Pier Giorgio Liverani, veronese, giornalista e scrittore, è stato direttore di Avvenire, di cui è attualmente opinionista. Attualmente ricopre la carica di direttore responsabile del mensile Sì alla vita del Movimento per la Vita Italiano e dei Quaderni di Scienza & Vita. E’ inoltre membro del direttivo del Centro e della Redazione di Orientamenti pastorali, collabora a varie riviste cattoliche e fa parte del Consiglio Nazionale degli Utenti presso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Autore di numerosi libri: Aborto anno uno, Dizionario dell’antilingua, La società multi caotica con il Dizionario dell’Antilingua (tutti con l’Editrice Ares), Essere o non essere telegenitori? (Dehoniane) e Tutti i giorni della vita eterna (Edizioni San Paolo, 2010). È assiduamente impegnato, anche con responsabilità a livello nazionale, in associazioni di volontariato, attente in special modo ai problemi dell’educazione e della comunicazione. ZENIT lo ha intervistato.
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56 anni di matrimonio, benedetti anche dal Papa… Cosa le ha detto Francesco quando ha incontrato lei e sua moglie?
Era l’11 Maggio dell’anno scorso ed eravamo nella Sala Clementina con il direttivo del Movimento per la Vita, all’udienza che il Papa aveva volentieri concesso a 50 mamme italiane ed extracomunitarie africane e asiatiche che avevano rinunciato all’aborto grazie al Progetto Gemma e volevano mostrare a Francesco i loro bambini di qualche mese perché li benedicesse. Alla fine del discorso, durante il quale, sentendo il pianto di molti piccini, il Papa invitò lo mamme: «Hanno fame, allattateli qui». Poi tutte gli si affollarono attorno fin quasi a soffocarlo nella calca, per confidargli qualche loro pensiero, per abbracciarlo, perché baciasse il loro bambino e Lui si lasciava baciare come un nonno di quei bambini, felice di tanta confidenza. Sfollate un po’ le mamme, anche mia moglie Ada e io riuscimmo ad avvicinarci e, poiché nel discorso il Papa aveva parlato del ruolo dei nonni («Insieme ai bambini siete la speranza del mondo»), io gli dissi: «Santità, noi siamo due nonni che proprio ieri abbiamo festeggiato i nostri 56 anni di matrimonio…». E il Papa, pronto: «Ah sì? E chi di voi due ha sopportato chi?». Ada, più decisa e pronta come sempre le donne, rispose: «Nessuno, Santità, perché ci siamo sempre voluti bene come il primo giorno». Allora Francesco si fece serio e disse: «Allora, ecco, ditelo a tutti, ditelo a tutti, perché oggi ci si sposa per due anni, tre anni e poi si vede com’è andata… ditelo a tutti!».
Soprattutto nei tempi che viviamo oggi molti parlano della fatica e dell’impossibilità di vivere con lo stesso marito o moglie per tanti anni. Voi come avete fatto? Quali sono le difficoltà? Quali le gioie?
Ci siamo incontrati in un ambito familiare e abbiamo cominciato con una simpatia reciproca che nascondeva l’amore crescente e ci siamo frequentati per circa due anni rispettandoci e parlandoci con sincerità anche del nostro comune futuro, anche quando io non ero a Roma per il servizio militare da sottotenente, sempre cercando di capire ciascuno l’altro e di farci capire. Frequentavamo anche, insieme, i sacramenti, scoprendo reciprocamente la nostra intimità della mente e del cuore e conservando il comune tesoro della castità come un dono prezioso da scambiare intatto per quando, benedetti da Dio, avremmo cominciato a essere ognuno dell’altro.
Quanto conta la fede in Dio per risolvere le difficoltà della vita familiare o gli ostacoli nel rapporto con i figli che crescono?
Ricordo un libro di un allora famoso vescovo statunitense, Fulton Sheen, intitolato Tre per sposarsi: il terzo, o se si vuole il primo, era ed è ancora Dio. La sua presenza è stata sempre presente, parte del nostro matrimonio e della nostra famiglia. Se il matrimonio e la vita in comune non sono soltanto la propria felicità personale, ma la felicità di entrambi, un continuo scambio del dono del cuore, della mente, di sé all’altro, se tutto, nella vita coniugale, si fa insieme, convinti ciascuno che la sposa e lo sposo, come i figli (ne abbiamo tre, con tre brave nuore e cinque nipoti), sono un dono del Signore, le difficoltà si superano, i pareri diversi, se ci sono, diventano parere comune. Se le nozze sono un ininterrotto regalo reciproco, se si pensa, si parla, si fanno insieme le cose, si prega insieme, anche eventuali scogli si appianano facilmente.
Secondo lei, come è possibile avere una vita familiare felice? E dall’alto dei suoi 56 anni di matrimonio, quali consigli darebbe alle giovani coppie per rimanere innamorati tutta la vita?
Vorrei sottolineare che l’anima della vita matrimoniale è l’essere ciascuno per l’altro, entrambi per i figli, rispettando però i ruoli di padre e di madre e rifiutando ogni “amicizia” o “complicità” con i figli. Soprattutto evitando di mettere al primo posto i rapporti sessuali, che non sono l’unico patrimonio della vita coniugale, che è fatto di mille cose, gioie, abitudini, parole, pensieri, preoccupazioni, dolori. Anche se si è lontani – così ci è capitato per ragioni di lavoro – non si è mai soli. Il matrimonio non è solo carne, pure assai importante, ma soprattutto cuore e mente. Bisogna evitare il rischio che, quando gli entusiasmi si attenuano, ci si convinca che tutto o anche solo il meglio è finito. Anche da anziani, quando i genitori diventano nonni (una cosa bellissima), l’amore tra due sposi può essere totale.