Il Collegio Cardinalizio da stamattina ha venti membri in più. Durante il Concistoro Ordinario Pubblico, celebrato nella Basilica di San Pietro, alla presenza del suo predecessore Benedetto XVI, papa Francesco ha consegnato le berrette rosse a diciannove dei nuovi porporati: assente giustificato per motivi di età avanzata, soltanto il cardinale José de Jesús Pimiento Rodríguez, Arcivescovo emerito di Manizales (Colombia).
In apertura di Concistoro, il Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Dominique Mamberti, primo tra i nuovi Cardinali, ha rivolto un messaggio di gratitudine al Santo Padre, a nome di tutti i nuovi porporati, menzionando in modo particolare la lettera loro invitata lo scorso 23 gennaio.
Quando un vescovo o un presbitero riceve la porpora, ha ricordato Francesco durante l’omelia, egli assurge ad una “dignità” che, tuttavia, “non è onorifica”. La parola stessa “cardinale”, ha spiegato, evoca il “cardine”, ovvero non qualcosa “di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità”.
Così come la Chiesa di Roma “presiede nella carità”, ogni cardinale, nella sua chiesa particolare, è chiamato nel suo ambito a presiedere nella carità”: in tal senso sono emblematiche le parole di San Paolo, che nel suo “inno”, menzionato nella Prima Lettera ai Corinzi (1Cor 12,31), in cui l’Apostolo “elenca le caratteristiche della carità”.
È però soprattutto la Vergine Maria che, “col suo atteggiamento umile e tenero di madre”, può aiutarci a perseguire la carità, poiché essa “cresce dove ci sono umiltà e tenerezza”.
La carità, afferma San Paolo, è “magnanima” e la magnanimità è “in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti”, ha sottolineato il Papa.
Al tempo stesso, la carità, secondo San Paolo, è “benevola” e la “benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.
Il vero “miracolo” della carità è tuttavia nel fatto che essa “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”, quando, al contrario, tutti noi “siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato” e “anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione”, ha ammonito il Pontefice.
L’epistola paolina ricorda inoltre che la carità “non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse”, a differenza di chi è “auto-centrato” e “cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso”; sebbene tale atteggiamento possa anche “essere ammantato di nobili rivestimenti”, in fin dei conti, ha sempre a che vedere con il “proprio interesse”.
La carità, al contrario, “ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo”, esaltando “la capacità di tenere conto dell’altro, della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni”.
La carità è anche del tutto incompatibile con l’ira e “non si adira, non tiene conto del male ricevuto”: papa Francesco ha quindi ricordato che “al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili”.
Se da un lato “si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore”, ovvero per l’ira “trattenuta” e “covata dentro”. “Dio ce ne scampi e liberi!”, ha commentato il Santo Padre.
San Paolo ricorda poi che la carità “non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità”: una “bella espressione”, ha sottolineato il Papa, che spiega come “l’uomo di Dio” sia “affascinato dalla verità” e la trovi “pienamente nella Parola e nella Carne di Gesù Cristo”, cosi ché “qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa”.
Ultimo – ma non meno importante – connotato della carità ‘paolina’ è che essa “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”: quattro parole nelle quali si trova “un programma di vita spirituale e pastorale”, ha commentato Francesco.
Se sapremo essere “docili all’azione dello Spirito Santo“, Dio potrà rivelarsi come “amore”. Inoltre “più veniamo incardinati nella Chiesa che è in Roma e più dobbiamo diventare docili allo Spirito, perché la carità possa dare forma e senso a tutto ciò che siamo e che facciamo”, ha poi concluso il Santo Padre.
Per leggere il testo completo dell’omelia del Papa si può cliccare qui.