"Gridate all'unità come un tempo gridavate alla libertà"

Un milione e mezzo di fedeli alla Messa del Papa celebrata al Parque del Bicentenario, simbolo della lotta per l’indipendenza dalla Spagna. Un ricordo che commuove Francesco durante l’omelia

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Quito non è voluta essere da meno rispetto a Guayaquil: sono un milione e mezzo i fedeli riuniti nel Parque del Bicentenario per la Messa del Santo Padre dedicata all’evangelizzazione, quasi a voler ‘pareggiare’ le centinaia di migliaia di persone che ieri affollavano il Parque de los Samanes. Molte di loro sono rimaste ferme anche stanotte nell’enorme area verde, ex aeroporto, nonostante la pioggia e il vento freddo.

In prima fila alla celebrazione, animata dai canti della tradizione popolare ecuadoriana (la seconda Lettura è stata proclamata nella lingua indigena quechua), c’è il presidente Rafael Correa con la sua famiglia. Bergoglio arriva puntuale e nel suo giro in jeep scoperta prova ad abbracciare idealmente la massa enorme di fedeli. Poi si cambia per la liturgia e indossa una casula in lino e cotone, realizzata da un’artigiana locale, con i ricami tipici del paese, dove primeggia il disegno blu di un giglio, simbolo di Santa Marianna patrona dell’Ecuador.

Ma non è solo questo l’unico aspetto simbolico della celebrazione: la location stessa riveste un ruolo fondamentale per la storia del popolo ecuadoriano, essendo quasi un monumento a cielo aperto del Bicentenario della lotta per l’indipendenza dall’America Ispanofona, avviata con un primo tentativo il 10 agosto 1809, ma realizzata effettivamente solo decenni dopo. 

Lotta che il Papa, nella sua omelia, sintetizza in un “grido”, nato – dice – “dalla coscienza della mancanza di libertà, di essere spremuti e saccheggiati, soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno”. Questo grido si unisce oggi ad un sussurro, quello di Cristo che diventa anch’esso un vigoroso urlo nell’ultima Cena ad essere “uno”. Ecco, sottolinea il Pontefice – e si interrompe per un attimo di commozione -, “vorrei che oggi queste due grida concordassero nel segno della bella sfida dell’evangelizzazione. Non con parole altisonanti, o termini complicati, ma una concordia che nasca ‘dalla gioia del Vangelo’”.

La gioia, cioè, che “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”, il quale libera “dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”. La gioia che è filo conduttore di questa lunga visita del Papa in America Latina. “Noi qui riuniti – afferma rivolto ai fedeli – tutti insieme alla mensa con Gesù, diventiamo un grido, un clamore nato dalla convinzione che la sua presenza ci spinge verso l’unità”.

Proprio questo è stato il desiderio espresso dal Figlio di Dio: “Padre, che siano una cosa sola perché il mondo creda”, perché Egli in quel momento sperimentava nella propria carne “il peggio di questo mondo, che ama comunque alla follia: intrighi, sfiducia, tradimenti… però non si nasconde, non si lamenta”. “Anche noi – osserva il Santo Padre – constatiamo quotidianamente che viviamo in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza. Sarebbe superficiale ritenere che la divisione e l’odio riguardano soltanto le tensioni tra i Paesi o i gruppi sociali. In realtà, sono manifestazioni di quel ‘diffuso individualismo’ che ci separa e ci pone l’uno contro l’altro”.

Ciò, prosegue il Papa, è “frutto della ferita del peccato nel cuore delle persone, le cui conseguenze si riversano anche sulla società e su tutto il creato”. Per questo Gesù invia i suoi discepoli in questo mondo “che ci sfida con il suo egoismo” e la nostra risposta “non è fare finta di niente, sostenere che non abbiamo mezzi o che la realtà ci supera”, bensì riecheggiare il grido di Cristo e accettare “la grazia e il compito dell’unità”.

La memoria del Pontefice torna quindi a 200 anni fa, quando un “grido di libertà” proruppe dalle labbra del popolo dell’Ecuador. A tale grido “non mancò né convinzione né forza”, evidenzia, tuttavia “la storia ci dice che fu decisivo solo quando lasciò da parte i personalismi, l’aspirazione ad un’unica autorità, la mancanza di comprensione per altri processi di liberazione con caratteristiche diverse, ma non per questo antagoniste”. Allo stesso modo, soggiunge, “l’evangelizzazione può essere veicolo di unità di aspirazioni, di sensibilità, di sogni e persino di certe utopie. Certamente lo può essere e questo noi crediamo e gridiamo, specialmente in alcuni Paesi, dove riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri”. 

