Il libro che Nicola Rotundo* presenta alle stampe è un libro coraggioso e sapiente. La prefazione è stata curata da Pasquale Giustiniani, professore ordinario di Filosofia teoretica, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Napoli, mentre la postfazione è stata affidata all’arcivescovo di Catanzaro – Squillace, mons. Vincenzo Bertolone.
L’inedito lavoro è frutto di uno sguardo appassionato alla teologia, quella non convenzionale, che sa entrare in dialogo con la storia ed anche con l’economia, ma senza complessi d’inferiorità. È un testo che guarda al Novecento come secolo emblematico di massime aspirazioni e al contempo massimo disincanto. In questo orizzonte complesso dimostrando cura per i dettagli, per le ricostruzioni storiche dei contesti, l’autore con i primi due capitoli si prepara una strada e la prepara al lettore per approfondire quella che appare l’opera di uno dei mostri sacri del Novecento teologico: il gesuita canadese Bernard Lonergan (1904-1984). Lo fa con autorevolezza e senza preconcetti. Scava, si documenta, studia ciò di cui dispone per tentare di entrare e far entrare nel suo mondo il lettore. Dallo studio dei contesti passa allo studio delle fonti e dallo studio di entrambi si lancia in considerazioni puntuali sui grandi limiti e le grandi debolezze del pensiero teologico novecentesco.
Per certi versi il libro di Rotundo è un libro non celebrativo, ma realistico che sa vedere le grandi ambizioni della teologia del Novecento, ma anche le sue debolezze, i grandi slanci ed al contempo le sue rinunce, per quel complesso di inferiorità che la razionalità trionfante della modernità (deistica, illuministica, idealistica, nichilistica) è riuscita lentamente ad ingenerare nella razionalità sapiente, armonica, duttile della teologia, quale si era dimostrata nelle grandi e illuminate menti di molti pensatori della Chiesa antica, medievale e moderna.
L’opera intreccia accenni ben sintetizzati di storia del Novecento in generale, elementi di storia del pensiero economico negli ultimi due secoli, contestualizzazione storica dei contesti ecclesiali che hanno accompagnato l’opera formativa di Lonergan. Scopre in questa fase le influenze che hanno agito su Lonergan: la sociologia, la filosofia della storia e lo storicismo di Arnold Toynbee e Christopher Dawson la passione per l’economia, gli studi presso l’Università di Londra (latino, greco, matematica e francese) ai tempi di Heythrop e al contempo studi filosofici e teologici che patiscono l’impasse di un movimento di ritorno a Tommaso d’Aquino, che stenta a ridonare slancio alla teologia e che non entusiasma il bisogno di rinnovamento della teologia accademica.
Lo studio del pensiero di Lonergan si focalizza sulle sue opere economiche e due opere minori che dovrebbero mettere a fuoco il rapporto tra morale ed economia. Scrive a proposito il teologo mons. Costantino Di Bruno: “In realtà pur nell’apparenza di grandi conoscenze che vanno certamente riconosciute a Lonergan, scavando, scavando non si riesce a giungere ad un effettiva articolazione in chiave teologica della morale e dell’economia. Rotundo riscontra un apparente primato della persona. Ma esso si dimostra labile per il sol fatto che dietro non vi è il primato di Cristo e della sua opera redentiva, di cui Lonergan parla, con un certo timore, in alcuni frangenti della sua opera, quando affronta il tema paolino dell’impotenza morale trattato nel capitolo settimo della lettera ai Romani. Ma si tratta di temi non articolati quasi come se gridare la necessità di Cristo per l’uomo, per la storia, per l’economia, fosse un reato per il mondo emancipato del Novecento. Eppure si usciva da due guerre mondiali, si cercavano di capire e di risolvere gli esiti della grande crisi economica del ’29, si denunciavano i totalitarismi. Nonostante questa devastazione ad ogni livello, la grande teologia del Novecento ha tentato di parlare di Cristo di recuperarne la sua centralità, quando sedeva nelle Università Pontificie e nei suoi Seminari, ma non riusciva a farlo quando entrava in dialogo con la cultura, con la scienza, con l’economia”. In questi frangenti, spiega il teologo calabrese, è come se dovesse prevalere l’anonimato, il più grande riserbo su Cristo, come se l’uomo da se stesso fosse capace di risollevare le sorti dell’economia, della politica, della storia.
Sono questi i delicati temi che affronta il testo di Rotundo. L’Autore, fra le righe, pur non presentando una propria proposta sistematica di economia in chiave morale, lascia intendere molto chiaramente, nelle sue conclusioni, che è la persona di Cristo l’unica capace di colmare il vuoto ontologico che sta affliggendo le nostre società, divorandole in una successione di crisi senza fine. La storia attesta che un’economia senza un uomo cristificato non potrà mai essere risanata ed è questo il grido accorato dell’Autore in estrema sintesi. Questa naturale necessità di cristificazione, per lo studioso catanzarese, è lo specifico che la teologia deve profetizzare dinanzi al mondo delle scienze moderne, senza nessun timore reverenziale. Ritengo che il lavoro di Rotundo sia uno stimolo prezioso e stimolante anche per gli ambienti dell’economia e della politica del nostro tempo. Oggi l’uomo, molto spesso, fa fatica a risolvere le grandi questioni che investono il futuro di intere generazioni, smarrendo la bussola delle eque soluzioni e del bene comune. Mi auguro che si capisca che l’assenza di Cristo né complica i progetti, ritardando le attese legittime della storia attuale.
*Nicola Rotundo è presbitero della diocesi di Catanzaro – Squillace. Dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana in Roma. Docente nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Tommaso D’Aquino in Napoli.
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