«Una vacanza perpetua è una definizione calzante di inferno».
Così dicendo, il drammaturgo irlandese George Bernard Shaw canzonava i pelandroni per scelta, ma pure quanti, magari dopo un lungo e duro lavoro sprofondavano nei giorni di ferie come fossero paludi oziose. Una realtà tutt’altro che rara e ben nota ai sociologi: lasciandosi andare alla mollezza del corpo e della mente, ci si arrende all’indifferenza e alla mediocrità. È il riflesso sull’individuo dell’apatia generalizzata della società moderna, che dopo essere passata attraverso frenesie ed eccessi piomba nell’abulia, nella svogliatezza, se non nella nausea o nella noia.
Questo non è il “dolce far niente”: è un’acqua cheta che smorza gli aneliti dell’anima come reazione ad una quotidianità in cui l’uomo non usa più il tempo per vivere, ma solo per reiterare le solite azioni, spesso piombando nella depressione. Non a caso, lo studioso svedese, Johann Cullberg definiva l’umanità come confinata nella «stretta penisola del tempo», divenuta simile a un formicaio agitato. Questo fa sì che le ferie, per chi ha la fortuna di fruirne, nella maggior parte dei casi diventino un continuum della solita solfa, magari, in una località diversa, ma con gli stessi rumori, le stesse tensioni, lo stesso fracasso: non si è più capaci di pensare a quello che si fa, di fermarsi a contemplare uno squarcio di paesaggio e, soprattutto, di guardarsi dentro.
Si vive nella morsa dei minuti che passano inesorabili: da un lato, affiora la nostalgia del passato, dall’altro preoccupano gli impegni che ci attendono in un tempo che si assottiglia. Questo perché la realtà che meno ci coinvolge è il presente, anche perché, come già sottolineava sant’Agostino «appena lo consideri, già ti sfugge dalle mani». Così, tagliato fuori il presente si vive legati più al “già”che al “non ancora”.
E pensare che le piccole cose potrebbero essere fonte di serenità e di godimento. È probabilmente questo il vero tempo che è tra le mani di ognuno: ed allora, perché non fermarsi a riflettere, a dare valore a ciò che sembrandoci insignificante viene da noi trascurato? È l’unico orizzonte cui guardare. Insomma, le vacanze (per chi le può fare), dovrebbero offrire la libertà di dare tempo al tempo, essere un periodo in cui riscoprire e familiarizzare con la propria umanità e cercare un po’ di pace e di serenità interiore, un’occasione per dare un senso a ciò che si vive qui e ora. Facciamone, allora, un’occasione di diversità utile, grazie alla quale gettare uno sguardo nuovo sulle abitudini assunte nei rapporti con gli altri e con la realtà circostante, uno sguardo non miope, ma lungimirante, distaccato e insieme appassionato, uno sguardo che tende a diventare lo sguardo stesso di Dio. Vacanze sagge, dunque. Quelle che auguro a tutti.