Maestro di vita e medico celeste

Lettura patristica per la III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente Lettura patristica per la III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.

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Lettura Patristica 

Dal Commento al vangelo di Matteo

di Cromazio di Aquileia 

Avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, si ritirò in Galilea [e ciò che segue fino a] su quelli che dimoravano nell’ombra di morte una luce si è levata. Lasciata, dunque, Nazaret, il Signore e Salvatore nostro illuminando con la sua presenza diversi luoghi della Giudea, che si era degnato di visitare, giunse nel territorio di Zabulon e di Neftali per adempiere la predizione profetica e cacciato l’errore tenebroso, infondere la luce della sua conoscenza in coloro che credevano in lui, non solo Giudei, ma anche gentili. Questo fatto l’evangelista ricorda nel presente passo, richiamandosi alle parole del profeta col dire: Al di là del Giordano il popolo di Galilea delle genti, che dimorava nelle tenebre, vide una grande luce. In quali tenebre? Certamente nel profondo errore dell’ignoranza. Qual è la grande luce che vide? Quella di cui sta scritto: Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Di ciò diede testimonianza il giusto Simeone nel Vangelo, dicendo: Luce che hai preparato per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele (Lc 2, 31-32). Che questa luce si doveva levare un giorno nelle tenebre aveva predetto anche Davide, dicendo: È sorta nelle tenebre una luce per i retti di cuore (Sal 111, 4). Anche Isaia parla di questa luce che sarebbe sorta per illuminare la Chiesa, dicendo: Rivestiti di luce, rivestiti di luce, Gerusalemme, perché giunge la tua luce e la maestà del Signore è sorta in te (Is 60, 1) […].

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Di questa luce, dunque, nel presente passo è stato detto: Il popolo, che dimorava nelle tenebre, ha visto una grande luce. Ha visto, però, non con la vista del corpo, perché è una luce invisibile, ma con gli occhi della fede e con la visione dello spirito… Prosegue, quindi: Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino. Affinché queste parole del Signore, con le quali esorta a convertirsi, fossero ascoltate, lo Spirito Santo, in precedenza, anche per bocca di Davide, aveva invitato il popolo alla penitenza, dicendo: Se ascolterete oggi la sua voce, non indurite i vostri cuori, come per metter alla prova, quando mi tentarono nel deserto (Sal 94, 8-9). In questo stesso salmo poco sopra, per invitare il popolo peccatore alla penitenza e suggerire sentimenti di compunzione, così si esprime: Venite, prostriamoci davanti a lui e innalziamo suppliche al cospetto del Signore che ci ha creati, perché egli è il nostro Dio. Il Signore esorta alla penitenza, lui che promette il perdono del peccato, lui che dice per bocca d’Isaia: Sono io, sono io che cancello le tue iniquità e non ricorderò i tuoi peccati. Ma tu ricordatene, accusa tu per primo le tue colpe, per essere giustificato (Is 43, 25-26)… Giustamente dunque, il Signore esorta il popolo alla penitenza dicendo: Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino, affinché, in seguito a questa confessione del loro peccato, diventassero degni del regno dei cieli che si avvicinava. Uno, infatti, non può ricevere la grazia del Dio del cielo, se non sarà purificato da ogni sozzura di peccato mediante la confessione di penitenza, mediante il dono del battesimo della salvezza del Signore e Salvatore nostro.

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Prosegue, poi: Passando lungo il mare vide due fratelli [e ciò che segue fino a] e subito, lasciata la barca e il padre loro, seguirono. O felici questi pescatori che il Signore scelse per primi al ministero della predicazione divina e alla grazia dell’apostolato tra tanti dottori della Legge e scribi, tra tanti sapienti del mondo! E certamente degna del Signore nostro e conveniente alla sua predicazione fu tale scelta, per ottenere che nella predicazione del suo nome nascesse un’ammirazione che avrebbe suscitato una lode tanto più grande, quanto più meschini nel mondo e umili nel secolo ne fossero stati i predicatori. Questi non avrebbero conquistato il mondo per mezzo della sapienza della parola, ma avrebbero liberato il genere umano da un errore mortale mediante la semplice predicazione della fede, come dice l’Apostolo: Perché la vostra fede non sia fondata sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio. E ancora: Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto, per confondere i sapienti, e ha scelto ciò che nel mondo è debole, per confondere i forti, e ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzabile e ciò che è nulla, per distruggere le cose che sono (1 Cor 1, 2-5). Non scelse, dunque, i nobili del mondo o i ricchi, perché la predicazione non destasse sospetto, non i sapienti della terra così che si potesse credere che aveva persuaso il genere umano mediante la sapienza mondana, ma scelse i pescatori, illetterati, inesperti, ignoranti, perché fosse evidente la grazia del Salvatore. Umili, è vero, nel mondo anche per l’esercizio della loro arte, ma veramente eccelsi per la fede e per l’ossequio del loro animo devoto, spregevoli per la terra, ma graditissimi al cielo, ignobili per il mondo, ma nobili per Cristo, non iscritti nell’albo del senato di questa terra, ma iscritti nell’albo degli angeli in cielo, poveri per il mondo, ma ricchi per Dio. Infatti il Signore sa chi scegliere lui che conosce i segreti del cuore, quelli certamente che non cercavano la sapienza del secolo, ma desideravano la sapienza Dio, né bramavano le ricchezze del mondo, ma aspiravano ai tesori celesti. Perciò, come sentirono il Signore dire: Venite dietro di me, subito, lasciate le loro reti e il padre e ogni loro bene, lo seguirono. E in ciò si dimostrarono veramente figli di Abramo perché sul suo esempio, udita la voce di Dio, seguirono il Salvatore. Rinunciarono, infatti, subito ai proventi materiali, per conseguire il guadagno eterno, lasciarono il padre terreno, per avere un Padre celeste, e perciò, non a torto, meritarono di essere scelti.

