Una mattina mi è stato chiesto di macinare solo la quantità di caffè che sarebbe occorsa per la giornata, accorgimento, questo, che ti garantisce una polvere ancora profumata e in tazza un aroma più gradevole.
Apro il sacchetto dei grani ben tostati, soppeso la quantità e la verso nella vaschetta del macinacaffè che subito accendo.
Ti sembra un canto quel rumore che ti dona polvere preziosa. Tutt’attorno si spande l’aroma invitante.
Quella musica cambia tono man mano che il peso dei grani si assottiglia. Finchè allungo la mano per poter spegnere ad azione completata.
Ma, stranamente, un chicco, l’ultimo non ancora macinato, mi fa attendere e mi incuriosisce.
Lo vedo, unico superstite, balzare ai lati e in altezza dopo aver ripetutamente toccato il fondo dell’imbuto che convoglia i grani nella macina. Toccava e schizzava via, sbatacchiava, roteava da tutte le parti; saltellava fino a bussare contro il coperchio quasi a chiedere di uscire, evadere dal suo compito.
Mah - ho pensato - forse vuole salvarsi, forse non se la sente di diventare polvere. Forse ancora non ha capito che per lui non c’è altra strada per sopravvivere: donarsi come tutti gli altri.
Era solo. Forse quando si è soli è più difficile donare se stessi; è più normale se lo si fa comunitariamente.
E’ stata necessaria una manovra in più per fargli capire che solo donandosi si sarebbe salvato, solo perdendosi si sarebbe ritrovato.
Ciao da P. Andrea Panont ocd