Guido Sommavilla, religioso, scrittore e critico letterario, si domandava, in un suo scritto degli anni ‘70, se per caso il cristianesimo non fosse chiamato a salvare anche la poesia. Intendendo per poesia la bellezza, la gioia delle cose, dell’uomo e del mondo, senza cui “vivere è una banale prosa”. Chi è ancora in grado – si chiedeva Sommavilla – di salvare una reale gioia della vita, di vederla garantita in ogni caso, anche nei casi di totale oscurità e assurdità, chi se non colui che è in grado di scorgere nella fede un nucleo sacro dell’essere indistruttibile? “Costui è colui – concludeva Sommavilla – che possiede, implicita o esplicita, una visione di quel mistero divino dell’essere che Cristo ha rivelato e verso cui tutta la poesia precristiana sta in avvento e tutta la poesia postcristiana sta in nostalgia”.
Sulla base di queste considerazioni, Sommavilla osservava che i poeti cristiani erano meno rari di quanto si potesse immaginare, e soprattutto erano bravi, al punto che gli capitava di leggere “gioielli di lirica religiosa di sconosciuti”. Un’affermazione che noi di ZENIT, a distanza di molti anni, potremmo sottoscrivere con convinzione. Perché, attraverso questa rubrica di poesia, ci capita di venire in contatto con poeti di valore: persone generose, umili nel modo di porgersi, che scrivono per esprimere sentimenti positivi e per testimoniare il senso della loro fede. Capaci, a volte, di creare autentici “gioielli di lirica religiosa”, per dirla con Sommavilla. Ma di una religiosità quasi mai orientata a manifestare i simboli esteriori della fede, bensì una ricerca interiore che costituisce “una sorta di appello al Mistero” (Giovanni Paolo II, Lettera agli Artisti).
Sono poeti intenti a rappresentare il senso della bellezza, con un continuo richiamo alla gioia e un forte incitamento alla speranza. Perché la gioia di un cristiano – come afferma Papa Francesco – “non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma dall’aver incontrato una persona: Gesù”. È un sentimento che si avverte anche nelle parole di un poeta che abbiamo ospitato spesso in questa rubrica, Giancarlo Castagna, che ci ha inviato di recente una nuova poesia intitolata Bassa marea: “Le maree sono il respiro del mare e fanno parte di esso – scrive Castagna a commento della sua poesia –, sono la sua vita ossigenandolo col loro continuo rifluire. Camminando la mattina presto sulla spiaggia ancora vuota, anche l’anima pare respirare col mare alternandosi nel ricordo e nella speranza, insieme alle onde che lievi vengono a morire sulla riva…”.
BASSA MAREA
di Giancarlo Castagna
Bassa marea. Nell’anima risuona
un motivo di musica lontana
un tempo udita: e più non m’ha lasciato,
ritorna ancora e l’anima s’acqueta.
Bassa marea. E il mare ancor discende
nel limpido mattino alla prim’ora
e parmi corra allor verso l’aurora
ch’a oriente sale lentamente.
La chiara sabbia con pudor si spoglia
del tenue velo che le diede il mare:
è bello a piedi nudi camminare
per la spiaggia, su l’umida battigia,
nel tremulo mattino ancora grigia
prima che il sol la scaldi di colore.
Abbandonate son conchiglie vuote
ed alghe verdi assieme attorcigliate
che l’onde, rotolando, hanno portate
fin su la riva ed hanno lì lasciate.
Conchiglie vuote sono i miei pensieri
ed alghe aggrovigliate i miei ricordi,
abbandonati pure i desideri
ch’alla mia vita arrisero concordi.
Il mare si ritira: ed io con lui
dalla corrente di marea portare
farmi vorrei verso le ignote mete
e sentir dolce dell’oblio la quiete.
Ma il sole s’alza e pur con lui vigore
ritrova il mare che fuggir parea:
è la crescente onda di marea
ch’ora ricopre il lido e si rinforza,
rapida sale ancora e non si smorza
in su la riva, bagna i piedi miei.
Allora nel mio cuore anch’io vorrei,
pur nell’angoscia che la vita porta,
che l’onda del Tuo ben mi desse forza
e il desiderio ancor per altre mete
in questo navigar che mi compete:
fin ch’a Te giunga il mio cammin, Signore,
ch’all’onde hai dato vita, a me ‘l Tuo amore.
*
Sempre con riferimento al tema della gioia, filo conduttore di queste riflessioni, ecco un’altra composizione poetica nella quale si respira un medesimo slancio gioioso verso la vita. La poesia si intitola Pane soave ed è stata scritta da Giulio Salvadori (1862-1928), filologo, giornalista e docente universitario. Attento ai problemi critici, Salvadori svolse attente ricerche su San Francesco, Dante e Manzoni. La sua produzione lirica risente fortemente di una sofferta crisi spirituale, superata con il ritorno ad un cattolicesimo convinto. La poesia Pane soave è tratta dalla silloge Rime sparse della rinascita, compresa nell’antologia completa dell’opera, pubblicata nel 1933 dopo la morte dell’autore.
PANE SOAVE
di Giulio Salvadori
Pane soave, Pane che in core la vita m’infondi,
pace ed ardor miranti tranquilli nell’avvenire
ecco che alfin dileguano dal core le fosche paure
ecco che lenta un’onda di balsamo novo le membra
corre: erano tanto stanche le membra dal lungo patire!
Dolce Signore, in pace per poco mi lascia! Potessi
dormire nel Tuo lettuccio come facevo bambino!
Oh, no, Signore, ho errato: ah, in Te, nell’amore nella pace
nella benignità soave del Tuo caro sguardo dormire!
Avanti, avanti! Aperta sia l’anima tutta alla vita!
Libero il corpo e integro, com’arpa che vibra risponda!
All’opra! Franca la mano, libero il piede!
Rompiam con le braccia il mare del mondo! Chi vieta
scoprir gli altrui deliri? Chi vieta versar la parola
nei cuori infranti? Chi con la mente, col braccio
con l’assiduo lavoro, umile, paziente, sereno,
apparecchiar nell’ombra un avvenire più santo?
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