Tra gli articoli più seguiti della settimana, c’è senz’altro l’intervista al cardinale Mauro Piacenza, nella quale l’alto prelato risponde alle domande di ZENIT, spiegando i fondamenti e la ritualità del tempo liturgico della Quaresima.
Il cardinale pone l’accento sulla penitenza, come offerta quotidiana e libera di noi stessi a Dio; sulla preghiera, ossia l’atto con il quale l’uomo si pone umilmente dinanzi al Mistero, in dialogo filiale con il Creatore; sul digiuno, che ci educa alla sobrietà, premessa indispensabile per il superamento dell’edonismo e della “cultura dello scarto”.
Sono valori che, per la loro profonda natura spirituale, si prestano ad essere alimento e frutto anche della poesia. Perché è proprio della poesia scandagliare, con il bisturi della consapevolezza, i più nascosti meandri dell’animo umano, dove si annidano le nostre paure, le nostre contraddizioni e i nostri rimorsi. Ma anche la nostra luce e la nostra speranza.
Vogliamo oggi presentare un pregevole autore del ‘900 che orientò la sua esistenza terrena su due convergenti scelte di vita. Frate francescano e poeta, Gherardo Del Colle (1920-1978), appartenne alla provincia ligure dei Cappuccini. Docente di letteratura italiana nelle scuole dell’Ordine e cappellano ospedaliero, svolse il suo ministero sacerdotale in diversi conventi della sua provincia. Fu inoltre attivo nel campo della critica letteraria: attività che, insieme alla costante produzione poetica, lo inserisce a pieno titolo fra le personalità culturali di spicco del secondo dopoguerra.
La poetica di Gherardo Del Colle è caratterizzata da una acuta sensibilità religiosa, che si traduce talora in aperto sdegno verso le ingiustizie sociali del nostro tempo (fermo restando l’affidamento ultimo alla volontà di Dio, come termine di riferimento di ogni vicenda umana).
Nei due brani che seguono risaltano con evidenza, e con efficace “vis” comunicativa, queste due componenti primarie dell’opera di Del Colle: il totale abbandono al volere di Dio e l’esigenza di giustizia che gli deriva da una visione etica della vita. La prima composizione s’intitola Il mio posto nel tempo ed è tratta dalla raccolta Rosso di sera, mentre il secondo brano è un estratto dalla poesia Lamentazione, pubblicata nella raccolta Poesie (1937-1970).
Il mio posto nel tempo
e nello spazio l’ho da Te, Signore.
La rondine che migra dagli autunni
squallidi a dissepolte primavere
e gli astri che indovinano le instabili
occulte curve delle loro orbite
sono all’anima immagine
di quanto doni e di quanto richiedi.
Compio ciò che vuoi Tu se pur non so
tutto quello che ordini ed intendi.
Al mio posto Ti sono necessario
come la morte: poi che nulla operi
Tu d’improvviso e nulla v’è di inutile
se persino dai sassi puoi crearTi
dei figlioli d’Abramo.
Quale cieco
che al buon cuore si affidi di un bambino,
io così mi abbandono alle Tue voci.
Nel Tuo disegno, nel Tuo desiderio
trattienimi: ch’io sia
folgore che non smargina, impalpabile
polline che i tuoi aliti sospingono
da uno ad altro calice di fiore.
*
Forse nei campi gemmati di guazza i Tuoi passi
numererò domani. O sulle piazze Ti udrò
discorrere animoso coi braccianti avviliti
e i licenzia ti dell’ILVA e i torvi ferrovieri.
Ricurvi sulle scope, anche i macilenti spazzini
T’informeranno, o Gesù, d’essere scesi in sciopero.
(Non appenarTi, Signore: non scrivere in terra col dito
le colpe dei ricchi e dei sazi. Celaci i loro pensieri!).
*
Scrivevamo in apertura dell’importanza della preghiera sottolineata dal cardinale Piacenza: “Senza preghiera non c’è fede, né vita spirituale, né possibilità reale di conversione. Se in Quaresima pregheremo di più, avremo già compiuto una importantissima opera penitenziale”. Ed ecco dunque una bella poesia di Gherardo Del Colle intitolata, appunto, Preghiera.
Signore, non andartene lontano:
in quest’ora di tenebre
non basta un po’ di sole a illimpidirmi,
e l’olio manca nella mia lucerna.