L’anelito all’unità suppone quindi “la dolce e confortante gioia di evangelizzare, la convinzione di avere un bene immenso da comunicare, e che, comunicandolo, si radica”. Per questo è necessario “agire per l’inclusione a tutti i livelli, evitando egoismi, promuovendo la comunicazione e il dialogo, incentivando la collaborazione”. “Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale”, rimarca il Pontefice, laddove è invece “impensabile che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica. E questo a scapito dei più poveri, dei più esclusi, dei più indifesi, di quelli che non persono la loro dignità anche se ricevono colpi tutti i giorni…”.

Vi è dunque un significato più profondo dell’evangelizzazione che “non consiste nel fare proselitismo” che è “una caricarura dell’evangelizzazione”, ma “nell’attrarre con la nostra testimonianza i lontani” o a coloro “che hanno paura o agli indifferenti”, per dire: “Il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto amore. Perché il nostro Dio ci rispetta persino nella nostra bassezza e nel nostro peccato”.

In questa azione evangelizzatrice è fondamentale essere uno, perché – afferma Bergoglio citando la Pastores gregis di Giovanni Paolo II – “quanto più intensa è la comunione tra di noi, tanto più sarà favorita la missione”. “Porre la Chiesa in stato di missione – aggiunge, richiamando invece il documento di Aparecida – ci chiede di ricreare la comunione, dunque non si tratta solo di un’azione verso l’esterno; noi siamo missionari verso l’interno e verso l’esterno manifestandoci come una madre che esce verso l’incontro, una casa accogliente, una scuola permanente di comunione missionaria. Questo sogno di Gesù è possibile perché ci ha consacrato”.

Bisogna tuttavia distinguere “l’unione” dalla “uniformità”, precisa Francesco. Quello che chiede Gesù è “la multiforme armonia che attrae”, “l’immensa ricchezza del diverso, il molteplice” che “ci allontana dalla tentazione di proposte più simili a dittature, ideologie o settarismi”. La proposta di Gesù è concreta non è fatta di idee”, non si tratta neppure “di un aggiustamento fatto a nostra misura, nel quale siamo noi a porre le condizioni, scegliamo le parti in causa ed escludiamo gli altri. Questa religiosità ‘di èlite‘ non è quella di Gesù. Gesù prega perché formiamo parte di una grande famiglia, nella quale Dio è nostro Padre e tutti noi siamo fratelli”. Fratelli “per amore” e “per pura iniziativa” di Dio, non perché abbiamo “i medesimi gusti, le stesse preoccupazioni, i talenti…”. 

L’auspicio del Pontefice è dunque che da questo Parco “che ricorda quel primo grido di libertà”, emerga il grido di san Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!», tanto “urgente e pressante” quanto quello che manifestava il desiderio di indipendenza. “Ha un fascino simile, lo stesso fuoco che attrae”, sottolinea il Papa, e ripete l’invito ad essere “una testimonianza di comunione fraterna che diventa risplendente”.

“Che bello – conclude – sarebbe che tutti potessero ammirare come noi ci prendiamo cura gli uni degli altri, come ci diamo mutuamente conforto e come ci ac
compagniamo! Il dono di sé è quello che stabilisce la relazione interpersonale che non si genera dando ‘cose’, ma dando sé stessi. ‘Darsi’ – prosegue Francesco – significa lasciare agire in sé stessi tutta la potenza dell’amore che è lo Spirito di Dio e in tal modo aprirsi alla sua forza creatrice. E questo soprattutto in quei momenti più difficili, come quel Giovedì Santo di Gesù, dove Lui sapeva che si stavano preparando tradimenti e intrighi. Ma Lui ha dato tutto sé stesso”. Proprio “questo significa evangelizzare”, chiosa il Pontefice, “questa è la nostra rivoluzione – perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria – questo è il nostro più profondo e costante grido”.

Dopo la Messa, il Papa si sposta in un Centro Congressi situato sempre nel Parque del Bicentenario, per incontrare in forma strettamente privata i 40 vescovi dell’Ecuador, alcuni suoi amici dai tempi del cardinalato a Buenos Aires.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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