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Un libro sulla Perfetta carità. Può spiegarci di che si tratta?
Come membro della Congregazione dei missionari Servi dei poveri del beato Giacomo Cusmano, ho voluto dedicare il libro, a cinquant’anni dal Decreto del Concilio ecumenico Vaticano II sulla perfetta carità, alla grata memoria dei Maestri che il buon Dio ha posto sul mio cammino. Per me consacrato e vescovo è anche una sfida a ripensare in termini corretti il rapporto tra pastore di una chiesa particolare e Istituti religiosi, che mantengono una dimensione sovradiocesana, pur integrandovisi pastoralmente. Oso sperare che chi leggerà queste pagine le voglia accogliere come un “boccone del Povero”, che, come diceva il beato Giacomo Cusmano, nel primo suo intendimento, era la santa comunione eucaristica. Dare un boccone ai bisognosi è opera della Grazia eucaristica, la quale non solo soccorre i poveri, ma è tesa alla salvezza dei ricchi e alla santificazione delle anime, le più semplici come le più elette, particolarmente quelle consacrate che sono dei portabandiera di un mondo che sta per venire. A partire dal novembre 2015 saremo chiamati tutti, consacrate e consacrati, appartenenti al clero o laici, a misurarci con la proposta di “perfetta carità” che lo Spirito Santo continua a suscitare nella Chiesa oggi, come faceva nei tempi pregressi. Il Concilio Vaticano II, non solo non ha chiuso, ma ha addirittura aperto una stagione per portare a compimento possibili forme di controllo, verifica e riforma degli stili di vita finalizzati alla carità perfetta.
Raggiungere “perfettamente” la carità per mezzo dei consigli evangelici è ancora possibile, purché il processo avvenga con modalità tutte qualificate dalla radicalità e dalla stabilità della professione dei consigli del Maestro dei Vangeli. In sintesi, il libro èun suggerimento, un invito a promuovere una più ampia consultazione, coordinata dalla Santa Sede, in vista di orientamenti comuni, da definire in seguito anche in direttive e norme, almeno sul piano organizzativo, stante la permanente vigenza delle Regole dei singoli Istituti. Per questo abbonda di interrogativi anche su temi non esclusivamente teologici. Essi attendono una risposta non solo dai singoli consacrati e dei loro Istituti, ma anche da speciali Commissioni di esperti, che potrebbero fare tesoro delle competenze di cui sono ricche le Chiese particolari.
Di qui la proposta di una larga consultazione, dei consacrati e degli esperti, che dovranno essere particolarmente attenti a precisare sul piano teologico l’essenza della vita consacrata e i lineamenti del battezzato che fa pubblica professione dei consigli evangelici (definizione teologica dell’identità consacrata). Certamente l’Anno per la vita consacrata non sarebbe solo un periodo celebrativo se effettivamente gli Istituti di vita consacrata, a partire dai Superiori e Responsabili, s’impegnassero in una seria verifica di che cosa del Concilio e della stessa Esortazione apostolica Vita consecrata sia entrato nella loro vita e che cosa resti da fare perché quanto proposto da vari documenti della Santa Sede diventi vita e conduca ad un autentico rinnovamento interiore nella conformazione a Cristo secondo i diversi carismi.
Quali secondo lei le ragioni della crisi della vita consacrata soprattutto nei paesi di antica evangelizzazione? Sono problemi specifici o riflettono la crisi generale della Chiesa cattolica nei paesi avanzati?
I continui richiami di papa Francesco a una Chiesa in uscita, a una Chiesa povera per i poveri, al superamento della “musoneria” e alla riscoperta piena della gioia che è il vangelo sono rivolti all’intera Chiesa, a Sud e a Nord del mondo, a Est ed a Ovest, vecchia Europa compresa. Alla vigilia di un Anno giubilare straordinario, incentrato sulla misericordia, non possiamo non ricordare come negli anni di svolta sia risuonata spesso quest’esigenza di nuova evangelizzzazione, di nuovo ardore, di nuovo metodo nell’annuncio delVangelo della gioia. Certo, in Occidente tale istanza fa i conti con le crisi e i ripensamenti che caratterizzano le società avanzate, già opulente e tuttora globalizzate, sempre rinchiuse in relativismi e in nichilismi che non aiutano a conciliare con la fede una mentalità secolarista o postsecolarista, come scrive Habermas. E in quest’Occidente hanno i loro specifici problemi anche le Chiese particolari e le comunità religiose, perché devono fare i conti con la diminuzione delle vocazioni, con l’impossibilità di tenere aperte tutte le strutture a motivo dell’esiguità dei consacrati, con un certo affievolimento dell’impeto originario, con i nuovi problemi posti dalla mondializzazione degli Istituti di origine europea, con la riscoperta del genuino significato dell’obbedienza, della povertà non soltanto economica, ma anche dell’effimero e della verginità.
I tempi nuovi chiedono una ridefinizione dei ruoli di comando-obbedienza tra i consacrati, quindi un ponderato passaggio dalla centralità dell’autorità alla centralità della fraternità (il genuino binomio non è autorità-obbedienza, bensì, obbedienza-amore). In sostanza, prima di essere superiori o sudditi, si è fratelli e sorelle, convocati da Cristo e perciò legati da reciproco amore e non soggetti a simpatie o antipatie prettamente umane. In ogni caso, non tutto è nero se si guarda un po’ oltre i confini limitati del quotidiano. Basta elevarsi e guardare oltre, là «dove abitano gli uccelli del cielo e cantano tra le fronde» (Sal 104,12). Descrivendo l’anima che nella preghiera s’unisce a Dio e presentandola nel momento in cui essa è in contemplazione, Caterina da Siena invitava alla fiducia e alla speranza, soprattutto quando la realtà si presentava buia e poco comprensibile.
Che cosa intende dire quando sostiene che bisogna chiarire l’identità e la missione nella Chiesa da parte dei consacrati?
Un gesto di fiducia nella vita consacrata oggi è un atto di audacia prima di essere una programmazione a tavolino, o uno schema di laboratorio circa l’identità e la missione dei consacrati. Tali cose resterebbero asettiche rispetto al calore e al fervore della vita quotidiana, di fronte alla quale bisogna porsi comunque a occhi aperti, non disconoscendo le contrarietà, ma neppure facendo prevalere le ombre sulle luci. Chiarire identità e missione dei consacrati nella Chiesa significa valutare le scelte da compiere relativamente alla riqualificazione dell’amore obbediente, dell’esistenza povera dello stile vergine, casto e puro nelle relazioni affettive interpersonali e nella vita fraterna delle piccole comunità. E tutto questo oggi, ed in modo particolare nel nostro Occidente, che –a volte- pare voglia lasciarsi guidare da una sorta di pensiero unico. Bisogna “restare in gruppo”, proprio come le vergini vigili e prudenti della parabola(Mt 25,1-12!). Occorre imparare a ripensare in maniera originale, talvolta anche difforme rispetto a certe mode contemporanee, la vita consacrata: essa è un vero e proprio dono per la Chiesa, ma pur sempre un dono convergente nel comune sforzo di tutti i credenti a ripristinare l’humanum in Cristo, l’Uomo nuovo, colui che ha creato «in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo» (Ef 2,15). A tutto ciò prelude la vigile attesa di coloro che, «con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (Lc 12,35), escono, da consacrati, incontro allo Sposo, anche se egli tarda ad arrivare.