Nel libro In cucina con i santi – ricette tra cielo e terra, scritto da don Andrea Ciucci e don Paolo Sartor, pubblicato dalle edizioni San Paolo, vengono raccolte infatti 60 ricette che hanno segnato le vite dei santi o che ad esse sono ispirate.
Dai mostaccioli che un’amica preparava a San Francesco al dolce preferito di Giovanni Paolo II, dai maccheroni di San Pio da Pietrelcina alla polenta per papa Giovanni XXIII. E poi i biscottini di Santa Ildegarda di Bingen, la minestra di ceci e fagioli della beata Elisabetta Canovi Mora, la polenta e formaggio di Santa Maddalena di Canossa, gli spaghetti di aglio e cipolla di Santa Maria Goretti, i crespillos per San Josèmaria Escriva de Balaguer, la schiacciata di capperi e cipolle alla San Colombano, la minestra di foglie di faggio alla San Bernardo, il pasticcio di gamberi per frate Francesco, la focaccia di Santa Chiara d’Assisi, i Gianduiotti di don Orione, il pollo in gelatina per San Giovanni Bosco e così di seguito per 154 pagine.
Per ogni piatto il libro riporta non solo la ricetta (con tutte le indicazioni per prepararla a casa propria), ma anche informazioni, le curiosità, le indicazioni e una breve biografia del santo.
Scrivono nell’introduzione i due autori – che oltre agli studi di filosofia e teologia, pare si dilettino anche in cucina -: “La santità è cosa strana, un misto di eroismo e di quotidianità. Di gesti eccezionali e di fatti banali. Certo è che quando Dio trova casa nel cuore delle persone, queste diventano più uomini e più donne”. “Ed anche il cibo – sottolineano i due autori – diventa strumento per crescere nella sequela del Signore”.
Il noto cuoco Gianfranco Vissani nella prefazione parla infatti del “pasto come rito”. Ciucci e Sartor affermano poi che il cibo – come ogni altro dono ricevuto dall’uomo – “è sempre fatto per essere condiviso con gli altri, soprattutto con i più poveri”. Interessante e innovativa la tesi esposta nel libro, secondo cui, di fronte alle indicazioni di santi e beati per esperienze di sobrietà e digiuno, questo atteggiamento non si contrappone al buon cibo, che è un bene e non un male. L’importante è la misura, cioè non farne un idolo ed eccedere con la golosità.
Scriveva in proposito sant’Agostino: “Io non temo l’impurità delle vivande: temo l’impurità del desiderio”. Insomma il cibo, dono di Dio, cucinato grazie al lavoro dell’uomo può far crescere l’umanità in bontà, carità e sapienza.
Tra le ricette, una delle più semplici e gustose sono i biscottini proposti dalla mistica Ildegarda di Bingen con farina di farro, mandorle, cannella, noci moscate, chiodi di garofano, miele, lievito per dolci, tuorli d’uovo e burro. Per preparare i dolcetti, la Santa suggerisce le misure e i passaggi per poi concludere che questi biscotti “calmano ogni amarezza del tuo cuore e i tuoi pensieri. Aprono il tuo cuore, rendono la tua voce serena, purificano i tuoi sensi, riducono ogni linfa nociva e permettono al tuo sangue una buona composizione che ti rende produttivo”. Chiaro il messaggio: il buon cibo cucinato con amore e condiviso con sobrietà ed amicizia, rasserena, nutre il corpo e il cuore.
Alla fine del libro gli autori ringraziano le edizioni San Paolo, che “continuano a credere nella cucina come un luogo per parlare in modo lieve e nutriente dell’esperienza cristiana”. Infine, rivolgono un ringraziamento particolare “a tutti quelli che hanno cucinato e assaggiato i cibi” e soprattutto ad Antonietta della Parrocchia dei santi Gioacchino e Anna di Roma, che ha cucinato molte delle ricette contenute nel libro.