“Io avevo scritto un discorso. Forse noioso, come tutti i discorsi… Ma preferisco questo dialogo…”. Davanti alle domande di alcuni rappresentanti dei 5mila giovani della Comunità di vita cristiana (CVX) e Lega Missionaria Studenti d’Italia, incontrati giovedì 30 aprile in Aula Paolo VI, Papa Francesco proprio non ce l’ha fatta a rispondere con un discorso pre impostato.
Ha quindi intavolato un botta e risposta a braccio, durato circa mezz’ora, in cui si è lasciato andare a riflessioni tra i temi più disparati: dalla politica alla formazione dei giovani, dalla vita sociale ed ecclesiale alla dignità umana. Questo non per dimostrare che il Papa può rispondere a tutto; anzi credere ciò è un “pericolo”, avverte Bergoglio, in quanto “l’unico che può rispondere a tutte le domande è il Signore”. E “il mio lavoro – aggiunge – è semplicemente ascoltare e dire quello che mi viene da dentro. Molto poco e molto insufficiente”.
I cattolici “devono” fare politica!
Gli vengono ‘da dentro’ infatti le risposte a certe questioni spinose, come ad esempio il dibattito sui cattolici “immischiati” in politica. Lo spunto è la domanda di un giovane dell’Aquila che chiede al Pontefice come mantenere vivo il rapporto tra fede in Cristo e la responsabilità ad agire sempre per il bene comune. Bergoglio risponde smorzando subito gli animi di tutti coloro che si affaticano per “fondare un partito cattolico”. “Beh, quella non è la strada”, sottolinea, perché “la Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico”. “Non serve”, quindi, neanche “un partito solo dei cattolici”, perché “non avrà capacità convocatorie” e “farà quello per cui non è stato chiamato”.
Ciò non toglie che un cattolico possa fare politica. Anzi “deve” farlo, afferma Papa Francesco, perché – come diceva Paolo VI – “la politica è una delle forme più alte della carità” se e quando “cerca il bene comune”. Certo oggi non è facile fare politica “senza lasciarti corrompere”, osserva il Vescovo di Roma, “quasi è martiriale!”. Eppure “si fa”, afferma, perché “fare politica è importante”. E nella Chiesa – aggiunge – “ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche, che hanno aiutato alla pace nei Paesi”. Basti pensare a Schumann, che pure una causa di beatificazione in corso. “Si può diventare santo facendo politica”, assicura il Pontefice.
Lotta alla ‘cultura dello scarto’, prima che ci scarti tutti!
Invita quindi quelli che si sono “sporcati un poco le mani e il cuore” per fare il bene in mezzo alla società “a chiedere perdono” al Signore per poi continuare questo lavoro con una coscienza rinnovata. Le difficoltà tanto ci saranno sempre, specie in “questo mondo globalizzato”, dove il centro “non l’uomo o la donna”, bensì “il dio denaro”, afferma Francesco: “Tutti al servizio del dio denaro” e “quello che non serve al dio denaro si scarta”.
Si scartano i bambini perché “non si fanno” o perché “si uccidono prima di nascere”. Si scartano gli anziani, “perché non servono” e quindi “si abbandonano”. Si scartano i giovani: in Italia in modo particolare, dove il 40-41% delle fasce dai 25 anni in giù è senza lavoro.
Per il Papa tutto questo “è il cammino della distruzione”. E il cattolico cosa fa? Guarda dal balcone? “Non si può guardare dal balcone! – ammonisce il Santo Padre – Immischiati lì! Dà il meglio: se il Signore ti chiama a quella vocazione, va lì, fai politica: ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti!”.
Il carcere, la più brutta periferia…
Francesco richiama poi il tema delle periferie, prendendo spunto dalla testimonianza di una ragazza di Reggio Calabria che presta servizio in carcere. “Il carcere è una delle periferie più brutte”, afferma; tuttavia chi è cristiano deve guardare questa dolorosa realtà con occhio umile, pensando che “se noi non siamo scivolati in questi sbagli, anche in questi reati o crimini, alcuni forti, è perché il Signore ci ha presi per mano”.
Anche chi presta servizio tra i detenuti pertanto non può andare “con lo spirito di ‘ma io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore’”. “No, no!”, raccomanda il Santo Padre, lo spirito giusto è dirsi in tutta coscienza: “io sono più peccatore di te” e “se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio”.