Siedi con me, Signore, al desco arido
della mia vita:
ch’io Ti conosca al frangere del pane.
*
L’esordio poetico di Gherardo Del Colle ebbe l’autorevole avvallo di Giorgio Caproni, che lo segnalò alla critica come “poeta ricco di passione non in esclusivo senso religioso, ma soprattutto umano”. Del Colle si giovò inoltre della frequentazione dell’ambiente letterario ligure, dove strinse amicizia con il poeta di fede religiosa Angelo Barile. Tra le raccolte pubblicate: Rosso di sera (1946); L’angelo dei suburbi (1971); Poesie 1937-1970 (1975). A queste raccolte edite sono inoltre da aggiungersi le poesie sparse che Francesco De Nicola, autore di un approfondito saggio sulla poesia di Del Colle intitolato Il fresco presagio, ha rintracciato negli archivi conventuali dei cappuccini liguri.
Scrive il poeta e critico letterario Elio Andriuoli: “Il Del Colle che maggiormente colpisce è quello che canta la vita, con le sue gioie e le sue tristezze; i momenti lievi di partecipazione alla festa del Creato e quelli di muto sconforto; sempre tuttavia in maniera schietta e genuina: sicché lo sentiamo tuttora attuale. È necessario comunque tener presente che tanto le terse poesie di lode a Dio e di limpida gioia, quanto le poesie pensose di ripiegamento interiore e di intima sofferenza per gli accadimenti del mondo, sono state scritte da Fra’ Gherardo tutte ugualmente con estremo rigore stilistico”.
Un giudizio, quello di Elio Andriuoli, che trova conferma nel bellissimo inno poetico che segue, Solo tu, mio Signore, tratto anch’esso dalla raccolta poetica Rosso di sera.
Solo Tu, mio Signore, solo Tu
che il mio bene conosci ed il mio male
e il bene e il male d’ogni uomo e tutto
il bene e tutto il male ch’è nel mondo:
per tortuosi o facili sentieri,
per voragini o vette, per pensieri
d’amore o d’odio, per giubilo o lutto,
solo Tu puoi condurmi
là, dove da millenni di millenni
serbi l’inconoscibile mio Bene.
Tu hai scelto per me, e tutto è buono
ciò che ha legge da Te!
Già basta l’aria mossa dal Tuo cenno
a spingermi e a piegarmi, pur se lacero
soccorrenti visioni d’innocenza
e spregio la Tua pace ed il Tuo bacio;
se sterile tra i vespri e tra le pietre
di colpe e di rimorsi
mantengo l’erompente Tuo frumento.
Tu che la bionda pecchia
al nettare conduci, ed all’insetto
sitibondo provvedi fresche perle
di rugiada, e turchini specchi d’acqua
alle cerve, e la selva
disseti e il ciuffo d’erba dei crepacci:
Tu, che sui greti
dei torrenti e nell’alto firmamento
limpidi sassi rotoli e galassie;
mai Ti stanchi, o Signore, di volermi
là, di chiamarmi dolcemente là,
di ributtarmi violentemente
là, dove da millenni
il mio Bene hai riposto di millenni.
*
Per concludere questa breve riflessione sulla poesia di Gherardo Del Colle, inserita nel contesto dell’atmosfera quaresimale, ritorniamo alle parole del cardinale Piacenza che abbiamo utilizzato come filo conduttore: “Con il rito delle ceneri, la Chiesa tutta ogni anno lancia una sfida, sempre attuale, ricordando all’uomo il suo limite, dentro il quale ogni giorno ‘grida’ un bisogno di infinito, di eternità”. E a fare eco a queste parole, ecco un intenso brano del poeta cappuccino, tratto anch’esso dalla poesia Lamentazione.
Ho franto i miei ginocchi sulle lapidi ghiacce del tempio,
percotendomi il petto, umiliato dall’abile prece
del Fariseo incorrotto che s’imponeva a Tuo Padre.
Poi ho corso le strade cercando il Tuo volto, o Gesù
!
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In questo tempo di Quaresima, e in vista della Santa Pasqua, che ricorre quest’anno il 5 aprile, la rubrica di poesia di ZENIT dedicherà una particolare attenzione alle poesie ispirate al tema.
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