Accoglienza migranti: per i vescovi d'Europa una "sfida educativa"

Concluso l’incontro della CCEE a Vilnius. I vescovi e direttori nazionali della pastorale dei migranti invitano a rispondere al fenomeno migratori con la “fantasia della carità” 

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Di fronte alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la “fantasia della carità”. Perché i drammi che oggi accompagnano quanti desiderano raggiungere il continente europeo interpellano la coscienza dell’umanità, e il migrante “non è un problema da risolvere, il nemico da combattere, l’invasore da cui proteggersi, ma anzitutto una persona concreta con una sua dignità da rispettare e tutelare”. Pertanto, se l’accoglienza del migrante è anzitutto un obbligo morale del cristiano, la vera sfida che la Chiesa in Europa deve affrontare è quella educativa.

Sono le indicazioni emerse a Vilnius, in Lituania, dove vescovi e direttori nazionali per la pastorale dei migranti in Europa si sono confrontati sulle attuali sfide che ‘l’emergenza immigrati’ pone alla Chiesa e alla società del continente. In una tre giorni di lavoro inziata il 30 giugno e conclusa ieri 2 luglio, i responsabili per la pastorale dei migranti si sono confrontati su aspetti particolarmente urgenti che accompagnano il fenomeno migratorio degli ultimi anni. Quali: l’emergenza dei rifugiati; la tratta degli esseri umani e le nuove forme di schiavitù; le comunità di migranti e la questione della celebrazione dei sacramenti e infine la pastorale e l’annuncio del Vangelo ai cinesi in Europa.

L’incontro, organizzato dalla sezione “migrazione” della Commissione CCEE Caritas in Veritate, guidata dal cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, si è svolto nella capitale lituana su invito dell’arcivescovo locale e Presidente della Conferenza Episcopale lituana, mons. Gintaras Grusas, e con il sostegno di mons. Edmond Joseph Putrimas, responsabile per l’apostolato dei lituani all’estero. A Vilnius è giunta anche una delegazione del Pontificio Consiglio per la Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Nel corso dei lavori, i partecipanti europei hanno potuto confrontare le loro riflessioni con padre Mesmin Prosper Massengo, presidente del gruppo di lavoro sulle migrazioni del SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar) che ha spiegato il fenomeno dei rifugiati dal punto di vista degli africani, e, attraverso un video, con il servizio per i migranti e rifugiati della Conferenza episcopale degli Stati Uniti.

L’incontro è stato un’occasione per ascoltare e approfondire le varie iniziative messe in campo dalla chiesa nell’ambito dell’accoglienza dei rifugiati e della pastorale dei migranti, oggi una priorità per la Chiesa in Europa. Pur riconoscendo ad ogni Stato “il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana”, la pastorale della Chiesa nei confronti dei migranti è animata da alcuni principi chiaramente espressi nella dottrina sociale della Chiesa. 

Tra questi, sottolinea il comunicato finale dell’incontro: il diritto della persona ad emigrare (Gaudium et spes, 65), ovvero il diritto di ognuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità, aspirazioni e dei suoi progetti; e il diritto di ogni persona a non emigrate, a rimanere nella propria terra di origine (nessuno dovrebbe essere obbligato a dover lasciare il proprio paese, i propri legami familiari, i propri affetti). Principi ispirati e fondati sul rispetto della dignità umana che rimane il cardine e il paradigma di qualsiasi attività pastorale della Chiesa.

Dalle riflessioni e dalle discussioni presentate attorno ai vari volti del fenomeno migratorio, è emerso un quadro molto variegato, un mosaico di esperienze e attività che, se da una parte mostrano bene la lunga e consolidata esperienza della Chiesa nella pastorale delle persone in mobilità, allo stesso tempo, dipingono una realtà sociale con tendenze alquanto preoccupanti e in continuo cambiamento obbligando ad una vigilanza permanente.

“Sempre più oggi – riflettono i partecipanti al convegno – alcuni migranti sono visti con sospetto, diffidenza e pregiudizi, se non addirittura con ostilità. Anche di fronte ai drammi umani che continuano ad alimentare i telegiornali del continente, la risposta sembra essere quella della distanza, della rassegnazione, se non dell’indifferenza. A questa situazione, non poco ha contribuito una politica che, tanto a livello nazionale che europeo, ha e continua ad affrontare il fenomeno migratorio soltanto in termini di budget e di sicurezza”. 

“Il migrante – che lo sia per motivo economico, politico, religioso e/o di guerra – non è un ‘numero’ che gli Stati possono spartirsi a convenienza”, affermano presuli e direttori nazionali. E, di fronte ad un crescente “egoismo sociale”, ribadiscono la spinta della Chiesa, “mossa dall’amore di Dio per ogni persona, a suonare un campanello d’allarme” e sentire “la responsabilità di essere voce profetica, chiedendo agli Stati di assumere la loro responsabilità, con coscienza della situazione d’indigenza di tanti che esigono mezzi reali di solidarietà anche in vista del bene comune, nel gestire l’arrivo di migranti, rifugiati e richiedenti asilo con dignità e tutelando i loro diritti umani”.

