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Bergoglio dice "genocidio". E la Turchia si infuria

Dure reazioni da Ankara per le parole del Papa nella Messa per i 100 anni dello sterminio armeno: convocato il nunzio e richiamato l’ambasciatore presso la Santa Sede

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“La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo»: essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi”.
Sono bastate queste poche parole – “Il primo genocidio del XX secolo” – pronunciate dal Santo Padre nella Messa in Vaticano con gli armeni per il centenario del “Grande Male”, per scatenare un putiferio in Turchia.
Il governo di Ankara ha subito convocato il nunzio apostolico, mons. Antonio Lucibello, per manifestare il proprio disappunto sulle dichiarazioni del Pontefice, peraltro una citazione testuale dell’espressione usata da Giovanni Paolo II e Karekin II nella Dichiarazione comune, firmata a Etchmiadzin il 27 settembre 2001.
È stato poi richiamato anche l’ambasciatore turco presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci, per delle consultazioni. La stessa ambasciata si è espressa poi definendo “inaccettabile” il fatto che il Papa abbia parlato di “genocidio”.
Dopo un secolo, la Turchia continua quindi ad ostinarsi in un atteggiamento negazionista verso la strage che cento anni fa, nel 1915, sterminò un milione e mezzo di persone. Secondo la versione di Ankara, causa del massacro fu una sanguinosa guerra civile che uccise circa 500mila armeni e altrettanti turchi, in quanto i primi si erano ribellati contro i governanti ottomani appoggiando le truppe russe che invadevano l’impero in piena Prima Guerra Mondiale. A decimare la popolazione sarebbe stata poi una carestia e delle conseguenti epidemie.
Le ragioni del negazionismo turco sono molteplici: storiche, politiche ma soprattutto economiche. Riconoscerne la responsabilità nello sterminio avvenuto negli ultimi anni dell’Impero Ottomano significherebbe di fatto aprire la complicatissima questione dei risarcimenti ai familiari delle vittime, che da sempre, seppur senza strumenti o sostegni, chiedono giustizia.
Nessun tribunale o corte internazionale si è quindi sbilanciato finora sulla questione, e quella pagina storica – una delle più buie tra le vicende del mondo – è rimasta per anni un tabù. Anche in Vaticano. Fino a che, almeno, Wojtyla non ha coraggiosamente squarciato il velo nel novembre del 2000, firmando a Roma un comunicato congiunto con il capo della Chiesa apostolica armena, Karekin II, nel quale si parlava esplicitamente di “genocidio armeno”, quale “prologo agli orrori che sarebbero seguiti”.
Anche all’epoca ci fu una furente reazione della diplomazia turca, tanto che il Pontefice polacco, nel suo viaggio in Armenia del 2001, evitò di utilizzare la parola “genocidio” nei discorsi pubblici, preferendo l’espressione coniata dagli stessi armeni: “Metz Yeghérn”, “Grande Male”. Nel settembre dello stesso anno, tuttavia, venne firmata la succitata “dichiarazione congiunta” nel quale si parlò chiaramente dello sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni come del “primo genocidio del XX secolo”.
Le parole riprese da Bergoglio ieri in Basilica, appunto. Il Papa argentino si è spinto ancora più oltre, non solo pronunciando la parola “genocidio” (cosa che anch’egli evitò di fare durante i suoi tre giorni in Turchia a novembre, su esplicita richiesta del presidente Erdogan), ma anche definendo lo sterminio degli armeni alla pari dei crimini dello nazismo e stalinismo, come pure dei massacri perpetrati oggi verso sangue innocente.
Parole che il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha bollato come “asserzioni prive di fondamento”: “Non valgono a nulla per i turchi e per la Turchia”, ha tuonato dalla Mongolia dove si trova in visita ufficiale, in quanto “contraddicono fatti storici e legali”. Ha poi annunciato che verranno prese a riguardo delle misure che verranno rese pubbliche “dopo una nostra consultazione”.
In una nota ufficiale in cui informava del richiamo del diplomatico, Cavusoglu ha inoltre rimarcato che “le dichiarazioni religiose non devono alimentare il risentimento e l’odio”. E che, “avendo sottolineato il suo desiderio di promuovere la pace e l’amicizia tra i diversi gruppi nel mondo dal giorno in cui è stato eletto al pontificato, Papa Francesco ha fatto oggi una discriminazione tra le sofferenze sottolineando solo quelle dei cristiani e in particolare degli armeni”.
Quindi, secondo il ministro, “con un punto di vista selettivo” il Papa “ha ignorato tragedie che hanno toccato invece turchi e musulmani che hanno perso le loro vite nella Prima Guerra mondiale”. “La storia è stata strumentalizzata per fini politici”, ha detto, poiché è stata “trascurata la grande sofferenza e le pagine buie in geografie remote lontane dall’Anatolia”, e “ignorata completamente la crudeltà del colonialismo”.
“Genocidio è un concetto legale”, ha poi soggiunto il diplomatico. Pertanto “rivendicazioni che non soddisfano le richieste di legge, sebbene si tenti di spiegarle sulla base di convinzioni diffuse, sono destinate a rimanere calunnie”.
A mettere il carico anche il premier turco Ahmet Davutoglu, che ha dichiarato alla stampa: “Leggere quelle vicende dolorose in modo fazioso è inappropriato per il Papa e per l’autorità che rappresenta”.
Nessuna reazione, invece, da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan, il quale sembrava aver aperto uno spiraglio sulla questione con il messaggio del 23 aprile 2014, 99° anniversario del ‘martirio’, in cui esprimeva le “condoglianze” della Turchia ai “discendenti” delle centinaia di migliaia di armeni sterminati nel 1915. A gennaio di quest’anno aveva inoltre asserito che la nazione sarebbe stata “pronta a pagare il prezzo” nel caso fosse stata riconosciuta colpevole da storici indipendenti.
Silenzio finora anche da parte del Vaticano.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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