Ad esempio nell’animare l’oratorio Don Bosco fondò la “Società dell’allegria”, con l’intento di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere libri che contribuissero all’allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malinconia, specialmente la disobbedienza alla legge del Signore. Chi bestemmiava, pronunciava il nome di Dio senza rispetto, faceva discorsi cattivi, doveva andarsene dalla Società.
La società si fondava su tre regole principali: nessuna azione o discorso che possa offendere un cristiano; fare i propri doveri scolastici; essere allegri.
Don Bosco e i suoi compagni cercavano di vivere nell’allegria, impegnandosi nei propri doveri di studio e di fede, godendo dell’allegria, nel rispetto di Dio e degli altri.
Il santo salesiano racconta che la società dell’allegria gli diede una certa celebrità. “Nel 1832 – ha scritto – ero stimato e obbedito come il capitano di un piccolo esercito. Mi cercavano da ogni parte per organizzare trattenimenti, aiutare alunni nelle case private, dare ripetizioni”, nel frattempo, “la divina Provvidenza mi aiutava così a procurarmi il denaro per i libri di scuola, i vestiti e le altre necessità, senza pesare sulla mia famiglia”.
Per conoscere meglio la storia della ‘Società dell’allegria’ e per capire quanto questo approccio influenzò il programma di educazione dei giovani, ZENIT ha intervistato don Roberto Spataro, segretario della Pontificia Accademia Latinitatis e docente all’Università Pontificia Salesiana.
Si racconta che don Bosco era un ottimista, sempre allegro, che componeva musiche, canzoni, canti, preghiere…
Don Bosco era versatile. La natura gli aveva fornito tante doti intellettuali e tante abilità pratico-manuali. È un santo allegro. Papa Paolo VI lo cita tra i “santi della gioia cristiana” in una sua bellissima lettera, la Gaudete in Domino.
Nel “Giovane provveduto”, un manualetto di formazione cristiana, scritto da don Bosco, leggiamo: “Due sono gl’inganni principali, con cui il demonio suole allontanare i giovani dalla virtù. Il primo è far loro venir in mente che il servire al Signore consista in una vita malinconica e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è cosi, giovani cari. Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso allegro e contento, additandovi quali siano i veri divertimenti e i, veri piaceri. Tale appunto è lo scopo di questo libretto, servire al Signore e stare sempre allegri”.
L’ottimismo di don Bosco non è ingenuo: conosce bene le inclinazioni cattive della natura umana ma crede nelle risorse soprannaturali della Grazia. Perciò ha scelto come suo modello San Francesco di Sales, esponente esimio dell’umanesimo devoto, cioè di una concezione realisticamente positiva dell’uomo, aperto all’azione della Grazia.
Don Bosco è stato musicista ed anche compositore, soprattutto nei primi anni del suo ministero, di canzoncine religiose. Aveva imparato a suonare l’organo quand’era studente a Chieri. Ha creduto moltissimo nel valore educativo della musica. “Una casa salesiana senza musica, è un corpo senz’anima”, soleva ripetere.
All’Oratorio di don Bosco, si suona, si canta, si allestiscono operette, si mette su la banda. Con le forme che poi cambiano con il tempo e il gusto dei giovani, questa tradizione è sempre viva negli ambienti salesiani. Pensando a queste attività espressive e comunicative che caratterizzano l’ambiente salesiano e che sono promosse dai giovani stessi, ecco pensando a questa sintesi di educazione e comunicazione, di comunicazione e protagonismo giovanile, Umberto Eco ha avuto parole di grande apprezzamento.
È vero che per insegnare don Bosco usava tecniche avanzate, come scrivere frasi e aforismi sui muri?
Certo! Oggi si affiggono i post sulle bacheca di Facebook ma don Bosco non è da meno perché, da educatore che conosce benissimo l’arte della comunicazione, sfrutta le possibilità che ha: ancora oggi, chi visita Valdocco, la “Terra Santa” di don Bosco, può leggere le massime che don Bosco affiggeva sui muri. I ragazzi passavano dinanzi e nella loro mente si imprimevano quegli insegnamenti che non avrebbero mai più dimenticato.
Qual è il segreto della brillantezza ed efficacia comunicativa di Don Bosco?
Don Bosco ama. Chi parla, chi comunica, chi trasmette un messaggio ex abundantia cordis, è efficace, trova il linguaggio giusto. Si potrebbe applicare allo stile comunicativo di don Bosco quella massima di San Francesco di Sales, che funge da motto cardinalizio del Beato John Henry Newman. A me piace tanto: Cor ad cor loquitur. Inoltre, quando don Bosco è stato ordinato prete, ha chiesto una grazia: l’efficacia della parola. Gli è stata abbondantemente elargita.
Come riusciva a trasmettere il Vangelo ed educare le genti che erano per lo più non scolarizzate?
Vorrei modificare la domanda, se me lo permette. In realtà, ai suoi tempi, c’è una crescita dell’alfabetizzazione e l’aumento di soggetti dotati almeno d’istruzione elementare. Questo ci permette di toccare un punto che forse non è molto conosciuto. Don Bosco è stato uno scrittore fecondo.
L’edizione delle sue pubblicazioni, compreso il copioso Epistolario, occupa diversi scaffali di una biblioteca. Ha scritto molto per intercettare i bisogni di un pubblico che rischiava di essere trascurato dall’editoria religiosa più specializzata. Si è rivolto ai ceti popolari.
Ha dato avvio perciò ad una fortunatissima collana di sapidi libretti, le Letture cattoliche. Ha scritto moltissimo per i giovani, anche manuali scolastici, come la Storia d’Italia.
E per venire incontro ai bisogni d’istruzione dei più poveri ha persino composto ed allestito una commedia sul “Sistema metrico decimale”, per evitare che l’introduzione del nuovo sistema di misurazione non svantaggiasse coloro che non ne erano ancora pratici.
Quando si presenta per la prima volta al Beato Pio IX, si autodefinisce il prete che si occupa degli Oratori e delle “Letture cattoliche”. Insomma, don Bosco, un santo moderno, che utilizza i mezzi di comunicazione più avanzati del suo tempo, per raggiungere il maggior numero di persone. E ci teneva a far le cose per bene: nel 1884 all’Esposizione universale di Torino, vinse il secondo premio per l’efficienza della sua officina tipografica. Tra l’altro ci rimase male perché si aspettava il primo premio.
Ecco, sono solo alcune pennellate su don Bosco. Mi piace congedarmi ripetendo il triplice titolo con cui San Giovanni Paolo II ha disposto che fosse onorato nella Chiesa: “Padre e Maestro dei giovani”.
Cosa direbbe don Bosco ad un giovane di oggi?
In mille lingue, con mille sfumature diverse, don Bosco gli direbbe ciò che ha scritto al principio del suo “manifesto programmatico”, una sorta di sintesi di pedagogia donboschiana, in forma narrativo-epistolare, la famosa Lettera da Roma del 1884. Ecco le sue bellissime parole: “Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità.” Queste parole, don Bosco le ripete ad ogni giovane.