Gesù Cristo, Luce del mondo e Centro dell'uomo

Lectio Divina per la III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.

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LECTIO DIVINA

Gesù Cristo, Luce del mondo e Centro dell’uomo

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 26 gennaio 2014

Rito Romano

Is 8,23b – 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23

Gesù, Luce del mondo

Rito Ambrosiano – Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Sir 7, 27-30. 32-36; Sal 127; Col 3, 12-21; Lc 2, 22-33

            1) La prima chiamata: “Convertitevi”.

            Nel brano di oggi l’Evangelista e Apostolo Matteo ci narra che Gesù lasciò Nazareth, dove nel nascondimento aveva vissuto una vita quotidiana così normale che nessuno dei suoi compaesani[1] avevano visto in Lui qualcuno di eccezionale, e andò a Cafarnao per portare la luce di Dio. Andò in un luogo, dove c’era una grande mescolanza di ebrei e di altri popoli e per questo era chiamato dai Giudei “Galilea delle genti”, ossia “provincia dei pagani”.

            La logica umana si sarebbe aspettata che l’annuncio messianico partisse dal cuore del giudaismo, cioè da Gerusalemme[2], ed eccolo invece partire da una regione periferica, la Galilea, generalmente disprezzata e ritenuta contaminata dal paganesimo. Ma proprio ciò che costituisce una sorpresa è per San Matteo il compimento di un’antica profezia e il segno rivelatore di Gesù: il Messia universale che frantuma ogni forma di particolarismo.     

            Gesù incominciò da questa “apparente” periferia[3] per illuminare sia la Città santa che il mondo e il suo annuncio è riassunto da San Matteo in una formula concisa: “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi”. Queste prime parole di Gesù sono semplici, poche.  San Marco scrive: “Il tempo è compiuto; il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Le parole riportate nel Vangelo di oggi sono ancora più scarne: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17) e, forse, non chiare per noi moderni per la loro stessa sobrietà. Per capirle, e capire pure la differenza tra il messaggio di Giovanni e l’annuncio di Gesù, ne propongo una spiegazione nel linguaggio nostro, cercando di far emergere il loro eternamente vivo significato.

            “Il Tempo è compiuto”. Il Tempo aspettato, profetato, annunziato è giunto a pienezza. E’ compiuto il tempo di vivere senza conoscere la bellezza della vita con Cristo. E’ compiuto il tempo degli inganni. E’ tempo di farci aprire gli occhi da Dio e contemplare il Suo volto, che poi diventa in parte il nostro.

            “Il Regno è vicino”. Giovanni il Battista diceva che un Re sarebbe venuto presto a fondare un nuovo regno: il Regno dei Cieli.  Gesù dà la lieta notizia che il  Re è venuto e che le porte del Regno sono aperte. Il Regno non è la fantasia sorpassata di un povero Ebreo di venti secoli fa; non è una cosa antiquata, una memoria morta, un sogno infranto. II Regno dei cieli è in noi. Comincia da subito: è anche opera nostra, per la felicità nostra, in questa vita, su questa terra. Dipende anche dalla nostra volontà, dal nostro rispondere sì o no alla vocazione di Cristo, che ci chiama ad essere santi, cioè a guardare il cielo, a desiderare il cielo e sperare di vivere sempre in cielo. Il Regno di Dio è pace e gioia[4].

            “Convertitevi” aggiunge Gesù. “Convertitevi”: anche questa “vecchia” parola è stata distorta dal suo senso autentico. La parola del Vangelo in greco “Metanoèite” non si può tradurre in latino con “poenitemini” o in italiano con “fate penitenza”. Metànoia è propriamente il cambiamento del modo di pensare, il cambiamento della mente, la trasformazione dell’anima. Metamorfosi è un mutare la forma; metanoia un mutare lo spirito, è cambiare mentalità. Giustamente la traduzione dice “conversione”, che è il rinnovamento dell’uomo interiore. L’idea di “pentimento” e di “penitenza” non sono che applicazioni e illustrazioni dell’invito di Gesù a girarsi verso di Lui, a muoversi verso la luce.

            Il Messia ci invita a convertirci alla luce della verità ed alla beatitudine dell’amore.

            Amandolo lo conosceremo meglio, e conoscendolo meglio Lo ameremo ancora di più: si ama bene soltanto quel che si conosce; l’amore fa trasparente chi s’ama. La prima conversione consiste nel credere, nel credere al Verbo di Amore. “La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio.” (Francesco, Lett. Enc. Lumen Fidei, n. 13).

            2) Una chiamata nella chiamata.