È infatti la dignità umana “il paradigma che deve ispirare qualsiasi scelta pastorale o di governo allorché si ricercano soluzioni atte a rispondere ad esigenze concrete e/o al miglioramento di leggi e procedure che regolano il fenomeno migratorio”, si legge nel comunicato. In tal senso “è importante e urgente ricordare che l’impegno della Chiesa e degli Stati non è solo nei confronti di situazioni di disagio o di emergenze”, ma “un impegno rivolto innanzitutto a delle persone concrete in qualunque circostanza”. “La Chiesa sa che Dio accompagna la Storia e crede che le migrazioni sono parte del progetto provvidenziale di Dio. Per questo deve annunciare che la fede è più forte di tutte le differenze culturali, sociali e nazionali”, affermano i partecipanti.

“Se accolto come persona – proseguono – il migrante si rivela essere anche un dono per la comunità locale. La sfida dell’accoglienza non è quindi solo una sfida logistica, interventistica, è innanzitutto una sfida educativa delle persone e delle comunità che accolgono: è un invito e una pedagogia ad aprirsi al dialogo”. In ambito ecclesiale, pertanto, “sembra necessario pertanto riprendere una riflessione sulle ragioni etiche che sostengono l’attività e la posizione della Chiesa sul fenomeno migratorio”.

Secondo i vescovi e i direttori nazionali della pastorale dei migranti d’Europa, inoltre, superata la fase di ‘prima accoglienza’, le comunità di migranti possono essere “un’occasione di rinnovamento della vita ecclesiale a livello locale o, al contrario, l’emigrazione può portare ad un impoverimento se non l’abbandono della pratica religiosa”. Il problema che emerge in questo campo è quindi quello di “preservare l’identità religiosa e culturale di una determinata comunità senza che questo avvenga a scapito dell’integrazione, né bisogna forzare un’assimilazione che porta spesso all’abbandono della pratica religiosa”.

Anche in questo caso, “non esiste una ricetta miracolosa, un modello unico”, ma è necessario “usare una grande sensibilità pastorale che sappia leggere la realtà di ogni situazione territoriale particolare dando così risposte adeguate alle varie realtà”. Agli occhi dei partecipanti all’incontro, ciò che appare evidente “è la necessità di superare una pastorale di conservazione per andare sempre più verso una pastorale di evangelizzazione: una pastorale che sia capace di comprendere le varie esigenze del territorio, poiché ogni contesto sociale necessita di una sua risposta specifica e originale”.

Per questo è necessario da una parte “una migliore formazione dei sacerdoti che devono fungere da ‘ponte’ tra comunità di migranti e chiesa locale”, e dall’altra “evitare che la religiosità tradizionale si trasformi in una reli
giosità culturale, ossia una religiosità che non sia frutto di un cammino di fede, ma una pratica che appartiene al folklore di una cultura e si riduce a caratterizzare un’appartenenza identitaria”. 

Nel corso dei lavori sono state presentate poi varie esperienze nel campo della lotta alla tratta degli esseri umani e alle nuove forme di schiavitù. A partire dai risultati ottenuti dalla collaborazione tra Chiesa e forze di polizie nazionali come l’esperienza avviata dal “Santa Marta Group”, e di altre simili esperienze, i partecipanti hanno ribadito l’importanza di fare rete e la cooperazione tra organismi ecclesiali, ecumenici o interreligiosi, con realtà della società civile.

Anche in questo caso è stata rimarcatal a necessità di “andare oltre la logica dell’emergenza”. “Bisogna prevenire oltre che curare partendo dalle origini del problema – si legge nel comunicato -. Se povertà e disagio sociale caratterizzano quanti cadono nella trappola delle moderne schiavitù (della prostituzione, del turismo sessuale, dello sfruttamento lavorativo, del commercio di organi) il vero problema è la domanda, in costante crescita e alimentata dalle nuove tecnologie. Internet costituisce un no man’s land giuridico che alimenta un’economia sotterranea difficilmente controllabile”.

Mentre i vescovi dicono il loro grazie alle migliaia “formiche di Dio” che lavorano in strada accanto a quanti sono vittime di questo commercio disumano, denunciano con forza quanti ricorrono a “questo genere di ‘prestazioni a pagamento’ come complici di questa realtà”: “È scandaloso – e certamente non cristiano ma neanche umano – abusare di un’altra persona per soddisfare i propri bisogni”, scrivono, aggiungendo che “anche in questo caso, debellare la tratta o lo sfruttamento di persone umane passa attraverso l’impegno educativo”. In questo senso, i partecipanti hanno salutato l’istituzione, quest’anno, della Giornata Mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta delle persone, in programma l’8 febbraio.

Durante l’evento di Vilnius ha trovato spazio anche un dibattito sull’immigrazione cinese, che non è certo recente in Europa, ma ha raggiunto una dimensione sempre più consistente nel corso degli ultimi decenni. “A differenza di altre immigrazioni, essa ha una dimensione prevalentemente familiare e si muove all’interno di una diaspora composta da numerose comunità stabilmente presenti sul territorio europeo”, osservano i presuli. Negli ultimi anni, alcune Conferenze Episcopali hanno investito molto nella formazione di sacerdoti, in particolare nel campo linguistico e culturale. Infatti, “l’integrazione di una comunità come quella cinese, spesso percepita come ‘ermetica’ rispetto alla comunità locale, passa innanzitutto attraverso la presenza e la condivisione dello stesso spazio di vita, attraverso una prossimità che si esprime innanzitutto parlando la loro stessa lingua”.

A concludere ieri l’incontro, un pellegrinaggio alla Collina delle Croci, per ricordare le numerose vittime delle migrazioni nel mondo.

 

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ZENIT Staff

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