Andare nelle periferie con umiltà
Lo stesso discorso vale ogni qualvolta ci si approccia ad una ‘periferia’: “Quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio”. Non significa “fare faccia di immaginetta”, precisa il Pontefice, ma semplicemente accettare e compiere il mandato di Gesù ad “uscire”, consapevoli di non avere nessun “coraggio” e nessuna dote se non quelle che ci dona lo Spirito Santo. “Questa è la più bella preparazione per andare nelle periferie”, afferma Bergoglio, e solo così – assicura – si può davvero svolgere un servizio alla gente che soffre.
Anche perché, a volte, – prosegue – non servono neanche parole, che anzi sarebbero “un’offesa”, ma sono più efficaci gesti come “prendere la mano, accarezzare, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre”.
Fare beneficenza non “promozione”!
“I gesti fanno vedere l’amore”, insiste il Santo Padre, “‘tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo’, e quel condividere con l’amore: niente di più”. “Questo è seminare l’amore”. E questo è fare beneficenza spirituale, ben diversa dalla “promozione” che è quella “beneficienza abituale che ti tranquillizza l’anima” – ‘Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire’ – ma che a lungo andare “ti inquieta”.
“Giovani, non perdete la speranza! Anche davanti ai fallimenti e alla corruzione…”
Entrando nella sfera delle fragilità giovanili, Papa Francescoribadisce ancora l’invito a “non lasciarsi rubare la speranza”. “Ma di che speranza mi parla, Padre? Alcuni possono pensare che la speranza sia avere una vita comoda, una vita tranquilla, raggiungere qualcosa…”. Una speranza, quindi, “controllata”, da “laboratorio”, che crolla però davanti ai “tanti problemi” e “fallimenti”.
La speranza è di una vita eterna in cielo, afferma il Vescovo di Roma. Ma intanto come agire in questo mondo che tanti giovani desidererebbero “migliore”? Alcuni vorrebbero buttarsi nel campo della politica o della medicina, ma lì spesso – osserva il Papa – impattano nella “corruzione” o in “lavori che sono per servire” ma che “diventano affari…”. “Io voglio immischiarmi nella Chiesa, e anche lì il diavolo semina corruzione e tante volte c’è…”, aggiunge, ricordando la storica Via Crucis di Benedetto XVI che invitava a cacciare via le sporcizie della Chiesa.
La speranza di Dio non delude
“Sempre – ammette il Papa – c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può…”. “Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai”. Essa viene dalla certezza che “Dio non ci abbandona”, che “Dio è con noi” e “cammina
con il suo popolo” perché “Lui è il pastore”. Non è facile crederlo, specie davanti ai peccati, alle ingiustizie, ai “reparti di malattie terminali negli ospedali…”. “La speranza – dice infatti il Santo Padre – è una delle virtù più difficili da capire”, o, per dirla alla Peguy “la più umile delle virtù”. Quindi “bisogna abbassarsi tanto perché il Signore ce la doni”.
“Contemplativi nell’azione”, toccando le ferite di Cristo nei più deboli
L’ultima domanda tocca nel vivo Papa Bergoglio: l’interlocutore è un sacerdote diocesano, formatore di seminaristi in un Seminario retto dai Gesuiti, che lo interroga su come la spiritualità ignaziana possa contribuire alla formazione di giovani e operatori pastorali. Francesco risponde citando un motto di Sant’Ignazio: “Contemplativo nell’azione” che non significa – precisa – “camminare nella vita guardando il cielo, perché cadrai in un buco, sicuro…”.
Piuttosto – aggiunge il Papa – significa “entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi…”. E, parlando nello specifico alla CVX e alla Lega Missionaria Studenti d’Italia, spiega che “lo sbaglio” più grande per loror sarebbe “parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un ‘Dio-spray’, un Dio diffuso, un Dio all’aria”.
“Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite”, ribadisce quindi il Santo Padre. E incoraggia a “innamorarsi di Gesù Cristo e dire a Gesù Cristo che ci scelga per seguirlo, per essere come Lui”, per poi pregare insieme a tutta l’assemblea una Preghiera alla Madonna della Strada.