            Il brano dell’Enciclica di Papa  Francesco permette di passare al commento della seconda parte del Vangelo odierno che parla della chiamata dei primi discepoli. Questi proposta a seguirLo Gesù la fa sulla riva del lago di Cafarnao, dove Lui stava predicando e dove gli uomini erano intenti al loro lavoro.

            Nessuna cornice eccezionale per la chiamata dei primi discepoli: un porto in riva ad un lago, luogo di lavoro per dei pescatori.       

            Cerchiamo di far emergere i tratti essenziali di questo racconto di vita.

            Gesù è il protagonista. Lui è il personaggio centrale. Sua è l’iniziativa (“vide due fratelli” – Pietro e Andrea – “e disse loro: seguitemi”; “vide altri due fratelli” – Giacomo e Giovanni di Zebedeo – “e li chiamò”).          Non è l’uomo che si autoproclama discepolo, ma è Gesù che converte l’uomo e lo chiama ad essere suo discepolo, scegliendolo con amore. Il discepolo, poi, non è chiamato in primo luogo ad imparare una dottrina ma a vivere con una Presenza, che è il centro affettivo della sua vita di chiamato Al primo posto c’è l’attaccamento alla persona di Gesù.

            Questa adesione esige un profondo distacco. Giacomo e Giovanni, Pietro e Andrea lasciano le reti, la barca e il padre. Lasciano, in altre parole, il mestiere e la famiglia. Il mestiere garantisce sicurezza e stima sociale, il padre rappresenta le proprie radici. Si tratta di un distacco radicale.

            Questo distacco permette di rispondere all’appello di Gesù mediante una sequela totale e gratuita. I due verbi “lasciare” e “seguire” che indicano uno spostamento del centro della vita della persona chiamata. L’appello di Gesù non è in vista di una sistemazione sociale, non colloca in uno stato, ma mette in cammino per una missione.

            Infine si vede che le caratteristiche del discepolo sono almeno due: la comunione con Cristo (“seguitemi”) e un andare verso l’umanità (“vi farò pescatori  di uomini”). La seconda nasce dalla prima. Gesù non colloca i suoi discepoli in uno spazio separato, chiuso: li manda per le strade del mondo. A questo riguardo anche Papa Francesco, parlando del Santo Pietro Favre, gesuita francese, invita a imitare questo “Compagno di Ge
sù” lasciando che “Cristo occupi il centro del cuore”[5].

            Anche le Vergini consacrate vivono questa “centralità” di Cristo, seguendolo in pieno abbandono e amorosa fiducia. Imitando i primi 4 apostoli scelti da Gesù. Non è un caso che fossero pescatori. Il pescatore, che vive gran parte dei suoi giorni nella pura solitudine dell’acqua, è la persona che sa aspettare. È la persona paziente, che non ha fretta, che cala la sua rete e si affida in Dio. L’acqua fa suoi capricci, il lago ha le sue bizzarrie e i giorni non sono mai eguali.  Partendo par andare al largo in cerca di pesci, il pescatore non sa se tornerà colla barca colma senza neanche un pesce da mettere al fuoco per il suo pasto. Si rimette nelle mani del Signore che manda l’abbondanza e la carestia; si consola del giorno cattivo pensando al buono che venne e a quello che verrà.                           

            Con il genio e sensibilità femminile capace di dedizione suprema, le Vergini Consacrate vivono l’analoga chiamata degli apostoli-pescatori, l’analogo cammino di santità di chi va dietro a Cristo con il cuore dilatato, l’analoga umiltà della santa Famiglia di Nazareth (come richiama la liturgia ambrosiana di oggi), della quale evidentemente Gesù era il centro e dove evidentemente la casa dell’uno era l’affetto dell’Altro.

            Maria e Giuseppe custodirono e aiutarono a crescere Gesù non solo perché da grande avrebbe detto parole di vita eterna, ma perché sapevano nella fede che Lui era la Parola di Vita per sempre.

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NOTE

[1] “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4, 22). Marco e Matteo aggiungono: “Non è costui il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E la sue sorelle non stanno qui da noi? E si scandalizzavano di lui” (Mc 6,3; cf Mt 13,55).

[2] Ai tempi della vita terrena di Cristo Gerusalemme era il centro religioso per un fedele ebreo, ma politicamente si poteva considerare marginale rispetto al potere romano.

[3] Va tenuto presente che Cafarnao, lontana dal Tempio, è più vicina al mare Mediterraneo e sulla rotta delle carovane dei mercanti, e diventa il crocevia di una nuova storia, quella della salvezza.

[4]Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini”(Rm 14, 17-18).

[5]Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362). Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci: quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste “pazzie” apostoliche.” (Francesco, Omelia nella Chiesa del Gesù a Roma, 3 febbraio 2014).

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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