"Il determinismo genetico è piuttosto un riduzionismo"

Alla conferenza della fondazione Ut Vitam Habeant, il professor Evandro Agazzi ha spiegato come sia impossibile spiegare la complessità umana con i soli dati biologici

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“Fino a che punto la genetica influenza il nostro temperamento, le nostre reazioni? Siamo già determinati?”. Questi due interrogativi, espressi dal cardinale Elio Sgreccia, Presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, hanno costituito la direttrice intorno alla quale si è sviluppata la conferenza “Genetica e Antropologia: libertà e responsabilità”, promossa dalla fondazione Ut Vitam Habeant e tenutasi presso ilSalone dei Piceni, nel Complesso Monumentale diSan Salvatore in Lauro.

Il relatore Evandro Agazzi, filosofo della scienza dell’Università di Genova, ha introdotto il suo intervento partendo da un excursus storico. “Quando si parla di genetica, accompagnandola con il termine manipolazione – ha spiegato il prof. Agazzi – si intende qualcosa di diverso rispetto al passato”. “Ancora negli anni ’80 – ha proseguito – per manipolazione genetica si intendeva la fecondazione artificiale. Dunque, qualcosa di attinente solo alla generazione, alla procreazione. Oggi, invece, si intendono quelle pratiche di manipolazione dei geni che vengono comunemente chiamate ingegneria genetica”.

Il successo riscosso da questa disciplina presso i genetisti ha portato nel 1990 al Progetto Genoma, una ricerca scientifica finalizzata a identificare e a mappare la totalità dei geni umani, ossia il genoma. Si è trattato, secondo il prof. Agazzi, di un progetto dalla vasta eco ma dai risultati non altrettanto eccezionali. Anzitutto, ha spiegato il filoso, “l’obiettivo di concludere questo progetto entro quindici anni” non è stato raggiunto, poiché le ricerche sono tutt’ora in corso e “probabilmente dureranno ancora per qualche decina d’anni”.

In secondo luogo, la pretesa del Progetto Genoma di “aver scoperto il segreto della vita” ha innescato una serie di equivoci e di problematiche etiche. “L’idea ancora oggi ampiamente diffusa per cui nel genoma è predeterminata la storia di ogni individuo”, ha aggiunto Agazzi, è “figlia della cultura per cui il patrimonio genetico racchiude tutte le caratteristiche dell’uomo”.

Agazzi, “senza voler banalizzare le pur importanti scoperte del Progetto Genoma”, ha rammentato tuttavia che “la complessità della personalità umana è originata da una vastità di fattori di cui l’ereditarietà genetica è solo una parte”. Citando un passo del Purgatorio di Dante e uno dei dialoghi di Platone, Agazzi ha testimoniato che è sempre stata una convinzione radicata quella secondo cui la personalità umana “non è predeterminata dalla genetica, ma si costruisce con l’impegno”.

Negare questo assunto, come invece pretende di fare “il dogma del determinismo genetico”, significa privare l’uomo della sua libertà. “Un dogma falso – l’ha definito inoltre il Professore – già dal punto di vista strettamente biologico, poiché l’organismo vivente ha una grandissima rete di aspetti”. A titolo di esempio, Agazzi ha spiegato che “pochissime malattie derivano da un solo gene”.

Essendo dunque basato su credenze false, tese a spiegare la complessità dell’uomo con la sola mappatura genetica, secondo Agazzi “dal determinismo genetico scaturisce piuttosto un riduzionismo”. Esistono infatti componenti capaci di influenzare la personalità umana che, ha spiegato Agazzi, “sono di tipo non biologico”.

Componenti come l’ambiente e la società. Tuttavia, ha rammentato Agazzi mediante una veloce diagnosi della cultura progressista, “non bisogna neanche ridurre l’uomo all’ecologia, alla sociologia o alla psicologia”. Altrimenti – l’avvertimento del filosofo – “si rischia di scivolare da uno scientismo all’altro senza riuscire a spiegare la complessità umana”. In questo modo l’uomo viene espunto della sua libertà d’azione e lo si fa retrocedere “a un livello di eguaglianza omologata e banale”.

L’unica eguaglianza esistente, la citazione del relatore, è “l’eguaglianza in dignità”. Anche perché, ha concluso il prof. Agazzi riprendendo il tema centrale della conferenza, “uomo e scimpanzé condividono il 96% del genoma”. La domanda che ne deriva è retorica e demolisce ogni tentativo di ridurre l’uomo al solo aspetto biologico: “Basta questo mero dato per ritenere l’uomo uguale alla scimmia?”.

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Federico Cenci

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