Papa Francesco e la pedagogia delle “tre parole”

I verbi del Pastore sintetizzano la regola del “saper guardare tutti e osservare ciascuno”, dell’entrare in relazione e quindi assicurare efficacia all’insegnamento

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Ascoltando le omelie di papa Francesco si rinnova ogni volta la medesima sensazione di dover riportare a casa tre pietruzze, tre pensieri, tre messaggi.

Ancora una volta nell’Angelus della calda domenica dello scorso 19 luglio, il commento al Vangelo è stato incardinato su tre verbi: vedere, avere compassione, insegnare.

I verbi del Pastore sintetizzano la regola pedagogica del “saper guardare tutti e osservare ciascuno”, dell’entrare in relazione e quindi assicurare efficacia all’insegnamento.

L’immagine descritta dall’evangelista con singolare intensità, “fotografando” gli occhi del Messa, “cogliendo i sentimenti del suo cuore” di fronte alla grande folla riunita come pecore senza pastore.

La sequenza dei fotogrammi descrive un procedimento ordinato e consequenziale. Le caratteristiche di attenzione di sensibilità pedagogiche e di relazione diventano anche codice e regolamento di azione pedagogica.

Allo sguardo di Gesù, che “non è lo sguardo di un sociologo o di un fotoreporter”, corrisponde la capacità del suo saper guardare: Gesù, infatti, guarda sempre con “gli occhi del cuore” ed il suo sguardo penetra e conquista come per il giovane ricco: “Lo guardò e lo amò”.

In un fortunato saggio: Gesù di Nazaret, centro del cosmo e della storia, lo scomparso cardinale Giacomo Biffi tracciava l’identikit umano del Nazareno, a partire dai racconti dei suoi contemporanei, dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto, dai dati storici che sono in nostro possesso e lo riguardano. Dalla descrizione dell’aspetto esteriore di Gesù: era molto bello e aveva occhi quasi magnetici, capaci di guardare in alto, verso il Padre e di penetrare in profondità il cuore delle persone che incontrava, Biffi passa a delineare la psicologia del Maestro: era uno con le idee chiare, aveva una volontà ferro ed era pienamente identificato con la sua missione (fino quasi a non sentire la stanchezza); non trascurava le piccole cose, i dettagli della quotidianità, di cui intesseva poi le sue parabole. Aveva un animo sensibile e al tempo stesso agiva del tutto libero dal giudizio degli altri.

La pedagogia del Buon Pastore è stata ben analizzata anche da Gesualdo Nosengo, fondatore dell’UCIIM, il quale legge nelle azioni di Gesù, che conosce le sue pecore, le chiama per nome e va in cerca della pecorella smarrita, dà la vita per le sue pecore e non vuole che nessuna di esse vada perduta.

“Che io non si perda nessuno di quello che mi sono stati affidati” non è soltanto un’espressione evangelica, ma una regola pedagogica che non consente che ci siano degli studenti che restino indietro o che smarriscano la retta via.

Ciascuna delle notazioni che caratterizzano l’agire del Buon Pastore descrive un comportamento educativo e diventa regola e norma di pedagogia di comunicazione e di contatti relazionali non sempre e non da tutti messi in atto.

Guardare tutti ed osservare ciascuno”, regola d’oro della pedagogia dell’attenzione verso l’altro, trova nel Buon Pastore il modello che s’incarna in Gesù Maestro, attento ai piccoli e capace di dialogare e di insegnare, producendo reali apprendimenti resi manifesti dal cambiamento del modo di pensare, di sentire e di agire.

È l’amore la sorgente di ogni atto educativo e il Buon Pastore, con la sequenza dei gesti dell’ordinarietà, detta le regole per l’educatore di oggi, docente, catechista e genitore.

Quando l’evangelista racconta che Gesù ebbe compassione e vede la folla come un gregge senza pastore, si comprende bene che la sua compassione, non è solo un sentimento umano, ma è la commozione del Messia, in cui si fa carne e manifesta tenerezza di Dio.

Insegnare, nutrire la folla con il pane della sua Parola, come ha sottolineato Papa Francesco, diventa compito e missione, impegno e servizio.

Occorre oggi, in risposta all’emergenza educativa, tanta “passione”,  scaturita dalla consapevolezza di un bisogno urgente e prioritario e dalla necessità di non far passare invano i tempi preziosi dell’età evolutiva,  che, una volta superati, comportano difficoltà maggiori di adattamenti e modifiche.

Insegnare ed educare non possono essere considerati come un “mestiere”, bensì come una “vocazione e missione” ed in quanto tale comporta una risposta di assenso ad una proposta d’invito che s’inserisce nel “piano di Dio”. Afferma Cousinet: “L’essenza della vocazione pedagogica consiste in un’urgente necessità interiore di trasmettere ad altri il proprio sapere, le personali esperienze fatte attraverso lo studio e le conquiste ottenute nel campo delle condotte morali e delle abitudini virtuose.

In ogni pagina del Vangelo si scopre una regola di vita ed una cellula di verità cui s’ispira ogni gesto educativo. “Ciò che fa di un uomo un “maestro” è il fatto che egli possiede e trasmette la verità e l’arte di farne entrare in possesso anche gli altri”.

Restare un gregge senza pastore o seguire le ideologie che hanno un capo ma non un “maestro”, è il rischio del nostro tempo e, mettendo in atto la “compassione” di Gesù, si potrà dare risposta ad un bisogno, luce e guida ad un percorso, soluzione positiva ad un’emergenza. Quando Gesù vede che la gente non ha pastore, si offre come guida. Riprende ad insegnare. Guida la moltitudine che altrimenti sarebbe smarrita nel deserto della vita. L’annuncio della Buona Novella mostra che Gesù si muove con sollecitudine e che è spinto dalla compassione, scaturita dalla passione per il Padre e per la gente povera ed abbandonata della sua terra.

Elemento primario dell’azione educativa è, infatti, il servizio alla verità in se stessa e quindi in Dio e poi il cercare la verità, meditarla, studiarla, penetrarla, e viverla. La fedeltà alla verità e ai valori, infatti, non s’insegna, non passa dalla ripetizione di parole e formule ma si testimonia con la vita, espressione di un’adesione personale e convinta.

L’azione educativa, dettata dal desiderio di promuovere dottrina, virtù e vitalità tra i giovani, va condotta con gioia e amore, secondo le giuste regole e con sincerità d’intenzione. È necessario, infatti, essere contenti di stare con i ragazzi. “Basta che siate giovani perché io vi ami”, diceva Don Bosco; quindi mettere in movimento un atto intenzionale di promozione e di guida, di sostegno e di stimolo, per dare completezza e pienezza alla forma umana attraverso il progetto di formazione integrale dell’uomo e del cittadino.

La gente di Galilea era impressionata dal modo di insegnare di Gesù, perché era di fronte a un insegnamento nuovo! Dato con autorevolezza!  L’evangelista San Marco per più di quindici volte scrive che Gesù “insegnava” e, anche se non viene esplicitato il contenuto dell’insegnamento, è ben chiaro: trasmettere la verità, che penetra nel cuore della gente. Il contenuto che Gesù trasmetteva non emerge solo dalle parole, ma anche nei gesti e dal modo in cui entrava in rapporto con le persone. Il contenuto, la “Buona Novella”, infatti, non è mai separato dalla persona che lo comunica.

I fotogrammi descritti da Papa Francesco appaiono distanti e difformi dalle immagini che trasmettono le televisioni e i social media di oggi. Al cristiano il compito di raddrizzare l’obiettivo e recuperare l’umano dell’uomo.

 

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Giuseppe Adernò

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