Per funzionare bene, una società dovrebbe essere vissuta come una famiglia. Lo ha sostenuto papa Francesco, in occasione del suo incontro con la società civile di Quito, avvenuto nella chiesa di San Francisco.
Al suo arrivo il Santo Padre ha ricevuto dal sindaco, le chiavi della città ed è stato accolto dal Padre Guardiano della comunità francescana. All’incontro hanno preso parte rappresentanti della società nei diversi ambiti della cultura, dell’economia, dell’imprenditoria industriale e rurale, del volontariato e dello sport, oltre a una rappresentanza delle popolazioni indigene amazzoniche.
“La nostra società – ha spiegato il Papa – vince quando ogni persona, ogni gruppo sociale, si sente veramente a casa. In una famiglia, i genitori, i nonni, i bambini sono di casa; nessuno è escluso. Se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando “se l’è cercata”, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono; il suo dolore è di tutti”.
Purtroppo, ha constatato Francesco, le relazioni sociali o politiche sono generalmente caratterizzate dalla “competizione” e dallo “scarto”, dall’idea di “battere l’altro, di impormi”.
L’ideale sarebbe provare a “vedere l’avversario politico, il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli o i mariti, i padri o le madri”.
La società e la comunità vanno amate più “con le opere che con le parole” ed in particolare con “gesti semplici che rafforzano i legami personali”, proprio come in una famiglia dove “le persone ricevono i valori fondamentali dell’amore, della fraternità e del reciproco rispetto, che si traducono in valori sociali essenziali: la gratuità, la solidarietà e la sussidiarietà”.
In particolare la gratuità non è “un complemento ma un requisito necessario della giustizia”, in quanto ciò che ci è stato donato, va messo “al servizio degli altri”, per “farlo fruttificare in opere buone”.
Dal “concetto economico di giustizia, basato sul principio di compravendita”, si passa al “concetto di giustizia sociale, che difende il diritto fondamentale dell’individuo a una vita degna”.
A tal proposito, il Pontefice ha fatto riferimento allo sfruttamento delle risorse naturali in Ecuador, che non potranno essere lasciate in eredità alle nuove generazioni “senza una cura adeguata dell’ambiente, senza una coscienza di gratuità che scaturisce dalla contemplazione del creato”.
Nel caso della foresta pluviale ecuadoriana, ha proseguito il Santo Padre, c’è il rischio della distruzione di “una biodiversità di grande complessità, quasi impossibile da conoscere completamente”.
L’Ecuador, quindi, al pari di altri paesi della fascia amazzonica, “ha l’opportunità di praticare la pedagogia di una ecologia integrale – ha affermato il Papa -. Noi abbiamo ricevuto in eredità dai nostri genitori il mondo, ma anche in prestito dalle generazioni future alle quali lo dobbiamo consegnare!”.
La “fraternità vissuta nella famiglia”, ha proseguito il Pontefice, è il presupposto per edificare la “solidarietà nella società”, la quale “non consiste solo nel dare ai bisognosi, ma nell’essere responsabili l’uno dell’altro”.
Soltanto così l’Ecuador che, come molti paesi latino-americani, sta sperimentando dei cambiamenti sociali e culturali tumultuosi e contraddittori, potrà coltivare “la speranza di un futuro migliore”, con “una crescita economica che arrivi a tutti, e non rimanga nelle statistiche macroeconomiche” e con “uno sviluppo sostenibile che generi un tessuto sociale forte e ben coeso”.
Sottolineando il ruolo importante di tutte le componenti della società ecuadoriana – non ultima quella degli indigeni e dei meticci di origine africana – Francesco ne ha messo in luce un presente “pieno di bellezza”, che segue ad un passato “sbagli e soprusi”, in cui “l’amalgama irradia tanta esuberanza che ci permette di guardare al futuro con grande speranza”.
Facendosi portavoce di una Chiesa che “vuole collaborare nella ricerca del bene comune” e mostrarsi come “segno profetico che porta un raggio di luce e di speranza a tutti, specialmente ai più bisognosi”, papa Francesco si è congedato con la società civile di Quito, affidando la proprie “parole di incoraggiamento ai gruppi che voi rappresentate nei diversi settori della società”, nella speranza che “il Signore conceda alla società civile che rappresentate di essere sempre quell’ambito adeguato in cui si vivono questi valori”.