Job Act. Rivoluzione nel campo del lavoro

Con la riforma, lo Stato limita le rigidità contrattuali lasciando maggiore spazio alle libere forze di mercato. Una rivoluzione per il sistema italiano ancora poco aperto

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Di recente approvazione è il cosiddetto Job Act, provvedimento che è destinato a modificare radicalmente la disciplina legale del rapporto di lavoro subordinato. La riforma ha come punto cruciale la riduzione della cosiddetta “tutela reale” che consiste nel diritto del lavoratore alla reintegrazione sul posto di lavoro ed al risarcimento in caso di licenziamento illegittimo.

Viene così riformata la parte sostanziale della disciplina dello Statuto del Lavoratori (L. 300 del 20/5/1970) che contiene le “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”.

Prima dell’attuale riforma, il licenziamento era possibile solo in presenza di una “giusta causa” di cui l’onere della prova della sua esistenza, gravava sul datore di lavoro; accadeva così che per i licenziamenti privi di giusta causa al lavoratore licenziato spettava il diritto alla reintegra nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno subito.

Con la riforma dell’ art. 18, la reintegra nel posto di lavoro trova ora una risicata applicazione solo nelle ipotesi di licenziamenti discriminatori o considerati nulli nei casi previsti dalla stessa legge, rimane tuttavia il diritto al risarcimento del danno commisurato all’anzianità di servizio. I motivi discriminatori previsti sono quelli indicati nell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori contenente la disciplina che sanziona la disparità di trattamento per quei lavoratori che appartengano ad organizzazioni sindacali.

Cambia così interamente il contesto giuridico in cui il rapporto di lavoro dipendente si realizza. La libertà di licenziamento del lavoratore, infatti, eleva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato come la fattispecie tipica di contratto a cui normalmente fare ricorso in caso di assunzione.

Le forme di lavoro precario, nate numerose negli anni passati per sopperire all’ intrinseca mancanza di flessibilità del rapporto di lavoro subordinato, perdono così di efficacia per i venir meno della loro motivazione. Ed infatti a partire dall’entrata in vigore del decreto attuativo non potranno essere più stipulati nuovi contratti di Co.Co.Pro. Inoltre la nuova disciplina vale solo per i nuovi contratti, restando invece valida la precedente disciplina per i contratti già in essere.

Una importante conseguenza dei nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato è che essi saranno considerati “stabili” consentendo così, ad esempio, l’accesso alle forme di finanziamento bancario quali l’ accensione di un mutuo ipotecario. Cambia così anche il lavoro a tempo determinato che potrà durare al massimo 36 mesi, durante i quali, potrà essere rinnovato al massimo per 5 volte.

Sarà poi più facile far cambiare mansione al lavoratore e sarà possibile anche il demansionamento, in caso di ristrutturazioni aziendali. Nel decreto sono previste le norme per realizzare i licenziamenti collettivi nell’ipotesi di crisi aziendale.

Con la modifica dell’art. 18 e la drastica riduzione della tutela reale, il rapporto di lavoro riacquista la sua originaria maggiore flessibilità: sarà più facile sia entrare che uscire dal  mercato del lavoro; questo determinerà una maggiore concorrenza tra lavoratori tra i quali la qualità della prestazione e le capacità del lavoratore diventeranno gli elementi fondamentali di distinzione e su cui valutare poi e successivamente, il quantum della retribuzione.

Considerando poi che qualunque rapporto di lavoro si instaura anche in base al intuitus personae, la maggiore concorrenza tra lavoratori avrà l’ulteriore possibile  effetto di spingere ulteriormente verso l’alto la qualità del lavoro favorendo così la produttività.

Insomma il mercato del lavoro subordinato cambia adattandosi alla nuova realtà economica facendo così emergere la flessibilità rispetto alle esigenze produttive, come suo elemento fondante.

Giova evidenziare che tutto ciò è in linea con il principio economico che vede il “fattore produttivo” lavoro sia in realtà una grandezza variabile (e non fissa) del processo produttivo e come tale strettamente correlata con il volume di affari aziendale. I moderni sistemi economici sono oggi caratterizzati sia da un forte orientamento verso il sistema di mercato che da una sempre più ampia riduzione del peso dello stato nell’economia.

Il Job Act va in questa direzione: con la riforma, lo Stato limita quindi le rigidità contrattuali lasciando così maggiore spazio alle libere forze di mercato. Si tratta certamente di una rivoluzione per il sistema italiano che è, ad oggi, complessivamente ancora poco aperto.

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Luca Barchetti

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