Italian alpine troops in action during World War I

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La sacralità della vita e l’assurdità della guerra

Soldati di Ungaretti e La Pentecoste di Manzoni: due poesie che appartengono alla storia della nostra letteratura

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Domenica 24 maggio si sono celebrate due ricorrenze, una laica e l’altra religiosa: il centesimo anniversario dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra e la Festa della Pentecoste.

Le due massime autorità istituzionali in campo laico e in campo religioso hanno dato voce ai diversi sentimenti che sottendono queste due contrapposte esperienze della vicenda umana: la sacralità della vita e l’assurdità della guerra.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo aver deposto una corona di fiori sull’Altare della Patria a Roma, ha raggiunto la zona di Monte San Michele in provincia di Gorizia, dove furono combattute cruente battaglie, decisive per le sorti della guerra. Dopo aver osservato un minuto di silenzio in memoria dei caduti, il presidente ha preso la parola.

“Cento anni fa – ha detto Mattarella – il 24 maggio del 1915 l’Italia entrava in guerra. Vi era, nei vertici politici e militari, la convinzione che l’intervento sarebbe stato di breve durata: speranza che si dimostrò illusoria. Fu una carneficina ad ogni assalto. E la vita di trincea non era un sollievo: fango, pioggia, parassiti, malattie e quelle attese lente e snervanti. Il conflitto fu una tragedia immane, che poteva essere evitata. I caduti di ogni nazione e di ogni tempo ci chiedono di agire con le armi della politica e del negoziato, per affermare la pace”.

Nelle parole del presidente trapela la consapevolezza del controverso giudizio storico sulla prima guerra mondiale: un inutile massacro, voluto dalle oligarchie al potere, che ebbe come vittime sacrificali milioni di soldati, in prevalenza contadini. Un massacro al quale un solo uomo si oppose, inascoltato: Papa Benedetto XV.

La Pentecoste è una festa cristiana che cade nel cinquantesimo giorno dopo Pasqua e che celebra la discesa dello Spirito Santo annunciato da Gesù. Papa Francesco, dopo aver celebrato in San Pietro la Messa solenne della domenica di Pentecoste, ha rivolto ai fedeli la sua omelia.

“Il mondo ha bisogno di uomini e donne non chiusi, ma ricolmi di Spirito Santo”, ha detto il Santo Padre. “La chiusura allo Spirito Santo è non soltanto mancanza di libertà, ma anche peccato. E ci sono tanti modi di chiudersi allo Spirito Santo: nell’egoismo del proprio vantaggio, nella mancanza di memoria per ciò che Gesù ha insegnato, nel vivere la vita cristiana non come servizio ma come interesse personale. I doni dello Spirito – ha concluso Francesco – sono stati elargiti in abbondanza alla Chiesa e a ciascuno di noi, perché possiamo vivere con fede genuina e carità operosa, perché possiamo diffondere i semi della riconciliazione e della pace, capaci di lottare senza compromessi contro il peccato e la corruzione e di dedicarci con paziente perseveranza alle opere della giustizia e della pace”.

La pace. Nelle parole di Papa Francesco risuona ancora una volta l’appello alla pace. Appello divenuto una costante della sua azione pastorale, in presenza di conflitti che si estendono a macchia di leopardo in tutto il mondo. Siria, Iraq, Palestina, Afghanistan, Ucraina, Libia, Somalia, Nigeria… sono i nomi che ricorrono con minacciosa quotidianità nei notiziari degli organi d’informazione. E mentre i poteri internazionali sono latitanti trincerandosi dietro la realpolitik, ancora una volta un uomo solo alza la sua voce contro la guerra. Ancora una volta un Pontefice: Papa Francesco…

Come sempre, le nostre riflessioni approdano all’universo della parola poetica. C’è una poesia nella lirica italiana che ha cristallizzato, in un’immagine sintetica e potente, tutta l’assurdità della guerra (anche il presidente Mattarella l’ha citata nel suo intervento a Monte San Michele). Una poesia nata sul fronte, che identifica il senso di totale precarietà che pervadeva gli uomini e le cose. La poesia, tratta dalla raccolta L’Allegria (1931), si intitola Soldati e può considerarsi il preludio di quell’anelito religioso, nato dal dolore, che porterà Giuseppe Ungaretti a convertirsi al cattolicesimo.

SOLDATI

di Giuseppe Ungaretti

Si sta come

d’autunno
sugli alberi

le foglie

***

Ma per l’ineludibile dualismo che caratterizza le cose umane, all’assurdità della guerra si contrappone la sacralità della vita, simboleggiata dalla Pentecoste: la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, che concede a tutti gli uomini la possibilità di conoscere una nuova vita, fatta d’amore e libertà spirituale. L’idea dello Spirito che sostiene e dà forma alla vita di ogni uomo e ogni donna è splendidamente rappresentata nell’opera di un altro grande della nostra letteratura, Alessandro Manzoni, che fra il 1817 e il 1822 compose l’inno sacro La Pentecoste (l’inno, che qui pubblichiamo in estratto, fa parte dell’operetta intitolata Inni Sacri, con la quale il poeta voleva celebrare gli appuntamenti liturgici più importanti dell’anno).

LA PENTECOSTE

di Alessandro Manzoni

O Spirto! Supplichevoli

a’ tuoi solenni altari;

soli per selve inospite;

vaghi in deserti mari;

dall’Ande algenti al Libano,

d’Erina all’irta Haiti,

sparsi per tutti i liti,

uni per Te di cor,

noi T’imploriam! Placabile

spirto discendi ancora,

a’ tuoi cultor propizio,

propizio a chi T’ignora;

scendi e ricrea; rianima

i cor nel dubbio estinti;

e sia divina ai vinti

mercede il vincitor.

Discendi Amor; negli animi

l’ire superbe attuta:

dona i pensier che il memore

ultimo dì non muta:

i doni tuoi benefica

nutra la tua virtude;

siccome il sol che schiude

dal pigro germe il fior;

che lento poi sull’umili

erbe morrà non colto,

né sorgerà coi fulgidi

color del lembo sciolto

se fuso a lui nell’etere

non tornerà quel mite

lume, dator di vite,

e infaticato altor.

Noi T’imploriam! Ne’ languidi

pensier dell’infelice

scendi piacevol alito,

aura consolatrice:

scendi bufera ai tumidi

pensier del violento;

vi spira uno sgomento

che insegni la pietà.

Per Te sollevi il povero

al ciel, ch’è suo, le ciglia,

volga i lamenti in giubilo,

pensando a cui somiglia:

cui fu donato in copia,

doni con volto amico,

con quel tacer pudico,

che accetto il don ti fa.

Spira de’ nostri bamboli

nell’ineffabil riso;

spargi la casta porpora

alle donzelle in viso;

manda alle ascose vergini

le pure gioie ascose;

consacra delle spose

il verecondo amor.

Tempra de’ baldi giovani

il confidente ingegno;

reggi il viril proposito

ad infallibil segno;

adorna la canizie

di liete voglie sante;

brilla nel guardo errante

di chi sperando muor.

***

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Massimo Nardi

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