“Ciao, sono una bambina di otto anni e sto vendendo limonata contro la schiavitù infantile tutti i giorni, fino a quando arriverò a 100.000 dollari”, è il testo dell’insolito tweet ricevuto da Nicholas Kristof, giornalista del New York Times da parte di Vivienne Harr, nel quale la bambina californiana spiegava la sua intenzione di raccogliere soldi per lottare contro la schiavitù che affligge tanti suoi coetanei.
Un giorno, guardando insieme a mamma e papà una fotografia che ritraeva due piccoli schiavi nepalesi intenti a trasportare materiale pesante sulle loro spalle, la piccola aveva osservato: “Dovrebbero stare a giocare!”, e da lì l’idea: “voglio liberare 500 bambini”. I genitori le avevano lanciato uno sguardo interrogativo, ma lei aveva deciso: “Voglio raccogliere un milione di dollari”. Era andata a riempire alcuni barattoli con della limonata da vendere. “Ma questa limonata è tantissima!”, avevano esclamato i suoi genitori.
“Tantissime persone mi hanno detto ‘cosa puoi farci? Hai solo nove anni!’, ma io rispondo che una persona può fare anche per dieci: Martin Luther King era una persona, Madre Teresa era una persona... si può essere una persona”, racconta Vivienne mostrando la fotografia che l’ha spinta a prendere una posizione, quella dei due bambini-schiavi dalle scarpe troppo grosse sul punto di scivolare giù da una scarpata.
Mentre l’Europa cerca di correre ai ripari per rispondere alla piaga della disoccupazione giovanile, l’Indice della Schiavitù della Walk Free rivela che attualmente sono oltre 30 milioni i bambini ridotti in schiavitù in tutto il mondo, vittime di prigionia, maltrattamenti e lavoro forzato.
“La compassione non è compassione senza azione”, così Vivienne spiega il motivo per cui è subito passata ai fatti: “Avevo sia ragioni che mi spingevano a fare qualcosa, sia ragioni che mi suggerivano che non avrei potuto. Ho cominciato a vendere ogni bicchiere di limonata a due dollari, ma avrei dovuto aspettare tanti anni in questo modo: allora, al trentaquattresimo giorno, ho cominciato a dire ad ognuno ‘paga secondo il tuo cuore’. C’era chi dava uno e chi dava cento”.
“Alcuni giorni andava meglio, altri non mi sentivo in vena di continuare, ma sono andata avanti lo stesso, grazie al pensiero dei bambini che altrimenti non avrebbero potuto essere aiutati: pensavo che avrei potuto essere io una di loro, oppure mio fratello di quattro anni, o anche il figlio di qualcuno...”.
Vivienne osserva con semplicità che nel mondo ci sono sempre state persone grandi ed eroiche, ma, racconta, “io ho tratto la vera ispirazione da mio fratello più piccolo, perché lui è quello che mi tira su e mi ricorda le persone che stiamo aiutando”.
Dopo aver cominciato con un piccolo banchetto a vendere limonata nel suo vicinato, a distanza di un anno Vivienne viene invitata dal sindaco di New York a Times Square: lei sorride entusiasta descrivendo quella giornata così particolare: “Faceva terribilmente freddo, ma tanta gente ci ha aiutato. È stata molto dura, ma mentre mi sembrava di congelare sapevo che anche i bambini che volevo aiutare quel giorno stavano morendo di freddo perché non avevano nessun vestito, così ho proseguito per altri due giorni”.
Ritornati in albergo, il papà si era congratulato con la bambina per aver finalmente raggiunto l’obiettivo: “Adesso puoi fermarti, è fatta!”, ma lei aveva subito chiesto: “La schiavitù dei bambini è sconfitta?” “No, tesoro, no...”. “Allora non è fatta!”, aveva ribattuto. E così aveva continuato pensando sempre che “se è possibile sognare una cosa, quella cosa si può anche farla”.
Make a Stand Lemon-Aid è divenuto così un marchio e una proposta sociale che non solo si prefigge di rendere i bambini liberi da qualsiasi schiavitù, ma di renderli liberi di poter studiare e scegliere il proprio futuro; nei negozi per ogni bottiglia di limonata, i clienti possono pagare ‘secondo il loro cuore’, il prezzo che Vivienne aveva stabilito fin dall’inizio.