Noi tutti diciamo di credere, dimenticando spesso di essere i nuovi discepoli del Signore. Stiamo attenti ai precetti, alle tradizioni, alle date liturgiche, ma se ci guardiamo intorno non vediamo l’effetto salvifico del nostro essere cristiani. Qualcuno potrebbe dire che il mondo oggi è così distratto da vanificare ogni buon proposito in questa direzione, spingendo ognuno a stare in silenzio o in disparte. Se fosse vero tutto questo, sarebbe la fine di ogni cosa o comunque si imporrebbe la vittoria del relativismo più strisciante, anticamera di una società pronta ad auto assolversi da ogni peccato. Esisterebbe solo una forma solidale capace di mettere una pezza pubblica su un orrore, ma senza risolvere alcunché, provocando semmai una falsa coscienza e una ferita interiore che, alla prima occasione, mostrerebbe la sua profondità. Tutto di solito si rinvia a data da destinarsi, come sta succedendo nel canale di Sicilia, dove ormai si muore a migliaia, per poi sentire le stesse litanie, gli stessi impegni, le stesse promesse. Siamo arrivati al punto che la morte di oltre settecento persone in un viaggio disumano, passi come un incidente qualsiasi, anche se drammatico. Chi potrebbe alleviare questa triste condizione storica, non ha mai voluto comprendere fino in fondo la drammaticità di tante esistenze umane che, pur di fuggire dalla propria pesante realtà, sono pronte ad incontrare la morte. Quei barconi sono il vestibolo di una tragedia annunciata. Tutti lo sanno! Con loro va anche a picco la società e l’indifferenza, velata o meno che sia, prende ogni giorno con le sue mani imbiancate le redini della storia dell’umanità, compromettendola inesorabilmente.
Riecheggiano nell’aria le parole di papa Francesco pronunciate nel luglio del 2013 a Lampedusa, crocevia di vite spezzate e destini da riscrivere. “La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone definite belle ma vuote… “Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”… "Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? - ha chiesto il Papa puntando l’indice sull'indifferenza - Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro, saranno altri, non certo io". Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”. L’uomo deve ritornare ad essere discepolo e buon pastore in mezzo agli altri, ma lo deve essere a tutti i livelli sociali, professionali, istituzionali. Non bisogna esserlo solo se pescatori, se parte attiva delle forze dell’ordine o cittadini comuni che, nel mare di Sicilia, portano ogni giorno l’alto senso del dovere civile, oltre che la responsabilità e la solidarietà di chi si sente di essere coinvolto in prima persona in questa tragedia. Tutti dobbiamo tendere, se si vuole salvare il mondo, ad essere maestri della Parola nella vita, tenendo nel cuore e nella mente il modello di Gesù, al di là del proprio ruolo. I ministri di turno; i capi di governo; i commissari europei; i responsabili dell’equilibrio politico-sociale-economico sulla terra; così come gli uomini che esprimono la loro autorevolezza morale e civile parlando di Dio, siano perciò discepoli e buoni pastori. Urge che il vangelo ritorni al centro della vita dell’uomo per spezzare il cuore dell’indifferenza terrena.
In queste parole del sacerdote e teologo, mons. Costantino Di Bruno, viene fuori la ragione che sta alla base di questa nostra epoca sommersa dalle emergenze e dai tanti disastri giornalieri. “La stragrande moltitudine dei cristiani non crede nel Vangelo e neanche coloro che partono dal Vangelo credono nel Vangelo. Per molti il Vangelo è uno dei tanti libri esistenti sulla terra. Esso contiene opinioni come tutti gli altri libri. Nessuna particolarità tra questo libro e gli altri. Nessuna differenza tre esso e gli altri, perché nessuno differenza viene fatta tra Cristo, gli altri “Predicatori”, tra la Chiesa, sacramento di Cristo Gesù e ogni altra aggregazione religiosa, di antica data o di nascita recente. Oggi è il tempo dell’indifferenza veritativa, morale, cultuale, religiosa, di fede, non fede, vero Dio, non vero Dio”. Dovremmo vergognarci di meno nell’imitare Gesù e vivere la sua Parola, quale riflesso concreto della verità evangelica. Un dovere irrinunciabile, necessario per aiutare noi stessi e le nostre comunità ad essere protagoniste del cambiamento, senza essere succubi del potere di turno fine a se stesso, abile a scegliere il colore più idoneo per tingere le macchie dei propri peccati. Anche in un mondo tecnologico Cristo è garanzia, certezza, sicurezza. Seguire Cristo non significa rallentare il progresso nel suo insieme, ma guidarlo verso un pieno benessere comune. La società invece brilla spesso per confusione, indifferenza, debole identità. Si tende con leggerezza ad omologare ogni cosa. Si va verso un pensiero che sia uguale ad ogni altro. Si mira alla differenza solo nelle forme sociali e religiose. In questi ambiti si diventa campioni della diversità, senza però incidere sul corso della storia che ci accompagna. Il ritorno al vangelo reale è l’unica vera opportunità, per liberare l’uomo dalla cappa che lo opprime e aprire spazi luminosi in ogni campo delle attività umane, fondate sulla verità della fede.
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