Beethoven ha composto musiche che tutto il mondo conosce, gusta ed apprezza. Ma ciò che sorprende è che l’Inno alla gioia, famoso finale della nona sinfonia, l’ha composto proprio quando era completamente sordo. Metteva le dita sulla tastiera, pizzicava il violino,… non udiva niente, ma “sentiva” tutto.
Quell’Inno alla gioia è stato composto non direi “nonostante” la sua sordità, ma proprio grazie a questa menomazione che ha ingigantito la sensibilità e ha elevato la capacità espressiva del suo genio musicale. Non udiva con le orecchie, ma sentiva con lo spirito. Da questa strettoia è uscito un capolavoro.
È, del resto, ciò che accade all’acqua del lago. Lasciata liberamente scorrere fuori dagli argini, è causa di dannose alluvioni; ferma e statica, non produce nulla. Molte volte invece viene incanalata, privata della sua libertà e costretta in una conduttura forzata dove non vede la luce del sole. Proprio in queste condizioni di totale privazione, acquista la capacità di sprigionare luce ed energia che rallegra e benefica intere regioni.
Si comprende allora il senso dei prolungati e faticosi esercizi che ogni atleta è chiamato a ripetere tutti i giorni e per più ore al giorno, le ferree diete del pugile per stare al peso forma, le ore che la ballerina deve passare volteggiando e piroettando sulla piattaforma per raggiungere la maggior espressività ed eleganza. Quanto sudore per preparare la grazia d’un volteggio, la scioltezza d’una piroetta. Sono vere le parole del poeta: “Seggendo in piume, a gloria non si vien, né sotto coltre”.
È questa la risposta al perché delle mortificazioni, della penitenza e dell’ascetica cristiana che plasma i campioni del vangelo e dona loro quell’agilità nell’amare sempre, comunque e con gioia ogni prossimo: li trasforma in atleti capaci di offrire un vero spettacolo davanti a Dio e agli uomini; tanto che la Chiesa li riconosce degni della “gloria del Bernini”.
Ciao da p. Andrea
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