Proprio in questi giorni sta avvenendo il rilancio dell’opera pittorica di Parmigianino, grazie anche a una bellissima mostra organizzata a Parma dal titolo “Parmigianino e il manierismo europeo”, che ripropone una lettura dell’opera pittorica del grande artista parmense. Ma, come spesso accade, l’attenzione ai temi sacri è molto scarsa e alcune analisi iconologiche non centrano pienamente il tema spirituale proprio dell’arte cristiana.
Uno dei capolavori assoluti del Parmigianino è la Madonna dal collo lungo che, fin dalla descrizione fatta dal Vasari nel 1568, è sempre stata considerata, e a buon titolo, uno dei massimi lasciti dell’esperienza artistica. Spesso, troppo spesso, è stata però interpretata in chiave esoterica e alchemica, in quanto non viene compresa la complessità della concezione artistica e il profondo significato affrontato e risolto in una immagine concettuale dipinta appositamente in questi termini per un committente colto e raffinato.
Il dipinto fu commissionato, infatti, da Elena Tagliaferri sorella di Francesco Baiardo, per la sua cappella privata in Santa Maria dei Servi a Parma, come testimonia il contratto stipulato il 23 dicembre del 1534, nel quale il Parmigianino s’impegnava a portare a compimento l’opera per la festa di Pentecoste del 1535. Ma il dipinto non fu mai completato e rimase nello studio dell’artista fino alla sua morte, avvenuta nel 1540 all’età di trentasette anni. L’opera venne poi collocata dai committenti nella cappella Baiardi-Tagliaferri non appena questa fu completata ed inaugurata nel 1542 e lì rimase fino a quando fu venduta nel 1698 a Ferdinando de’ Medici, Granduca di Toscana. Oggi la possiamo ammirare nella splendida Galleria degli Uffizi a Firenze.
Il dipinto è eseguito ad olio su tavola, misura cm 214 x 133 (misure perfettamente coincidenti con la funzione di dipinto d’altare); nella parte destra che non è terminata si possono vedere le tracce del disegno preparatorio eseguito sull’imprimitura fatta con la creta rossa, come la tradizione di bottega consigliava. Nel dipinto Maria è seduta su un trono che, nonostante sia nascosto dagli ampi panneggi che cingono la Vergine, si deduce anche dai cuscini posti sotto i piedi. Alle spalle di Maria, quasi ad incorniciarne il viso, vi è una tenda rossa raccolta verso sinistra che apre lo spazio pittorico verso un paesaggio, che è incompiuto e che ha offerto il destro a cattive interpretazioni. Sulla sinistra di Maria si vede un bellissimo angelo che reca un vaso tra le mani, e altre teste di fanciulli, che evidentemente non sono angeli come spesso viene affermato in descrizioni affrettate, in quanto non hanno né le ali, né altri segni che possano farli leggere in questo senso. Sulle gambe della Vergine giace addormentato Gesù Bambino in una posizione che richiama certa movenze della Pietà Vaticana di Michelangelo Buonarroti. Il braccino del Bambino, infatti, cade verso il basso e la Vergine lo sorregge tenendogli la mano sotto l’ascella, proprio come nel gruppo marmoreo del Buonarroti, inoltre le vesti della Vergine sono l’esatta copia di quelle scolpite dal grande scultore toscano. Ma mentre il tema del gruppo statuario michelangiolesco è la Pietà, in Parmigianino se ne fa solo allusione, ribadendo così con forza il valore salvifico della nascita che sarà compiuto nella morte e resurrezione del Salvatore. Infatti, la Vergine dipinta dal Parmigianino è a capo scoperto, mentre quella di Michelangelo porta il velo in segno di lutto.
Il paesaggio alle spalle della Vergine molto probabilmente richiama, come nel Tondo Doni di Michelangelo, l’età precedente alla venuta di Cristo, con una allusione che è poi il centro teologico del dipinto: mentre nell’antichità la divinità risiedeva nel tempio, ora con l’incarnazione Dio è tra noi, è veramente in noi, e Maria sottolinea questo aspetto teologico-spirituale indicando con la mano destra, la mano del Signore, che colui che Ella ha concepito è nel suo cuore. Maria ha concepito il Salvatore, come l’angelo le aveva annunciato divenendo il tramite splendente dell’Incarnazione. Non a caso alla destra della Vergine, Parmigianino ha posto proprio un angelo, che per di più reca un vaso. Il vaso è ascrivibile agli attributi mariani delle Litaniaecome Vaso Spirituale, Vaso onorabile e come Vaso insigne di devozione, cioè Maria è come un vaso prezioso dal contenuto mirabile e salvifico, il Verbo incarnato. A rafforzare questo significato, tra Maria e l’angelo si inserisce la figurina di un bimbo, che pone la sua mano sinistra sulla spalla sinistra dell’angelo, indicando con l’indice il vaso che egli porta, mentre con la sua mano destra tocca il collo dello stesso vaso mantenendo lo sguardo su Gesù. Questo bambino corrisponde iconograficamente in modo chiaro e tradizionale al piccolo San Giovanni Battista, che riconosce Gesù fin dal grembo materno. Infatti egli indica il vaso, ovvero Maria, scrigno prezioso in cui l’Incarnazione si compie, contenendo in sé tutto il mistero della Redenzione. Maria è il vaso, il pozzo delle acque vive (Ct 4,15), è la fonte (Ct 4,15), è la Porta del Cielo (Gn 28,17). Il significato più intimo del dipinto la identifica anche come il Tempio dello Spirito Santo (IC 6,19).
L’elemento dal quale prende il nome il dipinto, ovvero il lungo collo di Maria, va letto anch’esso come un attributo simbolico, che arricchisce e completa il significato spirituale e devozionale: la Torre di Davide (Ct 4,4), il cipresso in Sion (Eccl 24,18), la palma (Eccl 24,18), i cedri (Eccl 24,17).
I committenti, dunque, hanno chiesto a Parmigianino un dipinto che rappresenti Maria come un Vaso Spirituale che si erge come la Torre di David, il cipresso, la palma e il cedro, in tutta la sua maestosità, come una creatura meravigliosa tra un angelo e San Giovannino, la Madre a cui affidare le giovani vite dei figli di Elena Baiardi, che sono ritratti alle spalle di Maria.
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio.
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