“Se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando se l’è cercata, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono”.
Parlava da padre, Papa Francesco, e si riferiva alla famiglia, facendone il perno del suo discorso durante il suo viaggio in Ecuador, ma utilizzandola pure come metaforico messaggio all’Europa, alle prese col caos ingenerato dalla questione greca e dalle ripercussioni provocate dalla ricerca di un accordo precario e fragile, che ne svela l’incapacità di andare oltre i limiti della finanza per diventare vera unione di genti e sentimenti umanitari.
I fatti non lasciano adito ad interpretazioni diverse: quella contemporanea è una società che privilegia, non solo sul piano finanziario, la ricerca comprensibile – ma a volte ossessiva – di prospettive stabili e di salvaguardia dai rischi, e che per questo si sente minacciata. Nella vita di ogni giorno, come nella creazione del destino comune, si è diventati insofferenti alle difficoltà. Così, quando queste si presentano, scatta l’istinto di conservazione, quasi di sopravvivenza. Lo stesso che magari cova quando all’orizzonte compaiono barconi carichi di migranti.
Eppure, proprio i battelli della speranza, e la stessa crisi greca, dimostrano che non basta un’economia forte per fare grande una regione o una nazione. Non basta inorgoglirsi dello spirito di indipendenza per rendere un popolo davvero libero. Ciò che accade, e che le cronache riportano con ripetitività, evidenzia, al contrario, il bisogno di un cambio di prospettiva culturale, necessario per comprendere che non bisogna fare di alcuni principi economici dei feticci, valutandone invece l’effettiva utilità ai fini del bene comune e mettendo molta più solidarietà e fraternità negli ingranaggi dell’economia.
Ce lo ricorda anche il fatto che oggi si celebri la Giornata internazionale dell’Onu per la cooperazione: il futuro è possibile solo se sostenibile e se costruito insieme. “I beni sono destinati a tutti”, sottolineava non a caso proprio il Santo Padre nel suo discorso pronunciato a Quito: “Per quanto uno ostenti la sua proprietà, pesa su di essi un’ipoteca sociale. Così si supera il concetto economico di giustizia, basato sul principio di compravendita, con il concetto di giustizia sociale, che difende il diritto fondamentale dell’individuo a una vita degna”. Parole eco della recente enciclica Laudato si’, con l’invito a riconoscersi tutti come membri di un’unica famiglia umana, figli dello stesso padre, abitanti della stessa casa comune. Diventasse un sentire finalmente e concretamente universale, consentirebbe di evitare sia sterili involuzioni tecnocratiche, sia pericolose derive populiste, salvando i tre princípi cardine di autodeterminazione, sussidiarietà e solidarietà, indispensabili per continuare a credere in un’Europa delle persone. Un sogno difficile, ma non impossibile.