Senza dubbio oggi si vive in un’epoca relativista. Sempre più persone ritengono che non ci siano fondamenti di verità, o che la verità non sia conoscibile, oppure che ogni affermazione sia ugualmente vera. Tale forma di relativismo si è andata imponendo come pensiero unico. Chi nega esser vero che non esista una verità cade in un qualcosa d’ovvio, con la conseguenza di essere definito prepotente, intollerante e antidemocratico. Viviamo, infatti, in una cultura dominata non da un relativismo assoluto, cioè qualcosa in sé di contraddittorio, quanto piuttosto da un assolutismo relativista [1].
Tale tipo di relativismo può essere ben rilevabile da un ragionamento frequente chiamato “post-modernismo”, per cui si afferma che tutti gli uomini sono uguali. Perciò quando due persone ropongono opinioni diverse, entrambe devono essere accettate come vere, poiché sarebbe “antidemocratico” o “politicamente scorretto” affermare che solo uno dei due abbia ragione.
Tale strano e curioso ragionamento pretende essere relativista, ma suppone l’esistenza di verità certe e incontrovertibili: l’uguaglianza essenziale di tutti gli uomini, la certezza che la democrazia sia la migliore forma di governo possibile e che il “politicamente corretto” deve essere l’unico modello di riferimento linguistico.
Il criterio di verità non è più riferibile: ogni giudizio dovrebbe essere considerato ugualmente vero (o ugualmente falso) per il sol fatto di essere stato espresso da un essere umano, di per sé portatore di una sua intrinseca dignità. Con ciò si dimostra come la forma di ragionamento relativista sia profondamente contraddittoria, poiché pretende negare quanto suppone dal principio, cioè l’esistenza della verità. Si suppone, ad esempio, la verità di tutti gli uomini uguali per dignità, affermando contestualmente però l’inesistenza di verità alcuna.
Ciò che importa è che questa forma di pensiero relativista dà per certo che non c’è una verità e una bontà intrinseche alle cose. La verità di ogni cosa è che ognuno se la fa per sé, e il valore di ognuna dipende in maniera totale dal chi l’ha fatta. Quale sarebbe dunque la conseguenza di un tale tipo di pensiero?
Romano Guardini è un autore che ha riflettuto molto su questi temi dando delle risposte diametralmente opposte. Innanzitutto lui ha constatato che in diversi momenti della storia del pensiero è stata ben presente l’affermazione secondo cui il bene è la verità di ogni cosa, nella misura in cui diviene oggetto di azione. Pertanto il bene morale sarebbe il giusto che sboccia dall’essenza di ogni realtà particolare. E quando si riconosce la verità delle realtà in se stessa, si esclude dall’etica il “diritto all’arbitrarietà”, ossia, il diritto di agire con la natura così come si vuole, imponendole il dovere di modellarsi secondo un proprio scopo e interesse.
Il cosiddetto “diritto all’arbitrarietà” sarebbe intrinseco all’ “esistenzialismo”, al post-modernismo e alle altre forme di pensiero relativista. La verità delle cose e del bene esclude perciò tale diritto che si rivela espressione di puro volontarismo. Ogni totalitarismo manifesta infatti orrore per la verità, proprio perché essa è l’unica forza che distrugge ogni imposizione arbitraria alla sua radice. E la verità delle cose rimane essenzialemente democratica, poiché può essere conosciuta da tutti coloro che la cercano.
Ogni regime totalitario, infatti, è convinto che non esista un’essenza oggettiva sulle cose, sulla natura, sulle relazioni umane e sulla morale. Per questo il totalitarismo mira sempre a diffondere una mentalità relativista. Solo così è in grado di manipolare le persone secondo i propri interessi e scopi. Romano Guardini vide tutto ciò nel regime nazista che negava l’esistenza di norme morali certe e della verità riconosciuta. Quella tirannia relativizzava quanto accettato pacificamente da tutti, assolutizzando le proprie idee perverse, formando un regime a pensiero unico intrinsecamente legato al terrore.
Oggi constatiamo come il relativismo pretenda di trattare la verità come menzogna, e la menzogna verità. Il relativismo, oggi come ieri, è una maschera che nasconde un pensiero assolutista. Pertanto se le cose sono realmente intellegibili, l’uomo si riconosce come un essere responsabile dal mondo. Egli deve conoscere la realtà che gli è stata data per agire in maniera responsabile. Se c’è una verità che regge l’agire morale, l’uomo non può desiderare il dominio della realtà con una “volontà di potenza” assoluta. «L’uomo deve decidere di accettare o rifiutare la realtà. Lui è responsabile di ciò per il sol fatto di essere uomo. Essere uomo significa precisamente essere responsabile del mondo e davanti al mondo» [2].
D’altro canto il relativismo, genera la distruzione della cultura. In effetti l’uomo colto è quello in grado di distinguere i valori veri e falsi della cultura, cioè conosce le realtà e il valore implicito di ognuna.
Il relativismo, al fondo, nega la verità e la bontà delle cose, e così facendo rende tutto indifferente. Tale indifferenza distrugge ogni forma di cultura, di educazione, di moralità e infine distrugge la stessa società. Non essendoci una verità e una bontà in ogni cosa, perché studiare? Perché dedicarsi al lavoro scientifico? Per quale ragione servirebbe l’arte se non proprio per esprimere in maniera singolare e bella una verità e una bontà conosciuta? Come poter essere etico nela vita professionale se non c’è alcun bene conoscibile?
Quindi il totalitarismo relativista che pretende dominare le nostre società, oltre ad essere contraddittorio e autoritario, costituisce un vero e proprio ostacolo al progresso umano, culturale, politico e sociale.
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NOTE
[1] Cfr.: A. Alves, Relativismo assoluto o assolutismo relativista?: http://www.zenit.org/it/articles/relativismo-assoluto-o-assolutismo-relativista
[2] R. Guardini, Etica, Editrice Morcelliana, Brescia 2003, pp. 53-54.