinocchio quale espressione della incapacità dell’uomo a lottare contro il maligno e ad operare secondo giustizia: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19).
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare a lieto fine la tragedia della creatura ribelle.
“Queste sette convinzioni – dice il cardinale Biffi in un documentario-intervista – sono affermate e conclamate dal libro, e non so come sia possibile con qualche ragionevolezza dubitarne”.
La lezione di Carlo Lorenzini, detto Collodi, ed il “caso” letterario de Le avventure di Pinocchio seguono il sentiero della verità e le sette fondamentali verità della visione cristiana, e cioè: l’origine da un Creatore e la nostra vocazione a diventare suoi figli; il peccato originale e la decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male; il demonio, creatura intelligente e malvagia, che lavora alla nostra rovina; la mediazione salvifica di Cristo, come unica possibilità di salvezza; il senso di Dio, fondamento della dignità umana e della nostra libertà di fronte a qualsivoglia oppressione; il dono della vita di grazia, che ci fa partecipi della natura di Dio; i due diversi destini eterni tra i quali siamo chiamati a decidere, costituiscono una lezione di vita che possiamo imparare: le ideologie possono servire per far politica, per arricchire, per far carriera, ma non servono all’uomo, come ha affermato recentemente anche papa Francesco durante il viaggio apostolico in America Latina.
Per la salvezza occorre la verità: la verità sulla vita e sulla morte, sul senso dell’esistenza e sulla sua insignificanza, sulla felicità e sul dolore, sulla possibilità di speranza e sulla disperazione, sulla nostra origine e sul nostro ultimo destino.
Il magistero dell’anziano pastore della Chiesa di Bologna diventa oggi patrimonio per tutta la Chiesa, “la sua acutissima intelligenza, unita al suo grande umorismo, sempre tanto benefico e costruttivo, è un grande segno di quell’unità interiore che in lui era visibile nel vivere centrato su Gesù e nell’amore per la Chiesa”, come ha detto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al termine del funerale.
La cultura dell’evangelizzazione per il cardinale Biffi coincide con il dialogo ed egli aveva un concetto molto alto del dialogo, da non ridurre tutti a un minimo comune denominatore o al perditempo della chiacchiera da salotto.
Anche sul tema dell’immigrazione le sue posizioni sono chiare ed intervenendo al Seminario di studi Vangelo, lavoro e migrazioni, organizzato dalla Fondazione Migrantes, dalla Caritas italiana e dalla Cei, il 13 settembre 2000, Biffi ha detto: “Il mio compito è evangelizzare i musulmani. Il compito dello Stato laico è invece tenere presenti tutte le difficoltà d’inserimento dei musulmani nella vita civile”. Purtroppo i fedeli dell’Islam “nella stragrande maggioranza vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra umanità”, dunque “ben decisi a restare sostanzialmente diversi in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro”.
Scavando nella miniera dei suoi scritti emergeranno tante perle preziose che è bene mettere in luce a vantaggio di una formazione cristiana fedele allo spirito della Chiesa di ieri e di sempre, per non restare “una testa di legno”, piccoli burattini senza anima.