Pakistan: si proclama profeta e viene condannato a morte per blasfemia

Forti pressioni sulle autorità del paese per salvare Mohammad Asghar, cittadino britannico 70enne vittima di una patologia schizofrenica e paranoica

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Condannato a morte per blasfemia. E’ il verdetto della corte di Rawalpindi (Pakistan) contro Mohammad Asghar, 70enne residente di Edimburgo di origini pakistane, arrestato nel 2010 per blasfemia dopo aver scritto alcune lettere ad ufficiali di polizia nelle quali si proclamava “profeta”.

Secondo quanto riferito dall’agenzia AsiaNews, gli avvocati di Ashgar hanno chiesto ai giudici un atto di clemenza sottolineando i problemi mentali dell’uomo che anche in aula ha continuato a proclamarsi “profeta”. I legali hanno anche presentato una documentazione del Royal Victoria Hospital di Edimburgo nel quale i medici spiegano che Asghar soffre di una patologia schizofrenica e paranoica.

La Corte, tuttavia, ha rifiutato ogni richiesta di clemenza e ha rifiutato di accogliere i referti dei medici britannici. Un portavoce del governo scozzese si è detto “preoccupato” per la situazione e ha esortato le autorità pakistane “a rispettare la moratoria sulla pena di morte”. La baronessa Sayeeda Hussain Warsi, funzionario del ministero britannico degli Esteri, ha sottolineato che il ministero sta facendo forti pressioni sul governo pakistano per risolvere il caso. Asghar è il secondo cittadino britannico a subire la famigerate legge “nera” sulla blasfemia. 

Secondo i dati raccolti dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Pakistan (Ncjp), dal 1986 all’agosto 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base a tale legge: fra queste 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta. Più di 40 gli omicidi extra-giudiziali (compiuti da singoli o folle inferocite) contro innocenti e i processi intentati contro disabili fisici e mentali, o minorenni. Fra i diversi casi, ricordiamo quello di Rimsha Masih, sfuggita alle false accuse dopo una massiccia campagna di pressione su Islamabad, e quello tristemente noto della cristiana Asia Bibi, madre di cinque figli, condannata a morte per blasfemia da un tribunale di primo grado nel 2010, in attesa di un processo di appello.

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ZENIT Staff

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