Come è stata ispirata la Scrittura? in che senso la Scrittura è ispirata? Cosa comporta l’ispirazione biblica? Queste domande, anche quando non affiorano alla coscienza, sono (o almeno devono essere) presenti nel sottosuolo e sullo sfondo di ogni riflessione seria sul testo biblico. La comprensione del senso dell’ispirazione e delle sue implicazioni è il preambolo per ogni lettura credente sia a livello riflessivo-teologico sia a livello esperienziale-spirituale.
Nel 1967, Karl Rahner constatava provocatoriamente: «Se si vuole essere leali, si deve ammettere che in genere gli esegeti cattolici naturalmente non negano l’ispirazione della Scrittura, né la mettono in dubbio, ma di proposito lasciano la questione com’è (per quanto riguarda il loro lavoro esegetico) e hanno l’impressione che nel compimento del loro lavoro specifico non hanno molto a che fare con essa».
Il libro Ogni Scrittura è ispirata. Nuove prospettive sull’ispirazione biblica, curato da P. DUBOVSKY e J.-P. SONNET, prende sul serio la provocazione rahneriana. Il volume è una raccolta di saggi che si propone di riflettere sull’ispirazione a partire dalla pratica esegetica, e offre una ricca pista di dialogo tra teologi ed esegeti. Essa offre i contributi convergenti e complementari di 19 esegeti e teologi dell’Università Gregoriana e dell’Istituto Biblico, frutto di un corso tenutosi nel 2011.
Preso per ovvio e scontato che «ogni tentativo di spiegare la natura dell’ispirazione per mezzo della parola dictare adoperata nel senso proprio del moderno dettare è sbagliato» (Cardinal Bea), i vari contributi presentano le sfumature dell’ispirazione nelle tradizioni extra-bibliche (mesopotamiche, ellenistiche, ecc.), ma anche nei libri della sacra Scrittura (si pensi alla differenza tra l’ispirazione nella Torah, nei libri sapienziali e nei Salmi, intesi come risposta umana – ispirata – a Dio). L’AT esprime l’ispirazione più attraverso metafore e immagini che attraverso concetti astratti.
La metafora musicale
Data la natura particolare della Scrittura come parola di Dio in parole umane, dove Dio – vero autore – non usurpa gli autori umani che a loro volte sono «veri autori» (cf. DV 11). Questa natura particolare della Scrittura è ricca di conseguenze. Per cui, come nota Jean-Louis Ska, «quando si afferma che la Bibbia è “parola di Dio”, si tratta necessariamente del frutto di un ragionamento, di un discernimento, di una decisione o di una interpretazione, perché la Scrittura si presenta non come parola divina, vale a dire una parola espressa in un linguaggio divino diversi dai linguaggi umani. Si presenta, al contrario, come parola pronunciata da esseri umani. Possiamo aggiungere che nessuna parola, nessuna frase e nessun testo della Bibbia si presenta come parola trasmessa immediatamente da Dio. Non vi è nella Bibbia, alcuna comunicazione divina senza intermediari».
Ska si basa sull’opera di Antonio Salieri – Prima la musica, dopo le parole – per spiegare che «l’ispirazione non è nella molteplicità delle parole, non è nelle singole note o nei singoli accordi; è nella musica che sostiene l’insieme […]. Per dirlo con Paolo, l’ispirazione non è nella lettera, è nello spirito: “La lettera uccide, lo spirito vivifica” (2Cor 2,6)».
Ska prosegue spiegando il ruolo della comunità credente nell’inverare e nel riecheggiare il fenomeno dell’ispirazione dicendo che «l’ispirazione è anche nella musica in un altro senso. Essa esiste quando qualcuno (o un’orchestra o un coro) canta o suona. La musica di una partitura è musica morta. L’ispirazione è nella musica, vale a dire nell’atto della lettura e nell’atto dell’interpretazione. Perché una vera lettura è sempre un’interpretazione, anche la semplice lettura personale o pubblica. Si interpreta sempre. L’unica scelta che ci è lasciata è di interpretare bene o male».
Verso una comprensione dialogica
Dalla sua parte, Massimo Grilli osserva che «l’incontro con un testo (qualsiasi testo: da quello biblico, all’opera letteraria, al quadro, …) costituisce un evento comunicativo o, ancora meglio, un evento dia-logico».
Ci sono, infatti, tre modelli di comprensione:
– il modello lineare, dove il linguaggio è capito come un canale mediante il quale il linguaggio viene trasmesso da un emittente al ricevente;
– il modello di reazione: conferisce una funzione attiva-reattiva al testo, da parte del lettore;
– il modello circolare o dialogico: dove «la comunicazione non è qualcosa che uno fa all’altro, ma un processo che uno fa con l’altro».
Sulla scia di Gadamer, Grilli propone di vedere l’opera letteraria in questa dinamica di comunicazione interpersonale. «Più che di senso oggettivo di un’opera, si dovrebbe parlare di senso in relazione. Più che di senso in sé si dovrebbe parlare di senso per. Si potrebbe anche parlare di un mondo policentricamente strutturato, dove non esiste un unico centro, il proprio “io” da cui tutto fluisce, ma di un universo policentricamente strutturato, in cui vige un sistema molteplice di centri».
Alla luce della comprensione dialogica del processo comunicativo, l’ispirazione va ripensata in termini relazionali. «Il concetto di ispirazione non va pensato in termini di soggetto ispirante – oggetto ispirato, come se da una parte ci fosse il testo (autore)-ispirato (dotato di autorità divina e immutabile), dall’altra il lettore-oggetto che riceve la Parola già scritta e il senso già dato. L’ispirazione va pensata invece come un incontro tra soggetti in dia-logo: l’orizzonte del testo e quello del lettore si incontrano in un confronto dia-logico, mossi dallo stesso Spirito. L’ispirazione dunque non è da intendersi come un fenomeno riconducibile puramente al passato: lo stesso Spirito opera negli uni e negli altri, dal momento della redazione scritta fino al momento dell’attualizzazione. Si tratta, in fondo, di riappropriarsi di un’istanza che appartiene allo statuto stesso della Bibbia, perché i lettori del testo sacro interpretano un libro che li interpreta. La sfida per chi legge la Bibbia sta proprio in questa istanza dia-logica che vede il lettore interprete di un libro che già lo ospita».
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