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Il Signore, dunque, scelse dei pescatori che, mutando in meglio il mestiere della pesca, dalla pesca terrena passarono a quella celeste, per catturare come pesci dal profondo gorgo dell’errore il genere umano per la sua salvezza, conforme a ciò che lo stesso Signore disse loro: Venite dietro di me e vi farò pescatori di uomini. Questa stessa cosa aveva precedentemente promesso, per bocca del profeta Geremia, dicendo: Ecco, io manderò molti pescatori, dice il Signore, e li pescheranno. E dopo di ciò manderò dei cacciatori, e li cattureranno (Ger 16, 16). Perciò, sappiamo che gli apostoli furono chiamati non solo pescatori, ma anche cacciatori: pescatori, perché per mezzo delle reti della predicazione evangelica catturano dal mondo tutti i credenti come pesci; cacciatori, poi, perché, per la loro salvezza, catturano, come una caccia voluta dal cielo, gli uomini che vagano nell’errore di questo mondo come in una selva e vivono a guisa delle fiere… Mediante la predicazione apostolica, pertanto, ogni giorno i credenti sono catturati per vivere. E guarda quant’è diversa questa celeste pesca degli apostoli dalla pesca di questa terra. I pesci, infatti, quando sono catturati, muoiono. Gli uomini, invece, sono catturati perché vivano, secondo ciò che il Signore disse Pietro, quando aveva preso una grande quantità di pesci: Non temere: d’ora in poi sarai colui che dà la vita agli uomini.

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Anche Ezechiele, riferendosi apertamente a questi pescatori evangelici in quanto catturano i pesci perché abbiano la vita: E là ci sarà, disse, una gran quantità di pesce, perché là è venuta quest’acqua e sarà salvo e vivrà
ogni uomo a cui giungerà questo fiume, e sederanno i pescatori e in disparte asciugheranno
le reti, e i suoi pesci saranno come pesci di un grande mare, una quantità abbondantissima. Mirabile, dunque, è questa pesca e meravigliosi i pescatori, che pescano non perché ne muoiano quelli che catturano, ma perché vivano. Secondo quanto avviene su questa terra vivono i pesci che non sono catturati, in questa pesca, invece muoiono quelli che non meritavano di essere catturati. Come, appunto, la pesca di questi pescatori catturi per dare la vita quelli che cattura mostra chiaramente il profeta nella citazione riportata più sopra: Poiché là è venuta quest’acqua e vivrà il pesce a cui giungerà questo fiume. Certamente il profeta non parla di quest’acqua comune né di un fiume terreno, ma dell’acqua del battesimo della salvezza e del fiume della predicazione del Vangelo, dal quale i credenti traggono l’alimento della vita. Vuoi sapere qual è quest’acqua che risana, che cura, che dà la vita? Ascolta: il Signore che dice nel Vangelo: Chi berrà dell’acqua che do io non avrà sete in eterno, ma in lui ci sarà una fonte di acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4, 13-14). Vuoi sapere anche che cosa sia questo fiume nel quale si ha la vita? Ascolta il profeta che dice: L’impeto del fiume rallegra la città di Dio (Sal 45, 5). Così, dunque, mentre costoro pescano siamo catturati dal mare di questo mondo, siamo tratti dal gorgo dell’errore, per rinascere nell’acqua del battesimo e, purificati dal fiume del Vangelo, rimanere in vita.

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Prosegue, poi: E Gesù percorreva tutta la Galilea [e ciò che segue fino a] e al di là del Giordano. Che questo sarebbe avvenuto aveva predetto Isaia dicendo: Egli ha preso su di sé nostre sofferenze e ha guarito la nostra pena. Per questo, infatti era venuto il maestro di vita e il medico celeste, Cristo Signore, cioè per istruire gli uomini col suo insegnamento, fonte di vita, e per guarire con la medicina celeste i mali del corpo e dell’anima, per liberare i corpi posseduti dal diavolo e ricondurre alla vera e completa salute coloro che erano affetti da ogni sorta d’infermità. Infatti, curava le malattie fisiche con la parola della potenza divina e con la medicina dell’insegnamento celeste risanava le ferite dell’anima. E Davide mostra con chiarezza che tali ferite dell’anima sono guarite solo da Dio, quando dice: Benedici, anima mia, il Signore e non dimenticare tutti i suoi benefici. E aggiunse: Egli perdona tutte le tue colpe e guarisce tutte le tue malattie (Sal 102, 2-3). Vero, dunque, e perfetto medico è quello che dona sanità del corpo e rende la salute dell’anima, il Signore e Salvatore nostro, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen. (Cromazio di Aquileia, Commento a Matteo, Trattati 15-16).

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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